2005

M. Steger, Gandhi's Dilemma. Nonviolent Principles and Nationalist Power, St. Martin's Press, New York 2000, pp. 232, ISBN 0312221770

Il dilemma di Gandhi è quello che si può trovare a fronteggiare ogni riformatore politico; è il dilemma tra il rispetto dei principi morali e l'esigenza di avviare una azione efficace, in grado di vincere le resistenze e incidere sulla realtà. Rimanendo fedele a valori come la nonviolenza, la non menzogna e il rispetto dell'avversario, infatti, il riformatore politico rischia di non riuscire a ottenere i propri scopi; mentre accettando le regole della lotta politica fino in fondo e, quindi, ammettendo la possibilità di usare la violenza e la menzogna come armi utili, va incontro al tradimento dei suoi valori morali e dei suoi ideali politici. Si tratta, insomma, di un dilemma simile a quello della scelta tra un'etica della convinzione, che permette di rimanere integri ma non sempre risulta funzionale agli scopi prefissi; e un'etica della responsabilità, che può implicare di dover compiere azioni contrarie alla propria morale per ottenere obiettivi desiderabili. Per illustrare questo dilemma, Steger sceglie di porre la figura di Gandhi al centro della sua indagine, in quanto il leader indiano è uno degli uomini politici del Novecento che in modo più diretto si sono confrontati con questo dilemma. Egli, infatti, si è proposto l'ambizioso compito di far coincidere l'azione politica con quella morale, cercando di attuare una lotta nonviolenta e rispettosa dell'avversario, senza per questo rinunciare a obiettivi politici radicali. Una lotta, cioè, che non si propone di annientare o di umiliare l'avversario, ma di ottenere il suo consenso al termine di una campagna politica decisamente antagonista e, nello stesso tempo, fermamente cooperativa.

Secondo Steger, Gandhi non riesce a portare a termine un simile compito, malgrado ottenga dei significativi successi nell'indirizzare la lotta politica verso forme nonviolente. Le ragioni del suo fallimento sono rintracciate da Steger nell'ideologia - il nazionalismo - che Gandhi utilizza nella sua battaglia per l'indipendenza indiana. Alla luce di una puntuale analisi concettuale, attenta soprattutto a valutare l'impatto della cultura occidentale sul pensiero di Gandhi, Steger giunge a sostenere che l'ideologia nazionalista del leader indiano mostra caratteristiche ben poco coerenti con i principi nonviolenti che egli dichiara di accettare. Un esempio chiaro di tale incoerenza si trova nei discorsi volti a mobilitare il popolo indiano contro la dominazione coloniale, dove Gandhi utilizza un linguaggio permeato da quella che Steger chiama "conceptual violence"; cioè da un modo di concepire il rapporto tra avversari che tende a separare in una visione tendenzialmente manichea il "bene" - che coincide con il "Noi" - dal "male" - rappresentato dall'Altro. Una "violenza concettuale", nota ancora Steger, che, in ultima analisi, ha contribuito a legittimare sul piano morale gli episodi di violenza fisica dei nazionalisti indiani contro gli avversari, verificatisi nel corso della lotta per l'indipendenza. Un altro esempio di "violenza concettuale" può essere rintracciato nell'enfasi con cui Gandhi definisce "satanici" i tratti della civiltà occidentale, in contrapposizione con la "santità" della cultura tradizionale indiana imbevuta di spirito religioso. Lungi dal riuscire a proporre un metodo di lotta politica davvero coerente con la morale, quindi, Gandhi non farebbe che riproporre gli schemi violenti e discriminanti che egli vorrebbe bandire.

Un esito simile non è, secondo Steger, da imputarsi a degli "errori" di Gandhi ma, come si è accennato, è inscritto nell'ideologia assunta dal leader indiano, il nazionalismo; si tratta quindi di un esito necessario. Steger argomenta questa tesi facendo osservare che tutte le forme di nazionalismo nascono nel contesto di identità collettive "escludenti" e di spazi delimitati da confini rigidi, che prevedono necessariamente la supposizione di una qualità peculiare e positiva che caratterizza chi appartiene a quegli spazi e a quelle identità collettive e di cui, invece, è privo chi non vi appartiene. Assumere il nazionalismo come ideologia capace di veicolare il mutamento politico, quindi, significa per Gandhi andare inevitabilmente incontro a dinamiche discriminanti e, in ultima analisi, violente.

Si pone a questo punto la questione se sia possibile condurre una lotta politica senza adottare alcuna prospettiva nazionalista o, in generale, "escludente". Si tratta cioè di capire se ci si possa opporre alla violenza, all'oppressione e allo sfruttamento solo sulla base di un'ideologia universalista, senza chiamare in causa parole d'ordine discriminatorie come la nazione, la razza o la classe. La risposta a questo problema, secondo Steger, non può essere che negativa perché ogni individuo vive la propria vita all'interno di una rete di solidarietà particolari e per loro natura selettive verso l'esterno. Non solo, l'esistenza degli stessi valori cosmopolitici dipende in larga parte dalla natura del gruppo particolare in cui nascono (per esempio, tali valori si sviluppano con più facilità all'interno di uno Stato nazionale democratico e che riesce a garantire la sicurezza dei cittadini rispetto a una situazione di violenza o di conflitto irrisolto).

Ma se non è possibile eliminare il nazionalismo (o in generale ogni prospettiva discriminante) dall'orizzonte dell'azione politica, sembra che si debba concludere che il dilemma di Gandhi, posto dall'autore all'inizio del suo studio, non possa essere risolto se non con il sacrificio degli ideali etici sull'altare del realismo politico. In realtà, a giudizio di Steger, non è necessario giungere a una tale drastica conclusione: riconoscere l'impossibilità di conciliare fino in fondo gli ideali universalisti e le esigenze della lotta politica non deve indurre ad abbracciare il cinismo o la passività; tale riconoscimento invece getta luce sulla natura della politica che, da un lato, si sottrae a ogni soluzione facile e "bene ordinata"; e dall'altro, richiede a chi voglia misurarsi con essa di tentare una sorta di quadratura del cerchio tra l'azione volta a raggiungere lo scopo e l'affermazione degli ideali universali.

Alberto Castelli