2009

C. Schmitt, Die Tyrannei der Werte, Kohlhammer, Stuttgart 1967, trad. it La tirannia dei valori. Riflessioni di un giurista sulla filosofia dei valori, con un saggio di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2008, ISBN 978-88-459-2315-9

Sono trascorsi quasi cinquant'anni da quando l'ormai attempato Carl Schmitt, in occasione di un seminario tenutosi a Ebrach nell'ottobre del '59, organizzato dall'allievo e amico Ernst Forsthoff, prese la parola dopo la relazione di quest'ultimo su "Virtù e valore nella dottrina dello Stato". Quell'intervento, consegnato molto più tardi alle stampe come saggio intitolato Die Tyrannei der Werte, viene oggi riproposto da Adelphi, corredato dal prezioso e documentatissimo saggio di Franco Volpi. Come sottolinea il curatore Giovanni Giurisatti nell'Avvertenza al volume, il discorso schmittiano - consegnato dal giurista stesso alle stampe in un'edizione fuori commercio per allievi e conoscenti - fu accompagnato da una dedica dello stesso "ai convenuti di Ebrach del 1959" dove veniva anche segnalato che le riflessioni lì esposte "non intendevano oltrepassare i limiti" della discussione contingente. A dispetto della limitata tiratura (200 copie), quell'intervento fu poi pubblicato in Germania nel 1964 dalla "Frankfurter Allgemeine Zeitung", che, all'insaputa di Schmitt, lo offrì a una vasta platea di lettori, dopo averlo sottoposto a parecchi tagli. Fu probabilmente in risposta a quella versione incompleta e non "autorizzata" che Schmitt, per omaggiare il sessantacinquesimo compleanno dell'allievo Forsthoff, ripubblicherà, nel 1967, il testo originale del seminario, preceduto da un'approfondita introduzione nella quale si delineano il "senso" e le circostanze del discorso. Se Ebrach - come Volpi precisa acutamente - fu per Schmitt un'occasione di riscatto per parlare nuovamente, dopo le tragiche esperienze del dopoguerra, di politica interna, è pur vero che le riflessioni contenute ne La tirannia dei valori oltrepassano l'ambito del diritto costituzionale e mostrano, in tutta la loro portata, il sostrato ideologico della conflittualità sorta con la crisi dello jus publicum europaeum. La critica al "valore" come veicolo di ostilità, diviene nel saggio il Leitmotiv che, tra filosofia e diritto, attraversa tutto il discorso schmittiano.

Perché, dunque, discettare in munere alieno, concentrando il discorso sui "valori" in un contesto - come quello di Ebrach - le cui tematiche riguardavano piuttosto il problema della "dissoluzione dell'unità universale della scienza" e "la disgregazione in discipline specialistiche più o meno isolate"? Perché la critica radicale del concetto di valore diventa - eludendo la meta originaria - il nucleo fondante della dissertazione schmittiana? Senza il richiamo di Joachim Ritter al filosofo Nicolai Hartmann e alla tesi di quest'ultimo sulla "tirannia dei valori", mutuata poi da Schmitt, la discussione avrebbe preso un corso diverso. Ma quel richiamo ai valori, che solo per caso affiora nel dibattito, non rimane per Schmitt inascoltato e gli offre, semmai, l'opportunità di dare una risposta - da molti allievi attesa - "alle questioni lasciate aperte nel Nomos della terra". Emerge con chiarezza dal commento di Volpi - nel quale è tracciata anche una puntuale ricostruzione storica del concetto di valore - come esso, sconfinando dalla sua sfera originaria - l'economia - e invadendo ogni ambito dell'esistenza sociale e politica, abbia prodotto, per Schmitt, una moralizzazione non scevra di pericoli. La critica alla "filosofia dei valori" di ispirazione neokantiana si intreccia in questo scritto con la critica al neocostituzionalismo "dei valori", il cui riferimento e applicazione nel diritto ha prodotto quella trasformazione per cui la giurisprudenza da strumento della medietà diventa strumento di criminalizzazione e annientamento.

Con lo stile tagliente che lo contraddistingue, Schmitt ripercorre, in queste pagine, la storia della fortuna del concetto di valore, tentando di spiegarne l'incontestabile successo - nella nostra epoca - e il continuo "uso" e "abuso" in voga nella retorica politica. Facendo propria la lezione heideggeriana de La sentenza di Nietzsche "Dio è morto", Schmitt, sulla scia del grande maestro del nichilismo, avverte che il "parlare di valori e il pensare per valori" conduce "a un eterno conflitto dei valori e delle divisioni del mondo, una guerra di tutti contro tutti, un perpetuo bellum omnium contra omnes al cui confronto il vecchio bellum omnium contra omnes e persino l'atroce stato di natura della filosofia politica di Thomas Hobbes sono autentici idilli" (p.50). Ma il valore non è mai oggettivo, bensì solo soggettivamente riferito alla realtà; ciò significa, che "il valore non è, ma vale" e ciò che vale, sottolinea Schmitt, "aspira apertamente a essere posto in atto". È dunque l'uomo che pone i valori ed è proprio il soggettivismo - sotteso ad ogni valore - a rendere pericolosa, agli occhi di Schmitt, ogni filosofia dei valori e ancor più ogni tentativo di "oggettivazione" degli stessi.

Se gli sforzi operati dall'etica materiale di Scheler e Hartmann "per sfuggire al soggettivismo delle valutazioni" (p. 51) appaiono a Schmitt altrettanto insidiosi, la ragione di ciò risiede nella pretesa di questi "sistemi" di restituire ai valori un fondamento oggettivo, occultando, così, la cornice soggettivistica entro la quale sorgono. Proprio per questo più veritiera gli appare - pur non condividendola - "l'onestà intellettuale di Weber", che con nichilistico disincanto smaschera la loro soggettiva provenienza. Il weberiano "politeismo dei valori", lungi dal generare un relativismo nel quale regni una sconfinata tolleranza delle varie concezioni del mondo, diviene, piuttosto, agli occhi di Schmitt, il terreno di uno scontro inevitabile, la cifra della logica del valore che - proprio perché deve "valere" - non può che affermarsi svalutando gli altri valori.

L'orizzonte dei vari "punti di vista", entro il quale si muove ogni filosofia dei valori, - che si presenta a Weber come "un'infinita molteplicità di prese di posizioni 'valutative'" (p.55) - rivela a Schmitt, al di là di una pluralità di prospettive, l'aggressività di cui è intrisa ogni posizione, dal momento che ogni "punto di osservazione" non è che "un punto d'attacco":

L'espressione "punto di attacco" svela la potenziale aggressività immanente a ogni posizione di valori. Espressioni come "punto di osservazione" o "punto di vista" sono fuorvianti e danno l'impressione di un relativismo, un relazionismo e un prospettivismo apparentemente illimitati, e con ciò di altrettanta tolleranza, legata a una sostanziale, benevola neutralità. Ma non appena si è consapevoli del fatto che qui sono in gioco anche punti di attacco, le illusioni neutralistiche cadono. Si può provare a stemperare l'espressione "punto di attacco" reinterpretandola come semplice "punto di partenza". Così si attenuerebbe però solo la sgradevole impressione, ma non l'immanente aggressività. Questa rimane il "fatale rovescio" dei valori (pp. 55-56).

La svalutazione del valore rifiutato in quanto non-valore, inscindibilmente connessa alla logica del valutare, rende fallace, agli occhi di Schmitt, ogni tentativo da parte della filosofia dei valori di "superare la grande crisi aperta dal nichilismo" (p. 58), poiché dischiude un orizzonte di conflittualità entro il quale nessuna neutralizzazione è possibile: "Il valore superiore ha il diritto e il dovere di sottomettere a sé il valore inferiore, e il valore in quanto tale annienta giustamente il non-valore in quanto tale. È tutto chiaro e semplice, fondato sulla specificità del valutare. Appunto in ciò consiste la 'tirannia dei valori', di cui a poco a poco acquisiamo consapevolezza" (p. 60).

Ma è sul terreno giuridico-politico - sostiene Schmitt - che gli esiti inquietanti di ogni svalutazione evidenziano il portato discriminatorio di un pensare per valori. In quest'ambito - più che in ogni altro - l'appello ai valori, che "festeggia i suoi autentici trionfi" (p.64), rievocando la guerra giusta, mostra la sua intrinseca polemicità e suoi tirannici effetti. Ne consegue che, secondo Schmitt: "Ogni riguardo nei confronti del nemico viene a cadere, anzi diventa un non-valore non appena la battaglia contro il nemico diventa una battaglia per i valori supremi. Il non-valore non gode di alcun diritto di fronte al valore, e quando si tratta di imporre il valore supremo nessun prezzo è troppo alto. Sulla scena perciò restano solo l'annientatore e l'annientato. Tutte le categorie del diritto bellico classico dello jus publicum europaeum - giusto nemico, giusto motivo della guerra, giusta misura dei mezzi e adeguatezza della condotta (debitus modus) - cadono irrimediabilmente vittime di questa mancanza di valori" (p. 65).

Consapevole, nonché testimone, che il richiamo a ragioni morali - e la loro pretesa di universalità - conduce all'annientamento, Schmitt conclude esortando "Ne simus faciles in verbis", in particolar modo quando si parla di valori. Sia cauto, dunque, quel legislatore che fa ricorso ad essi, perché nulla più del valore necessita di mediazione. Di fronte al dilagante processo di valorizzazione "è compito del legislatore e delle leggi da lui decretate stabilire la mediazione tramite regole misurabili e applicabili e impedire il terrore dell'attuazione immediata e automatica dei valori" (p. 67). Esercizio non facile, ma doveroso, dal momento che chi si arma del valore è un potenziale assassino.

La logica di affermazione dei valori nello scenario globale attuale - magistralmente rappresentata dall'etica neocon della "lotta del bene contro l'asse del male" - mostra con evidenza quanto il messaggio schmittiano sia stato disatteso. Che cosa sono le guerre odierne - malgrado le "bombe intelligenti" e i loro inevitabili "effetti collaterali" - se non gli strumenti per l'attuazione dei propri valori, al prezzo dell'annientamento di quelli altrui? Se volessimo cogliere la provocatoria ingiunzione di Volpi, che suggerisce la lettura di queste pagine come se fossero anonime, potremmo sostenere senza alcun dubbio che le diagnosi e le profezie qui contenute siano ancora, purtroppo, estremamente attuali.

Claudia Terranova