2005

A. Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano 2002, pp. 160, ISBN 8804504439

Globalizzazione e libertà raccoglie nove saggi ancora inediti, scritti tra il 1995 e il 2001, in cui vengono affrontati alcuni dei temi principali della riflessione etica e politica di Amartya Sen: in particolare il rapporto tra sviluppo economico e diritti dell'uomo all'interno di un mondo già globalizzato.

Secondo Sen, al fine di eliminare le macroscopiche disuguaglianze che caratterizzano la nostra società, non occorre combattere la globalizzazione (che, anzi, di per sé è un fenomeno positivo), ma, piuttosto, procedere ad una distribuzione più equa dei suoi frutti, anche mediante un ripensamento delle politiche e delle istituzioni internazionali (da Bretton Woods il mondo è cambiato). Al riguardo, benché l'a. non fornisca mai una esplicita definizione di 'globalizzazione', è chiaro che, con tale termine, egli designa un fenomeno diverso rispetto a quello contestato dal movimento che viene comunemente definito 'no-global'. Sen, infatti, impiega 'globalizzazione' in antitesi a 'separazione' ed 'autarchia' (cfr. pp. 17-18), per designare principalmente l'insieme delle interazioni e dei contatti su scala globale. Simili relazioni sono giudicate favorevolmente in quanto determinano la diffusione del sapere, il progresso scientifico e l'aumento della ricchezza. In particolare, le relazioni commerciali contribuiscono alla crescita economica, la quale, per Sen, costituisce una condizione necessaria (benché non sufficiente) per l'eliminazione della povertà e delle deprivazioni. L'a. non ignora certo i problemi relativi allo sviluppo sostenibile, ma rifugge da ogni ingiustificato allarmismo. A questo riguardo si segnala il saggio Ambiente, popolazione e economia mondiale (1995) in cui Sen analizza i rapporti tra aumento demografico e produzione alimentare, mostrando come i dati attualmente disponibili smentiscano la tesi secondo cui l'aumento della popolazione potrebbe determinare una generale carenza di cibo.

La crescita economica non è comunque sufficiente a garantire l'eliminazione della povertà: secondo l'a. una condizione preliminare perché i poveri possano partecipare alla distribuzione dei frutti dell'economia di mercato è l'espansione dei loro diritti. Sen sostiene che tra diritti e sviluppo non sussista alcun conflitto: da un lato le libertà (intese in senso ampio, come comprensive anche dei diritti a prestazioni sociali) e la democrazia (intesa in senso valutativo, non come forma di governo, bensì come insieme di valori) sono elementi costitutivi dello sviluppo in quanto rappresentano dei fini in sé, dei bisogni fondamentali; dall'altro le libertà sono mezzi per conseguire la crescita economica e per incrementare ulteriori diritti: «ogni tipo di libertà contribuisce ad aumentarne altre, libertà diverse si sostengono vicendevolmente» (p. 135). In particolare, alcuni diritti, quali l'accesso all'istruzione, all'informazione e la garanzia di un dibattito pubblico, svolgono un ruolo fondamentale anche nella diffusione di istanze di giustizia globale: istanze in nome delle quali Sen critica sia il contrattualismo rawlsiano (cfr. Giustizia oltre i confini, 1998) sia il comunitarismo (cfr. La minaccia della frammentazione, 2001). Secondo l'a. l'approccio contrattualista, esigendo la coincidenza tra l'insieme dei soggetti che partecipano all'esercizio contrattuale nella posizione originaria e l'insieme delle persone che vivono e vivranno in una determinata società, non può risolvere problemi che contengano un gruppo di partecipanti variabili (quali, ad esempio, i problemi di politica demografica); inoltre nella sua versione internazionalista il contrattualismo non tiene conto della molteplicità di istituzioni non nazionali e del fatto che gli uomini possano avere valori e identità differenti non mediati dall'appartenza ad una nazione. Analoghe critiche sono rivolte contro le posizioni che privilegiano un'analisi incentrata sul concetto di 'comunità' o 'nazionalità', concependo l'identità individuale come un dato precostituito e sottovalutando l'importanza di garantire un'opzione razionale tra le diverse identità che un'individuo potrebbe avere. Al riguardo, però, l'analisi di Sen slitta spesso da considerazioni fattuali (sociologiche o psicologiche) a rilievi normativi: non è cioè chiaro se l'a. sostenga che l'identificazione tra un'individuo e la comunità di appartenenza sia un fatto falso, un fatto negativo o entrambe le cose.

Il maggior pregio dell'opera di Sen consiste forse nel metodo d'analisi impiegato, in particolare nel saggiare la portata esplicativa delle proprie tesi sottoponendole di continuo al tribunale dell'esperienza. Così la tesi secondo cui non esisterebbero tensioni né tra i diversi tipi di diritti, né tra questi e lo sviluppo economico, viene argomentata non mediante un'articolata costruzione concettuale, bensì attraverso esempi empirici tratti dalla storia recente. Un limite è talvolta rappresentato dall'assenza di precise (ri)definizioni: così, ad esempio, non è sempre chiaro di quali diritti si stia parlando ovvero se la tesi in esame sia avanzata con riguardo a tutti i (possibili) diritti (ivi inclusi il diritto di proprietà o i così detti diritti culturali positivi) o solo limitatamente ai diritti espressamente considerati.

Francesca Poggi