2005

S. Sassen, Migranten, Siedler, Flüchtlinge. Von der Massenauswanderung zur Festung Europa, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main 1996, trad. it. Migranti, coloni, rifugiati. Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano 1999, ISBN 88-07-10274-9

Il testo di Saskia Sassen sviluppa un'accurata ricostruzione storica delle migrazioni in Europa dal 1800 a oggi. Il fine di questo libro, che nasce dalla sollecitazione di Eric Hobsbawm, è di demitizzare l'immagine più diffusa sull'immigrazione secondo la quale essa avrebbe come suo unico movente la fuga dalla povertà e dalle persecuzioni subite nel paese d'origine. Tramite una ricostruzione storica e sociologica dei movimenti migratori che negli ultimi due secoli hanno attraversato i confini europei, questo fenomeno viene invece collegato a costanti strutturali capaci di liberare l'immaginario collettivo dalla figura dell'«invasione di massa».

Nella prima parte del testo la Sassen definisce un quadro esaustivo delle migrazioni durante il periodo napoleonico. Durante questo periodo l'immigrazione favorisce la crescita economica delle comunità di destinazione. La politica mercantilista vede di buon occhio l'immigrazione e i vantaggi economici che questa determina. Si mostra così dettagliatamente come l'emigrazione e l'immigrazione ricevano, in questo periodo, giudizi di valore distinti e come la stessa immigrazione si distingua in stazionaria e stagionale.

Il 1848 rappresenta un «punto di svolta nella storia europea» che determina un cambiamento anche nei movimenti migratori. L'Europa è attraversata da rivoluzioni. Le innovazioni tecniche determinano una crescita esponenziale dei trasporti e delle capacità comunicative. L'emigrazione oltremare diviene un fenomeno massiccio in conseguenza delle carestie che colpiscono diversi stati (in Irlanda muoiono un milione di persone e ne emigrano altrettante). L'industrializzazione avanza vittoriosa.

Se nell'Ancien Régime i motivi d'ordine religioso costituivano una delle ragioni prioritarie dell'immigrazione, in questo periodo i fattori economici divengono dominanti. A queste ragioni si aggiungono motivi di ordine politico. A partire dal 1848 la categoria di rifugiato muta in ragione della diffusione degli espatrii per ragioni politiche. Le migrazioni dei lavoratori contribuiscono attivamente alla costruzione dell'Europa. All'interno delle nascenti burocrazie statali si creano nuovi quadri dirigenti, ormai disancorati da criteri ereditari e anche gli stranieri hanno la possibilità di far carriera. Riprendendo a questo riguardo le interpretazioni di Sombart e di Weber la Sassen mostra come la commistione tra il forte spirito di iniziativa dei migranti e la maggiore permeabilità consentita dai processi di razionalizzazione a cui è sottoposto lo stato moderno consentono un'integrazione maggiore degli stranieri nel tessuto civile.

Una terza tappa viene rintracciata nel ruolo innovatore assunto dalle nazioni nella gestione del fenomeno migratorio. Per quanto la funzione di controllo dello stato diventi prevalente a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale, essa trova già un posto privilegiato nella seconda metà del XIX secolo. A questo riguardo le posizioni di Francia, Italia e Germania risultano fortemente distinte. Quest'ultima sviluppa un modello d'immigrazione temporanea fondato su uno statuto della cittadinanza ridotto per gli stranieri lavoratori che favorisce «una permanenza limitata nel tempo». Ma questo modello, che in parte anticipa il concetto d'integrazione parziale che ancora oggi trova molti consensi, risulta fallimentare. La comunità polacca, nel numero di trentamila persone, viene nel periodo compreso tra il 1885 ed il 1887 messa al bando. In Francia il quadro muta sensibilmente. Questo paese si distingue per una concezione «assimilatoria» della nazione volta alla naturalizzazione degli stranieri, «con la sua mission civilisatrice, la Francia ha istituzionalizzato l'assimilazione giuridica e politica dei territori metropolitani e oltremare, molto più di quanto non abbiano fatto Inghilterra e Germania». Dal canto suo dall'Italia ha origine nello stesso periodo una massiccia emigrazione rivolta soprattutto verso paesi europei.

Con la creazione dei moderni stati nazionali il concetto di straniero muta sensibilmente. Gli stranieri divengono «outsiders», individui privati dei diritti di cittadinanza e quindi esclusi dalla società civile. Sul finire del secolo XIX l'Europa si caratterizza da un lato per grandi flussi migratori di rifugiati (tra il 1880 e la prima guerra mondiale due milioni e mezzo di ebrei emigrano dalla Russia verso dell'Europa) dall'altro per una politica della cittadinanza che incrementa i meccanismi di esclusione politica. La Sassen prende poi in analisi il ruolo sempre più repressivo degli stati nazionali nell'arco di tempo delle due guerre nazionali tra il 1915 ed il 1945. Si apre in questo periodo, come mostra bene l'autrice, una stagione di fughe di massa. Questo fenomeno, la cui paternità storica viene spesso attribuita alle grandi migrazioni dal Sud del Mondo, «è, invece, un prodotto eminentemente europeo, coevo alle modificazioni strutturali verificatesi negli stati europei agli inizi del XX secolo».

Si apre infine il periodo post-bellico. Nel periodo della ricostruzione che segue le due guerre mondiali l'immigrazione cresce in misura direttamente proporzionale alla «domanda» di mano d'opera (la Germania federale accoglie nel periodo compreso tra il 1945 ed il 1988 quattordici milioni di persone). La fine del colonialismo determina grandi spostamenti di masse (rientreranno in Francia dopo la liberazione dell'Algeria un milione di francesi). Negli anni Settanta l'immigrazione raggiunge il suo apice. È a partire dalla seconda metà di questo decennio che gli stati impongono in forma graduale misure sempre più restrittive all'immigrazione. Oltre all'atteggiamento degli stati europei a partire da questo periodo muta anche la struttura delle comunità di stranieri. I vincoli parentali e generazionali creano forme più complesse e coese al loro interno di appartenenza. L'autrice prende in considerazione i diversi tentativi di gestione del fenomeno migratorio dal «Trattato di Schengen» alla «Convenzione di Dublino» e parimenti cerca di restituire la complessità di geografie e dislocamenti che negli ultimi trent'anni hanno caratterizzato le migrazioni internazionali.

Nell'ultimo capitolo Sassen trae alcune conclusioni che mettono fortemente in discussione le politiche che l'Europa sembra attualmente privilegiare, volte in principal modo ad una militarizzazione delle frontiere. La conclusione di maggior rilievo del libro consiste nel sostenere che le migrazioni internazionali rispondono a costanti sistemiche e quindi che la metafora dell'«invasione» non corrisponde alla realtà di questi fenomeni ma piuttosto ad un'euristica della paura tesa alla creazione di facili consensi politici. La sproporzione nella distribuzione delle ricchezze a livello planetario fornisce certamente un motivo sostanziale alle moderne migrazioni ma non esaustivo. La geopolitica delle migrazioni segue criteri differenziati e complessi in ragione della sua dimensione forzatamente globale. La gestione di questo fenomeno non può quindi essere affidata in tutto e per tutto alla deliberazione dei singoli stati nazionali, non riconoscendo in questo modo la reale dimensione sociale di questo fenomeno. Nella capacità di dare una sempre maggiore dimensione transnazionale al fenomeno migratorio risiede quindi, a detta dell'autrice, il futuro dell'Europa e, di conseguenza, l'efficacia e la giustizia delle sue politiche.

Nicola Marcucci