2005

R. Sennett, The Corrosion of Character. The Personal Consequences of Work in the New Capitalism, Norton & Company, New York-London 1998, trad. it. L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, a c. di M. Tavosanis, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 159, ISBN 88-07-81641-5

Questo studio ormai famoso di Richard Sennett - sociologo americano radical da sempre attento osservatore degli effetti del capitalismo sull'ordine sociale - si prefigge di descrivere e analizzare le conseguenze del lavoro flessibile sul carattere degli individui che sempre più lo sperimentano quale condizione lavorativa abituale. Per "carattere" l'a. intende - attraverso richiami ad un'ampia genealogia occidentale che vanno da Orazio a Gadamer, da Esiodo a Levinas, passando per Agostino, Lutero, Pico della Mirandola, Weber e Foucault - "soprattutto i tratti permanenti della nostra esperienza emotiva" (p. 10), ciò che garantisce la continuità nelle relazioni con il mondo e permette all'io di dislocare la propria autonarrazione in una successione temporale lineare e cumulativa. Questa concezione temporalmente strutturata del carattere - come risultato ed espressione della percezione e gestione sia del tempo di lavoro che del tempo di vita - assume pertanto il valore di indicatore antropologico delle nuove forme di soggettività legate all'economia capitalista postfordista. La tesi sostenuta dall'a. è che il "nuovo capitalismo" ha conseguenze devastanti sull'identità e sulla socialità degli individui: la "corrosione del carattere" è un esito della destrutturazione del tempo, della collisione costante tra personalità ed esperienza (di cui l'invecchiamento professionale precoce è solo un epifenomeno), dell'esposizione costante dei lavoratori al rischio, alla precarietà, allo sradicamento sistematico da contesti di lavoro condivisi (la cui illeggibilità, ormai, fa tutt'uno con la frammentazione delle carriere e con la perdita di legami comunitari).

Benché Sennett non intenda svolgere un'analisi economica della flessibilità, ma solo delle conseguenze soggettive che questa comporta, una parte del volume è dedicata alla definizione delle caratteristiche del "sistema di potere implicito nelle forme moderne di flessibilità" (p. 46). L'a. ne individua tre principali, che intendono dare una risposta alternativa - oggi diremmo 'neoliberista' - alle limitazioni economiche imposte dalla "routine burocratica" e dalla "rigidità organizzativa" del passato, onde migliorare in produttività, efficienza e competitività: la reinvenzione continua delle istituzioni, ovvero l'abbattimento delle strutture aziendali piramidali e la loro "ristrutturazione" (reengineering) continua tramite riduzione dei posti di lavoro, ridislocazione produttiva, frammentazione dei ruoli e delle filiere di produzione; la specializzazione flessibile della produzione, ovvero la reinvenzione costante, reattiva in tempo reale alle esigenze del mercato, secondo una strategia di innovazione permanente resa possibile dall'alta tecnologia; la concentrazione del potere senza centralizzazione, ovvero la disaggregazione dei luoghi, dei tempi e delle responsabilità della produzione, attraverso la creazione di arcipelaghi produttivi in rete, senza che questo significhi una diminuzione effettiva del controllo, ma solo il suo divenire sempre più anonimo e ubiquo. Questi tre elementi 'strutturali' sono accompagnati da una trasformazione dell'autocomprensione dominante: la tradizionale etica individualistica del lavoro viene sostituita - ancora in nome della libertà e della creatività - con l'etica del lavoro di gruppo (team) e con le sue "maschere di cooperazione" (p. 113); tutto ciò rende il potere dell'economia postfordista tendenzialmente esente dal richiamo alla responsabilità etica (o sociale, con buona pace della business ethics), e lo dota, per converso, dei peggiori tratti coercitivi della condizione lavorativa premoderna ("chi ha il potere di evitare le responsabilità ha anche i mezzi per reprimere il dissenso", p. 145). In questo quadro, la flessibilità, la tolleranza verso la frammentazione, la mancanza di attaccamento alla durata delle cose e perfino la spontaneità, che costituiscono le virtù (non etiche) dell'"Uomo di Davos" (Bill Gates come "epitome del magnate flessibile", p. 60), diventano per i 'normali' lavoratori scaturigini quotidiane di svuotamento di senso, perdita di continuità identitaria e di autostima.

A metà tra la descrizione sociologica di casi, l'inchiesta economica e la riflessione filosofica e psicologica, scritto con un andamento narrativo molto godibile ma che a tratti ne compromette la linearità e la completezza argomentativa, il "saggio a tesi" di Sennett ci consegna un altro tassello dell'identità postmoderna e delle sue patologie. Con l'accortezza (materialistica) di situarlo al punto d'incontro, ben documentabile sociologicamente, tra le imprescrittibili esigenze del capitalismo flessibile e 'liberato' e le sempre più modulabili configurazioni di una soggettività fragile, disorientata, incerta sui propri bisogni come sui propri diritti. Così, in esplicita e duplice polemica con i corifei della soggettività 'light' e con i teorici del ritorno ai valori di comunità ben protette, l'a. non manca di sottolineare come l'abitudine al rischio generi vulnerabilità anziché "ironia" ("nel mondo moderno questo tipo di personalità ironica diventa autodistruttiva", p. 117), e come l'assenza di protezioni sociali e di solidarietà organizzata produca un ambiguo e ancor più disciplinante "desiderio di comunità", di un "noi" che ristabilisca artificialmente la fiducia e il senso della dipendenza reciproca attraverso legami sociali aconflittuali perché fittizi.

Alessandro Paoli