2010

J. Tronto, Moral boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care, Routledge, London-New York 1993, trad. it. di N. Riva Confini morali. Un argomento politico per l'etica della cura, a cura di A. Facchi, Diabasis, Reggio Emilia 2006, pp. 207, ISBN 88-8103-442-5

La riflessione di Joan Tronto si inserisce nel quadro di una rivisitazione dei paradigmi dominanti l'etica della cura: un'indagine, una sensibilità, questa, che nasce fondamentalmente nei primi anni Ottanta del Novecento, in seno al femminismo teorico e anche nel cuore del femminismo civilmente impegnato. Nella sua prima formulazione, essa si presentava come prospettiva filosofica, culturale e politica volta ad evidenziare la specificità del genere femminile, e quindi il ruolo della donna nella salvaguardia e nella rivendicazione di valori fondamentalmente in controtendenza e in contrapposizione rispetto a quelli dominanti, legati al genere maschile.

L'etica della cura nasceva cioè come prospettiva di genere, come una prospettiva militante che caratterizza l'universo femminile in opposizione ai paradigmi egemoni, impostati sulle caratteristiche di razionalità e sulla visione della società e della politica di derivazione maschile. Il testo fondamentale era qui quello di Carol Gilligan, In a Different Voice, una voce femminile come "voce differente" da quella maschile, radicalmente diversa e permeata da valori alternativi a quelli dominanti. All'interno di questo scenario, risalto veniva dato a tutte quelle caratteristiche che sono, appunto, tipicamente femminili: il nutrimento dei figli, il primato dell'altruismo sull'egoismo, quella capacità di cooperare con altri soggetti che si lega alla dimensione della donna in opposizione alla tendenza egoistico-individualista dei paradigmi maschili. Un'enfasi molto forte, in questa fase, era percepibile sull'idea della relazione-relazionalità, tipicamente femminile, in contrapposizione all'idea dei diritti, della cittadinanza, degli spazi istituzionali; quindi una differenziazione di ruoli, tra uomo e donna, che veniva riproposta anche in forme nuove.

A questa prima fase di discussione, che sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista della presenza sociale nella vita pubblica ha avuto un rilievo importante in ambito anglosassone, Joan Tronto ha risposto con una riflessione molto articolata, che tenta di ridefinire il paradigma della cura e cerca di ripensare l'etica della cura, a prescindere da una rigorosa distinzione fra generi. Di qui, la forza di una proposta che fa molto discutere in seno al femminismo americano. Tronto ha insegnato Political Science e Women Studies all'Hunter College di New York, in una delle aree più vivaci della discussione filosofica, filosofico-politica e filosofico-giuridica degli Stati Uniti; in questi ambienti, quando si discute di questioni di genere, di "cura", di diritti, ci si "accapiglia", e quasi non solo metaforicamente, poiché si è parte di una discussione che si ripercuote sull'idea di società e sulla visione delle politiche pubbliche. All'interno di questa discussione Tronto ha provato a riposizionare l'etica della cura e ha cercato di farne un tratto costitutivo non di un singolo genere, bensì un paradigma di analisi e di orientamento valoriale delle politiche pubbliche e della dimensione istituzionale. Ella cerca così di coniugare l'etica della cura con gli spazi della democrazia, delle istituzioni, con l'idea di una cittadinanza pienamente intesa: un punto rilevante di questo dibattito si sostanzia nel fatto che una certa visione dell'etica - una prospettiva valoriale - riesce ad incarnarsi pienamente nelle politiche pubbliche, in una dimensione prettamente politica e istituzionale.

E qui credo stia l'interesse della figura di Tronto, l'interesse della sua opera. Essa ha come sottotitolo - significativamente - un argomento politico per l'etica della cura, a enfatizzare fortemente la dimensione politica del curare, del relazionarsi agli altri. La cura non è però limitata allo spazio privato, domestico, spazio nel quale la storia ha spesso confinato, relegato il genere femminile; il tentativo è al contrario quello di ridefinire i «confini» della sfera pubblica proprio immettendo in essa i valori connessi all'idea della cura.

Dopo aver profilato i tratti caratterizzanti dello scenario in cui si colloca l'opera dell'autrice, nonché il suo contesto di riflessione, un terzo aspetto da osservare è l'ambizione teoretica di Tronto, consistente nel coniugare un paradigma filosofico ed etico come quello della cura con una serie di ambiti, di sfere sociali importanti che riguardano la vita di ogni cittadino. Con l'etica della cura Tronto non si inserisce solo all'interno del dibattito in seno al femminismo teorico, ma si inserisce nel cuore del dibattito sulla lotta alle discriminazioni, sulla promozione delle pari opportunità, su come le politiche istituzionali possano veicolare determinati valori di emancipazione. Svolgendo questo tentativo la sua riflessione non è incentrata solamente sul genere femminile, ma si rivolge a tutti i soggetti cosiddetti "vulnerabili". La prospettiva che Tronto indica è quella di pensare la società a partire dai soggetti che tradizionalmente sono stati tenuti ai margini o fuori dalla sfera pubblica, per come si è venuta sviluppando (al riguardo, nel testo è contenuta una trattazione che parte dal '700 e si sviluppa fino al '900); il riferimento è certamente alle donne come soggetti vulnerabili all'interno della sfera pubblica, ma anche a coloro che si ritrovano a vivere in società che li considerano estranei o stranieri. Ciò che noi in maniera edulcorata spesso definiamo "migranti", sono proprio coloro nelle nostre società sempre più sono chiamati a svolgere lavoro di cura; lavoro di cura sminuito e non riconosciuto all'interno della sfera pubblica, ma molto spesso sottovalutato o addirittura sfruttato. Al riguardo Tronto articola un'analisi molto radicale sulle forme di oppressione legate al lavoro di cura svolto dai soggetti più deboli della società - non sono solo le donne, ma anche, appunto, i migranti, i cosiddetti "stranieri" - e sottolinea quanto sia straordinariamente oppressiva, oggi, la condizione delle donne "straniere", donne e al contempo migranti.

Un altro aspetto di questa visione della vulnerabilità che credo possa risultare interessante, si lega alla possibilità di concepire il paradigma dell'etica della cura in relazione ad altri soggetti deboli, ad altri soggetti vulnerabili: nel testo questo tema è solamente accennato, ma credo meriti attenzione. Tronto quando pensa ai soggetti più vulnerabili, pensa anche ai soggetti portatori di handicap, ai soggetti con bisogni specifici, e quindi allarga la sua riflessione sulla vulnerabilità giungendo a suggerire una sorta di "mappa" dei soggetti vulnerabili. Ella si interroga su come le politiche pubbliche possano far fronte a queste forme di vulnerabilità e come si possano contrastare le forme di tendenziale esclusione dalla società.

Quello dell'autrice statunitense è, dunque, un approccio che si impernia su una tesi molto forte, una prospettiva valoriale centrata sulla cura che va ad agire su una serie di ambiti riconducibili ai nostri sistemi di welfare. Essi hanno sempre come soggetto di riferimento - questo il loro compito precipuo - i più vulnerabili, e si interrogano su come orientare le politiche per rendere le persone vulnerabili meno vulnerabili o comunque per includerle all'interno della sfera sociale. Questi soggetti mancano molto spesso proprio di un riconoscimento paritario nella sfera pubblica, sono voci assenti che occorre, invece, introdurre, saper ascoltare e soprattutto "prendere sul serio". Questa è la sfida, che credo sveli anche la forte carica di emancipazione sociale della prospettiva di Tronto: l'etica della cura è orientata da un robusto ma pragmatico radicalismo democratico, che cerca di proporre una via progressiva alla vita pubblica.

Gianmaria Zamagni