2005

S. Žižek, The Ticklish Subject. The Absent Centre of Political Ontology, Verso, London - New York 1999, trad. it. di D. Cantone e L. Chiesa, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Cortina, Milano 2003, pp. 500, ISBN 88-7078-821-0

In una buona traduzione viene presentato al pubblico italiano il testo di Žižek apparso nel 1999 per i tipi di Verso. Il soggetto scabroso cerca di rendere in italiano un titolo inglese difficilmente traducibile: The Ticklish Subject. Si può forse obiettare sulla scelta di rendere ticklish con "scabroso", ma i traduttori rendono ben conto di questa loro decisione; piuttosto mi sembra si perda qualcosa, se non addirittura si crei un vero e proprio frainteso, nel sottotitolo, che trasforma the absent centre of political ontology in un ingiustificato Trattato di ontologia politica. La questione è, mi sembra, che proprio quell'absent centre dell'ontologia politica costituisce uno snodo essenziale del ripensamento dell'universalismo, al di là delle secche generate dalla riduzione del soggetto a processo di soggettivazione o, se si vuole, di una mera opposizione tra soggetto e sostanza. Ma andiamo con ordine.

Articolandosi attraverso il confronto con Heidegger ed Hegel (Parte I), con la filosofia contemporanea di ascendenza althusseriana - Balibar, Badiou, Rancière e Laclau - (Parte II) e con il pensiero politico postmoderno, il libro di Žižek si presenta come un radicale tentativo di ripensare la soggettività politica a partire dal soggetto cartesiano, contro la «santa alleanza» in lotta «per esorcizzarlo». Riecheggiano nella "Introduzione" di Žižek le parole del celebre incipit marxiano al Manifesto del programma comunista: «Uno spettro si aggira per il mondo accademico occidentale... lo spettro del soggetto cartesiano» (p. 1). Ma quali sono i poteri accademici in lotta contro il soggetto cartesiano e perché esorcizzarlo? Qual è, insomma, la posta in gioco? Žižek presenta un lungo elenco che va dagli approcci olistici e oscurantistici della New Age, al decostruzionismo postmoderno che riduce il soggetto cartesiano a finzione discorsiva, ai teorici habermasiani che pongono l'accento sull'intersoggettività discorsiva, fino agli heideggeriani, agli scienziati cognitivisti, agli ecologisti radicali, ai critici postmarxisti e alle femministe. Non essendo possibile ripercorre nello specifico le argomentazioni dell'A. contro tutte queste diverse e spesso confliggenti varianti del rifiuto del soggetto cartesiano, è necessario passare subito alla posta in gioco: si tratta del nesso tra Verità e politica. Si tratta, riprendendo Badiou, di oltrepassare ogni forma di disconoscimento della Verità per ripensare la «politica della Verità (universale) nelle condizioni contemporanee di contingenza globale» (p. 161). Qui anche il necessario rapporto con la soggettività. Senza fare alcuna concessione alle critiche contro una presunta hybris della soggettività cartesiana, Žižek afferma che l'unica speranza di redenzione si trova in un eccesso di soggettività: «il vero male non sta nell'eccesso di soggettività in quanto tale, ma nella sua "ontologizzazione", nella sua reinscrizione in una qualche cornice cosmico-globale» (p. 162).

Assumere fino in fondo la mossa antimetafisica di Kant significa non cedere a nessuna metafisica di un ordine segreto delle cose, di un'unità presintetica e preimmaginativa che starebbe prima dell'attività soggettiva. È questa armonia segreta del cosmo, tra l'altro, a costituire il leit motiv della mossa antisoggettivistica della New Age, figura postmoderna di una passiva apologia dell'esistente. Il problema posto da Žižek, al contrario, è come deve essere concepito il «gesto che fonda la soggettività» (p. 77), l'atto negativo dell'astrazione in senso hegeliano. Si tratta di affermare non un'irriducibile oggettività dell'oggetto, ciò che, nell'oggetto, «resiste di continuo a ogni traduzione nella nostra rete concettuale» (p. 111), ma «ciò che è nell'oggetto più che l'oggetto stesso» (ibidem). Si tratta di rinvenire nell'oggetto una traccia di storia passata, tracce di un tentativo fallito di liberazione che avrebbe potuto fare dell'oggetto qualcosa di diverso. Ciò che quindi elude la nostra presa sulla Cosa non è un'irriducibile oggettività dell'oggetto, non è un eccesso oggettivo rispetto alla nostra capacità cognitiva, ma al contrario una «mancanza, ovvero [...] tracce di un fallimento, un'assenza inscritta nella sua esistenza concreta» (p. 112). Ciò che rende l'oggetto opaco e fa al contempo scandalo è un deficit di soggettività nell'oggetto: il problema non è salvare l'oggettività dell'oggetto da una pretesa hybris del soggetto cartesiano, ma al contrario registrare che nell'oggetto c'è troppo poca soggettività.

Incominciamo così ad approssimarci al problema specificamente politico-filosofico del Soggetto scabroso. Questo si disloca all'altezza del nesso tra Soggettività-Verità-Evento. Ed è questo anche il punto in cui Žižek si discosta da Badiou: se nel filosofo francese il passaggio dall'Essere all'Evento rimane indeterminato e ingiustificato, frutto di una decisione in forza della quale il soggetto apre un buco nell'ordine pieno dell'Essere, per Žižek il soggetto è invece «il gesto contingente-eccessivo che costituisce l'ordine universale dell'Essere» (p. 200). Ogni ontologia è dunque politica, perché basata su un atto soggettivo di decisione: ciò significa che non esiste nessun universo, nessuna totalità autosussistente, perché la condizione ontologica della realtà stessa è la nostra capacità soggettiva di comprendere la realtà. E poiché siamo sempre all'interno della realtà stessa, l'universalità coinciderà con un punto di vista soggettivo. Ora, questa riflessione non va assolutamente nella direzione del relativismo della doxa postmoderna, ma intende invece assumere fino in fondo la Verità che sta nella parte.

La parzialità della Verità si coniuga con la non neutralità dell'Universale, il quale si dà solo come confronto politico, come la «parte di nessuna parte» che «si presenta/manifesta come sostituto dell'Universale» (p. 252). L'Universale non si concretizza in nessun Particolare, perché questo innesto implica sempre e necessariamente una serie di esclusioni; piuttosto si tratta di individuare nella figura paradossale di un singulier universel quell'eccesso sintomatico che testimonia lo scarto tra l'Universale e il Particolare (p. 224). Il singulier universel funziona da destabilizzatore dell'ordine delle relazioni del corpo sociale, come «identificazione della non parte con l'Intero» (p. 233). Il punto di vista di chi non ha parte mostra la falsità della pretesa neutralità dell'Universale, non per porre una nuova autentica, neutrale Universalità, ma per affermare l'impossibilità stessa della neutralità, per affermare quindi che «l'imparzialità del liberale è già da sempre parziale» (p. 282).

Ne segue la delineazione di una natura intrinsecamente antagonistica dell'universalità: non basta denunciare la parzialità dell'universale, il contenuto particolare che si annida dietro qualche concetto universale, non basta cioè denunciare il concetto di "uomo" dei diritti umani in quanto frutto di una concezione maschilista ed eurocentrica (il maschio bianco, possidente ecc.), bisogna piuttosto assumere «il punto di eccezione/esclusione intrinseco, l'"infimo" dell'ordine positivo concreto, in quanto unico punto della vera universalità» (p. 283). Insomma, la critica al carattere eurocentrico della pretesa universalità dei diritti umani non coglierebbe assolutamente nel segno, perché la realtà odierna sarebbe contraddistinta da una omogeneizzazione senza precedenti, da una universale anonimia, e non dalla particolarità europea. La critica multiculturalista, analogamente a quella dei cultural studies, svolgerebbe allora un servizio essenziale allo sviluppo sfrenato del capitalismo, perché la sua enfasi "antiessenzialista" occulterebbe l'attuale dispiegamento di un one world capitalistico.

Non solo dunque il multiculturalismo sarebbe una forma di «razzismo rinnegato» e il suo rispetto della specificità dell'Altro «il modo stesso in cui esso asserisce la propria superiorità» (p. 272), ma, presentando una molteplicità di identità irriducibili, esso lavorerebbe alla costruzione di un'ideologia che occulta l'odierna omogeneità mondiale dello sviluppo capitalistico. La risposta di Žižek non si risolve né nella romantica e reazionaria salvaguardia delle identità comunitarie, né nell'apologia postmoderna del carattere "ibrido" di ogni identità, che può certo andare bene per «l'accademico cosmopolita di classe alta o medio-alta, sempre in possesso dei visti giusti che gli permettono di attraversare i confini senza problemi (...) e quindi capace di "godere della differenza"», ma mal si addice al lavoratore migrante «che ha lasciato la sua casa a causa della povertà o della violenza» (p. 278). «Ciò che, per il soggetto interessato, rappresenta un'esperienza di sofferenza e di disperazione estreme, il marchio dell'esclusione, dell'essere incapace di partecipare alla vita della sua comunità, viene celebrato - dal punto di vista del teorico postmoderno esterno, "normale" e pienamente adattato - come l'asserzione somma della macchina desiderante sovversiva...» (p. 279). Qui il riferimento polemico è chiaramente alla celebrazione dello schizo-soggetto di Deleuze e Guattari, ma come non pensare anche a tanta letteratura nostrana...

Fin qui la pars destruens. Scartata l'opzione multiculturalista del dialogo tra le identità, così come quella della loro ibridazione postmoderna, il problema della comunicazione viene ripensato da Žižek a partire dalla pratica, cioè dalla solidarietà che si esplica in una lotta comune (p. 278). Qui le questioni aperte da Žižek richiederebbero un ulteriore sforzo analitico teso a specificare modalità e forma di una pratica in comune dei diritti e della politica. Pensare l'universalità nel punto di esclusione significa scompaginare l'ordine di una società strutturata gerarchicamente, misurando l'universalità a partire dal modo in cui le parti entrano in rapporto con ciò che è escluso. Si tratta quindi di pensare non a un'universalità concreta, determinata nel suo contenuto, ma piuttosto a un'universalità vuota che esiste nella forma della politicizzazione della situazione nella quale si trova il soggetto particolare che ha subito un torto, inteso marxianamente come das Unrecht schlechthin.

Massimiliano Tomba