2005

S. Simoncini, Frontiera Sud, Fandango, Roma 2004, ISBN 88-87517-97-5

Frontiera Sud è quello spazio di mare e di terra che separa l'Unione Europea dal Sud del mondo ad essa più prossimo. E' quel limite che divide il benessere sociale ed economico, generalmente associato all'Europa, dalle tante espressioni della povertà e della marginalità che definiscono, certamente in modo parziale, il continente africano nei suoi elementi più diversi.

Il libro di Simoncini è senza dubbio originale: un'analisi lucida e aperta dei numerosissimi aspetti che connotano il processo migratorio. Si tratta di un reportage, appassionato quanto dettagliato, sui percorsi dell'immigrazione irregolare dal Marocco alla Spagna: un viaggio a ritroso dall'Europa oltre la sua frontiera meridionale, che passa da Madrid, la regione dell'Almeria, Tangeri e Ceuta per terminare a Rabat. Pur essendo circoscritto alle migrazioni internazionali che interessano la frontiera ispano-marocchina, questo libro-inchiesta offre uno sguardo critico ben più ampio che indaga la complessità dell'emigrazione verso l'Europa. E' un viaggio che, secondo le stesse parole dell'autore, cerca "di seguire nel tempo e nello spazio le conseguenze delle politiche migratorie europee" (p. 252), presentando, in un'ottica inedita ed efficace, i risultati di una ricerca sul campo che si segnala, nel quadro delle pubblicazioni sulle migrazioni, per la sua originalità, per la sua densità e soprattutto per il suo spessore critico.

L'analisi contenuta nel testo si appoggia su un insieme consistente di interviste, raccolte nel volume ed inserite nel corpo narrativo, attraverso le quali l'autore fa intervenire direttamente gli attori coinvolti nelle vicende dell'emigrazione/immigrazione documentate nel viaggio: migranti, regolari ed irregolari, marocchini e subsahariani, operatori delle associazioni e delle ONG, funzionari degli enti locali, rappresentanti informali delle comunità o dei gruppi organizzati di immigrati, rappresentanti sindacali, ed altri soggetti che partecipano a diverso titolo, attivamente o passivamente, alle situazioni configurate dai movimenti migratori dal Marocco verso l'Europa. La composizione di questo materiale offre uno spaccato dettagliato e assai complesso del processo migratorio. Le motivazioni individuali dei migranti, pur soggettive, rimandano ad un insieme di condizioni oggettive identificabili come fattori di spinta: crescita della disoccupazione, variabile demografica, tasso di crescita economico modesto o scarso, alto differenziale in termini di prestazioni statali verso i cittadini e di prosperità sociale - ingigantito dai mass-media - riduzione generale di risorse naturali come l'acqua, presenza di conflitti e guerre, formazione di una 'catena migratoria' collegata alla presenza delle comunità emigrate in Europa. Questi fattori segnalano che il cosiddetto 'effetto chiamata' ha poco a che fare con le legislazioni più o meno permissive prodotte dalla UE in materia di immigrazione e asilo, bensì consegue direttamente dalle enormi disuguaglianze politiche, economiche e sociali che dividono il Sud dal Nord del mondo.

I flussi migratori verso l'Europa si qualificano prevalentemente - ma non interamente - come prodotti di un'emigrazione di natura economica. Di conseguenza sono le opportunità di lavoro e il relativo benessere sociale che ne deriva ad occupare un ruolo centrale e a costituire le dimensioni nei confronti delle quali il migrante ripone maggiori aspettative. Un lavoro che tuttavia si traduce spesso in sfruttamento e in emarginazione sociale, come dimostra il contesto della produzione agricola dell'Almeria nella Spagna meridionale (Cfr. capitolo II): un'economia, basata sulla manodopera offerta dall'immigrazione irregolare, che occupa 35.000-45.000 lavoratori senza documenti in tutta la regione, remunerati molto al di sotto del contratto collettivo e coinvolti in una condizione di "segregazione spaziale" (p. 45) che rende impossibile qualsiasi tentativo di integrazione.

La Spagna, in linea con le direttive della UE, pratica una politica altamente repressiva nei confronti dell'immigrazione non-documentata, in un contesto di graduale restringimento dei canali dell'immigrazione regolare. La frontiera con il Marocco, che, oltre alle coste della penisola, comprende le linee di confine delle due enclaves di Ceuta e Melilla nel continente africano, nel corso degli ultimi anni è stata rinforzata attraverso l'uso di tecnologie sempre più sofisticate per contenere, se non eliminare del tutto, i passaggi clandestini via mare e via terra. Piuttosto che servire come strumenti di dissuasione, il sistema delle espulsioni, perfezionato attraverso gli accordi di riammissione con il Marocco, nonché il controllo repressivo delle frontiere, a fronte della loro sostanziale inefficacia in rapporto al fenomeno sempre crescente dei passaggi clandestini, finiscono per assumere un "valore prevalentemente simbolico e fine a se stesso" (p. 117). Gli effetti reali della chiusura delle frontiere, che rimangono comunque porose e permeabili, sono da un lato l'aumento esponenziale della pericolosità dei viaggi che i migranti devono affrontare per raggiungere e superare i confini della UE, con il conseguente rafforzamento delle reti criminali e mafiose che sfruttano il traffico internazionale delle persone; dall'altro la violazione massiccia del diritto di asilo, il cui contenuto primario è l'accesso al territorio in cui il rifugiato esercita il suo diritto di chiedere protezione. Effetti questi costantemente offuscati dai media, se non tacitamente occultati, in modo da evitare di interpretarli come costi umani, in termini di sofferenza e morte, delle politiche restrittive europee. "Il continuum spazio-temporale non va ricostruito perché altrimenti il fatto sfocerebbe nella realtà e la realtà dei costi umani determinerebbe una dissociazione dal presunto 'interesse generale' che giustifica le politiche repressive" (p. 111). Per sottrarsi a questo genere di valutazioni, occorre "evitare che il 'fatto' degli sbarchi diventi 'storia'" (Ibidem). Occorre, in altri termini, decontestualizzarlo, in modo da presentarlo come una necessità ineluttabile tutto sommato accettabile proprio perché inevitabile. Si cristallizzano così, senza mai metterli in discussione, la realtà della povertà del Sud ed il disinteresse nei confronti di un concreto sviluppo politico, sociale e soprattutto economico dell'Africa, che rimane, pur nelle sue singole espressioni, terra di miseria e di violenza sfrenata dalla quale una massa incontenibile di disperati sogna di fare il "grande salto" (p. XI) verso l'Europa. Le alte recinzioni delle frontiere di Ceuta e Melilla, e i migranti morti o feriti nel tentativo di passare in territorio spagnolo, segnalano - in maniera oggi tristemente visibile - "l'esistenza di una guerra fredda tra Nord e Sud del mondo" (p. 154) che si consuma nel conteggio quotidiano delle vittime, nella svalutazione dei fatti e nel loro svuotamento simbolico. La frontiera ispano-marocchina del resto è forse la frontiera europea più significativa, poiché conferma, sottolineandolo, quel rapporto asimmetrico tra l'Europa e l'Africa che sta alla base della costruzione del nuovo "ordine dei 'continenti fortezza'" (p. X) Il Marocco oltre che essere un paese di forte emigrazione è anche paese di transito dei percorsi migratori dell'Africa subsahariana. Inoltre "per la sua decisiva funzione di gendarme contro l'immigrazione e la sua partecipazione ad un'area di libero scambio" (p. XI) è stato inserito dalla UE in un "graduale processo di [...] valorizzazione che [...] lo accosta al ruolo che il Messico riveste nel Nafta" (Ibidem).

Il viaggio che ci propone Stefano Simoncini avvicina i cosiddetti non-luoghi dell'immigrazione irregolare, mostrandoci come questi, lungi dall'essere spazi privi di identità, siano luoghi di massima concentrazione della sovranità politica, della sua espressione più 'eccezionale' e più violenta. Si tratta piuttosto di spazi altamente simbolici dove le sovranità, di fatto ineguali e di diverso rilievo gerarchico, si incontrano e si scontrano in un gioco fra poteri deregolamentati poiché irreggimentati, rispetto al trattamento dei migranti, da un diritto internazionale ancora immaturo e spesso privo di reale efficacia: un diritto che è ancora troppo marginale rispetto ai poteri forti del mercato e della politica e che di questi, invece che essere vincolo e fattore di contenimento, è spesso strumento legittimo di sopruso ed arbitrio.

Fabrizio Mastromartino