2010

A. Sciurba, Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa, Ombre Corte, Milano 2009, pp. 267, ISBN 978-88-95366-42-5

"Per trasformare un uomo in un clandestino basta l'attraversamento di un confine". Con questa affermazione l'autrice racchiude tutto il significato del libro che vuole presentare.

Stiamo vivendo un una complessa trama di inclusioni ed esclusioni, di definizioni sempre più ambigue e allo stesso tempo ridicole. Oggi i primi esclusi, almeno formalmente, sono certamente i milioni di esseri umani definiti "fuori posto" e per legge condannati alla condizione permanente di migranti. Uno dei più grandi ostacoli per queste persone è il limite che impedisce loro di circolare liberamente sul territorio europeo. Esse infatti si ritrovano ad essere vittime di un diritto pensato solo per gli europei, un diritto che non ammette eccezioni e che non tollera intrusi. Le frontiere diventano limiti valicabili solo clandestinamente, posti a tutela di un territorio la cui unità sembra definita da ciò che essa lascia fuori, più che da ciò che comprende (p. 70).

Come spiega Sciurba nel suo testo, la distinzione tra migranti entrati regolarmente e migranti cosiddetti irregolari è molto meno netta di quello che si pensi. Le svariate etichette che vengono attribuite a questi esseri umani infatti, nonostante siano diverse tra loro, hanno la caratteristica comune di catalizzare ogni sorta di significato negativo. Si assiste quindi ad una clandestinizzazione irreversibile dei soggetti, ad un circolo vizioso dal quale è difficile uscire e dal quale gli immigrati non riescono a trovare una soluzione per rimediare al loro stato di clandestinità continua. Questo processo d'altronde è conforme all'obiettivo degli accordi di Schengen; si tratta infatti di intercettare questi nuovi individui non autorizzati ed inserirli nel percorso di clandestinizzazione.

Che qualcuno passi (di fatto o virtualmente) dalla condizione di persona a quella di non-persona dovrebbe apparirci stupefacente. Se ciò non avviene, se la questione dell'espulsione degli stranieri interessa ben poco all'opinione pubblica, è perché noi, cittadini liberi, siamo resi miopi dal godimento dei nostri diritti. L'importante è che noi beneficiamo dei diritti fondamentali e li percepiamo come nostri, poi quello che succede al di fuori delle nostre vite non è affare che ci riguarda, o meglio, ci riguarda solo quando ci fa comodo. Quella sfera di persone la consideriamo solo al momento del bisogno, quando si necessita di una badante per la nonna, di un pizzaiolo o di un muratore da poter pagare a nero. Nessuno considera poi che c'è qualcuno che, in Italia, c'è da più tempo di noi.

Sciurba mette in evidenza come l'identità degli individui in questione venga completamente destrutturata; esistono persone che distruggono i propri documenti in un disperato tentativo di guadagnarsi l'accesso in paesi che altrimenti non concederebbero l'asilo a persone della loro nazionalità. Persone costrette a reinventare una storia di vita durante le interviste, che cancellano la propria biografia perché secondo le regole imposte dal governo della mobilità è sbagliata: devono pensarci prima di dire dove sono nati. Devono pensarci prima di dire da dove sono passati, in quanto per acquisire lo stato di rifugiato occorre appartenere ad un paese abbastanza insicuro e dimostrare di non aver attraversato paesi definiti safe country. Devono pensarci prima di dire con chi sono sposati, quanti figli hanno. Devono impararla bene la storia, quella nuova storia che si faranno propria per tutta la vita. E non importa se ci si sentono bene in quelle nuove vesti o meno: l'importante è che se la ricordino alla perfezione. I commissari non perdonano e alla prima incongruenza dubitano sulla veridicità della storia e sull'affidabilità della persona interrogata. Ci sono persone che si reinventano l'intero albero genealogico ma l'importante è arrivare a convincere la Commissione che li giudicherà: in molti ci provano, solo i più furbi però ci riescono.

Nel suo testo, Sciurba mette in discussione alcune delle politiche messe in atto dall'Unione Europea e riflette su quel che resta dell'asilo politico facendo riferimento ad alcune delle principali Convenzioni tra cui una delle più importanti, la Convenzione di Ginevra che fornisce la definizione di rifugiato. Dopo una prima presentazione, l'autrice ci porta per mano a riflettere sui limiti di questa Convenzione. Prima di tutto la definizione di rifugiato è stata adottata nel 1951: da allora il panorama geopolitico è radicalmente mutato ma la Costituzione non si è saputa adeguare a questo cambiamento. Inoltre, non si può ritenere sufficiente l'adesione alla Convenzione se poi i singoli Stati si comportano in maniera completamente diversa e vanno contro i principi essenziali della stessa, da loro precedentemente firmata, e non consentono neppure il tempestivo intervento dei funzionari dell'UNHCR.

É ampiamente noto che le Convenzioni Internazionali vincolano ben poco i singoli Stati al rispetto dei diritti della persona e solo raramente le violazioni più gravi vengono denunciate e diventano oggetto di controversia. In generale, si assiste ad una sovrapproduzione di Convenzioni: nonostante l'esistenza di tutte queste leggi infatti, la condizione del diritto è sempre più fragile e compromessa. Con l'affermarsi di nuove Convenzioni si assiste ad un frequente declassamento dei rifugiati ad aventi diritto alla più effimera protezione sussidiaria, che purtroppo rappresenta uno degli strumenti normativi che stanno gravemente mettendo a rischio l'esistenza stessa del diritto d'asilo in Europa.

C'è da dire che l'asilo è, di per se, fin dal momento che è stato formulato, un diritto imperfetto e si assiste continuamente ad un controsenso per cui gli Stati ne condividono la sua imprescindibile importanza e allo stesso tempo, cercano di de responsabilizzarsi diminuendo i propri obblighi a riguardo. Resta poi ovvio che quando andare contro la legge non implica nessuna effettiva sanzione, sono gli Stati che per primi non sono interessati a rispettare le Convenzioni da essi stessi sottoscritte. È così che i crimini rimangono senza colpevole. In fin dei conti l'unica cosa che importa al governo è il numero degli arrivi e non le vite delle persone: la perdita di alcuni durante il tragitto è un rischio calcolato e in qualche modo funzionale.

Sciurba si sofferma più nello specifico sulla gestione delle politiche migratorie in Europa. Con l'allargamento dell'Unione si assiste ad un aumento dei confini e al momento che un paese entra far parte dell'Unione Europea, deve dimostrare di essere in grado di tutelare adeguatamente i nuovi confini comuni rispetto a chi non è ufficialmente autorizzato ad attraversarli. Entrare a far parte dell'UE è come far parte di uno spazio di libertà che l'Unione ha creato per i suoi cittadini e per nessun altro. Tutte le nuove politiche sono andate nella direzione di un rafforzamento del controllo delle frontiere e verso un inasprimento repressivo del trattamento riservato a migranti e profughi: una volta schedati è praticamente impossibile divenire regolari. In generale, a livello comunitario, assistiamo ad un processo di esternalizzazione della frontiera dislocando al di fuori del territorio ufficiale dell'UE parte delle pratiche più repressive messe in atto ai danni dei migranti. Si tratta in pratica di delegare ad altri problemi che potrebbero far sorgere contrasti giuridici e sociali per evitare così di incorrere in eventuali sanzioni. Si assiste ad un completo disinteresse verso tutto quello che succede beyond the line, al di fuori dell'Unione, con l'obiettivo di tenere le morti lontane dai nostri occhi e delegare la selezione delle braccia necessaria fuori dall'Unione Europea.

Nel testo si leggono poi alcune pagine dove l'autrice approfondisce il ruolo della figura dell'eccesso, del superfluo. Questi non cittadini sono considerati come inutili, in esubero, da collocare da qualche parte, qualsiasi parte, e la cui vita o morte non ha assolutamente alcun valore (p.89).

É inoltre interessante e allo stesso modo imbarazzante sottolineare la quantità di modi in cui vengono definiti i luoghi di detenzione amministrativa. Sicuramente questa ambiguità terminologica rispecchia l'incertezza giuridica che c'è in questi luoghi dove vengono detenuti soggetti tra loro diversi ma trattati in fin dei conti alla stessa maniera. In ogni caso poi, tutte le definizioni restano fini a se stesse in quanto allo scadere del periodo di trattenimento, tutti i migranti si trovano a condividere la stessa identica condizione.

Sciurba, partendo dalla certezza dell'inefficacia dei centri rispetto allo scopo dichiarato, prende spunto da Bietlot, e cerca di dare una classificazione alle funzioni dei luoghi di detenzione amministrativa distinguendo le funzioni in simboliche, politiche, economiche, poliziesche e geopolitiche.

Alessandra Sciurba, nel suo libro, oltre ad un'iniziale e ben approfondita analisi teorica sul confinamento, propone alcuni studi empirici e li analizza uno ad uno. Tra questi prende in considerazione il caso italiano, con particolare riferimento a Lampedusa; il caso della Grecia; le differenti forme dei campi in Francia; il caso sloveno e quello maltese. Uno sguardo alla realtà è necessario per concepire meglio alcuni concetti che in teoria sembrerebbero solo non esistere. Spesso, agli occhi del cittadino può sembrare strano che alcune cose succedano veramente e che si stupisca davanti a queste atrocità ma la situazione è davvero così. Abbastanza drammatica come descrivono i giornali, abbastanza umiliante e critica come riportano le organizzazioni umanitarie presenti sul territorio, se non peggio. Arrivi a capire la gravità della situazione solo quando la vedi. Prima ti immagini che forse le televisioni esagerano.

Avendo avuto l'occasione di lavorare alla Commissione dei Rifugiati di Malta, nell'estate 2009, nel pieno post accordi Italia-Libia, mi sono accorta di quanto questo meccanismo sia completamente pilotato dall'alto. Meccanismi di cui noi nemmeno possiamo arrivare a immaginare il funzionamento.

Malta viene spesso presa in esame quando si parla di detenzione amministrativa soprattutto per le sue particolari condizioni geo-politiche e demografiche rispetto agli altri paesi europei.

Dal momento in cui Malta rappresenta la prima frontiera a sud dell'Europa infatti, è sotto questo punto di vista svantaggiata proprio perché deve accollarsi tutti gli oneri degli sbarchi.

Per capire l'importanza del fenomeno si pensi che l'arrivo di un migrante irregolare a Malta è paragonabile all'arrivo di 114 migranti in Italia, se si considerano i dati in riferimento alla densità di popolazione.

Il 70-80 percento delle persone che arrivano a Malta via mare ogni anno presentano domanda d'asilo. In generale, a poco più della metà di esse viene riconosciuta una qualche forma di protezione.

Dal punto di vista procedurale, l'organo che si occupa della gestione delle richieste d'asilo a Malta, è il Commissariato Maltese per i Rifugiati. I richiedenti asilo che non sono in possesso di documenti sono generalmente trattenuti in centri di detenzione fino a quando non venga presa una decisione a loro riguardo. All'interno di questi centri chiusi non operano regolarmente organizzazioni umanitarie e l'unica assistenza giuridica è gratuitamente offerta dalla sezione maltese dei Jesuits for Refugees. Le autorità maltesi hanno anche istituito alcuni cosiddetti open centres, dei centri aperti dove coloro che sono stati rilasciati dai centri di detenzione godono della libertà di movimento. Questi centri sono spesso zone militari riadattate a centri per ospitare richiedenti asilo in attesa di essere rimpatriati, oltre ai rifugiati ed a coloro che si sono visti assegnare una forma di protezione umanitaria fino a quando non abbiano trovato un alloggio. Le prospettive sia economiche che sociali dopo aver vissuto in questi luoghi, sono ovviamente in parte o del tutto annullate. I criteri utilizzati per la valutazione della domanda sono molto rigidi e severi. Spesso chi si presenta alle interviste neanche sa cos'è l'asilo politico ma ci prova. Tenta l'unica e ultima possibilità che gli viene offerta prima di arrendersi del tutto. Arrendersi davanti a questo meccanismo che permette davvero a pochi di riuscire ad ottenere una qualche forma di speranza.

In generale, accanto ad un disinteresse da parte di tutta la Comunità Internazionale, si assiste ad un avallo del sistema irregolare da parte della popolazione che è interessata solo ad essere protetta e non alle cause che alimentano l'apologia della paura. Questo disinteresse porta ad una disinformazione patologica che a sua volta conduce ad un'ignoranza diffusa e alimenta un razzismo sempre più "disumano".

E non è così solo a Malta, lo è anche negli altri casi che Sciurba ha analizzato e dove è andata in prima persona per conoscere, valutare, denunciare. L'autrice ha inoltre voluto intervistare alcune persone, quegli individui che vivono sulla loro pelle la sensazione di essere escluso, di essere considerato "in più" rispetto al resto della popolazione, come uno sbaglio, un errore che madre natura ha voluto o dovuto fare. Basta leggere le loro testimonianze, raccolte nelle ultime pagine dall'autrice, per percepire, anche se in minima parte, il significato della parola "confine".

Claudia Braconi