2009

M. Pellitteri, Il Drago e la Saetta. Modelli, strategie e identità dell'immaginario giapponese, Tunuè, Latina 2008, pp. 629, ISBN 978-88-89613-35-1

La globalizzazione non è soltanto un fenomeno che riguarda categorie economico-finanziare o mutamenti geopolitici; essa è una dimensione nella quale si determinano anche evoluzioni di rapporti culturali, simbolici, o addirittura legati a quello che si definisce l'immaginario umano e le sue manifestazioni. Questo libro di Pellitteri, sociologo della comunicazione, si incentra, dunque, sull'immaginario giapponese costituito da anime e manga (ossia cartoni animati e fumetti), cercando di delinearne i caratteri principali e di sondarne le modalità di relazione con l'Occidente e il resto del mondo, favorite appunto dai processi di globalizzazione dell'ultimo trentennio. L'analisi, densa di informazioni e spunti e ben documentata, si basa su una tesi interpretativa di fondo che appare interessante e euristicamente efficace: lo studioso sostiene che le dinamiche della globalizzazione della cultura di massa a indirizzo giovanile, rispetto all'immaginario giapponese, si sono delineate nell'arco di due fasi, denominate dall'autore, rispettivamente, il Drago e la Saetta; la prima copre l'arco 1975-'95, la seconda va dal '95 a oggi.

Nella fase del Drago, simbolicamente aperta e rappresentata dall'anime Goldrake, i modelli fondamentali dell'immaginario che vengono proiettati sono la macchina-robot e l'infante. Il modello del robot riflette un immaginario giapponese del rapporto uomo-macchina che non è antinomico come avviene in Occidente: la cultura orientale animista attribuisce uno spirito a tutte le cose e in tal senso determina una "protensione nell'automatismo nell'ambito industriale e nella vita quotidiana" (p. 142). I giapponesi dagli anni Cinquanta alla metà degli anni Novanta, hanno attuato una "robotizzazione del fantastico" (p. 151).

Il modello dell'infante, del bambino-ragazzo protagonista è molto presente all'interno di questo immaginario robotico, infatti, quasi sempre i robot giapponesi sono pilotati da giovani, ma parallelamente è un modello che, determinando l'attenzione per la fase adolescenziale, ha poi condotto anche alla cosiddetta estetica kawaii.

Si tratta di un'estetica legata a immagini e stili carini, teneri, morbidi, "all'infanzia, all'innocenza, a un'unione molto naive con il mondo della natura, talvolta a una quasi-assenza del pensiero razionale e adulto" (p. 209). Certamente è un'estetica legata alle condizioni sociali di crescita dei giovani giapponesi in quegli anni e alla tendenza per molti di loro a rifuggire l'età adulta.

I giapponesi attraverso l'immaginario robotico e quello kawaii pervengono così, in questa fase, a proporre un modello di bambino a metà fra quello occidentale e quello orientale. "Un bambino transculturale, adulto e infante al tempo stesso, cristiano e scintoista, lieve e grave, maturo e capriccioso". Questa infanzia sincretica è uno dei modi più interessanti per accorgersi di come i modelli giapponesi giunti qui fossero già in origine multiculturali" (p. 237). Questo sincretismo non dovrebbe poi stupire molto se si considera che la società contemporanea giapponese, a partire dall'epoca Meiji (tra fine Ottocento e inizio Novecento), ha configurato una condizione in cui convivono pariteticamente tradizione e innovazione, artigianato e tecnologia, rigore normativo e apertura al futuro.

La fase della Saetta, simbolicamente aperta dai Pokemon, è invece caratterizzata da un immaginario in cui diventa importante il concetto di mutazione. Certamente questa fase risente dell'influenza degli elementi del kawaii che però ora si manifestano in un contesto inedito. Si afferma un modello di metamorfosi a tre livelli. "quello dei personaggi del voluttuario, trasformazione che investe i temi e le estetiche di tali figure; quello dei loro rapporti di commercializzazione e mediatizzazione; e quello reale dei rapporti tra generazioni" (p. 9). Nei Pokemon, e negli altri anime di questo filone infatti, vediamo ragazzi soli, che attraverso l'interazione con i Pokemon, o con personaggi simili, si evolvono e si migliorano nelle relazioni con se stessi e con gli altri; gli stessi Pokemon sono caratterizzati dalla possibilità di mutazione e trasformazione; e, infine, il prodotto Pokemon appare particolarmente plastico e meticolosamente sfruttato in termini di commercializzazione (card, videogiochi, pupazzi, figurine, gadget), certamente in modo molto più attento e specifico rispetto alle altre produzioni giapponesi della fase del Drago.

E' interessante rilevare, secondo l'autore, che queste due fasi hanno funzionato, nel loro rapporto con l'Occidente, secondo due meccanismi differenti: nella prima fase, la tendenza era quella degli operatori occidentali che richiedevano i prodotti giapponesi, innovativi e dai costi competitivi, spesso determinando anche versioni apocrife ; nella seconda fase, essendosi i produttori e distributori giapponesi resi conto che anime e manga avevano una costante richiesta in Occidente (e non solo all'interno del Giappone dove avevano sempre avuto picchi notevoli), hanno iniziato a proporli in Occidente in modo più organizzato.

Nel delineare la sua teoria, Pellitteri perviene progressivamente a toccare molti aspetti che fanno da corollari alle sue analisi. Egli, infatti, analizza i problemi della ricezione degli anime nei paesi occidentali e delle fratture generazionali tra genitori e figli che essi hanno determinato, a causa dei loro codici interpretativi spesso fraintesi dagli adulti e invece amati dai bambini. Tratta delle trasformazioni delle capacità percettive dei bambini che si trovano coinvolti dagli anime a un duplice livello: mentre li guardano in televisione e mentre giocano con i modelli tratti dalle serie televisive stesse, acquisendo linguaggi e pratiche sociali nuovi e sconosciuti alle generazioni precedenti. Si sofferma sulla diffusione dei manga (ossia i fumetti giapponesi) in Occidente a partire dagli anni Novanta e su fenomeni di costume come i cosplayer, o le cover band delle sigle degli anime, le fiere, o la diffusione degli home video, che sanciscono il successo e il seguito per la Japan pop culture in Italia e nel mondo. Considera fenomeni in qualche modo definibili come effetti collaterali di questa pop culture, come, per fare due esempi, gli Otaku, ossia i ragazzi che evitano forme di socialità al di fuori di quelle legate al mondo degli anime, o le degenerazioni feticistiche nel rapporto con gli oggetti e le tecnologie, tramite cui si scorgono i rischi dell'individualismo radicale. Prende in esame anche le modalità con cui la saggistica internazionale si è occupata di tutto questo immaginario, rilevando il possibile pericolo dell'etnocentrismo e dell'orientalismo, ossia di una visione meramente occidentale dell'Oriente, e presenta anche qualche statistica che documenta il modo in cui i giovani in Italia considerano i fenomeni di anime e manga.

In questa sede, non è possibile rendere conto di tutti i dettagli di questi passaggi, la cui lettura è comunque istruttiva per capire gli aspetti sociologici, anche più concreti, tramite cui questo immaginario giapponese si dipana; tutte queste considerazioni, però, possono essere riassunte nell'idea che la Japan pop culture abbia operato una forma di "potere soffice" (p. 407) seppur secondo aspetti diversi nella fase del Drago e in quella della Saetta. Questo potere soffice consiste nella capacità di ottenere un consenso internazionale non tramite la coercizione "ma con l'adesione a un modello, attraverso la circolazione della propria produzione culturale e di un'immagine pubblica favorevole" (pp. 413-414).

Fornendo una gran quantità di spunti concettuali e critici, il volume, dunque, ha il merito di indagare con precisione, nei suoi aspetto sociologici, comunicativi e politici, un fenomeno come quello dell'immaginario, che ha una influenza probabilmente maggiore di quanto gli uomini generalmente possano percepire. Goldrake, i Pokemon e tutti i numerosissimi loro epigoni (molti segnalati nel corso del libro) dell'ultimo trentennio, da questo punto di vista, cessano di essere solo gli eroi di generazioni di bambini e ragazzi, per trasformarsi in una inedita ermeneutica dei processi di globalizzazione.

Francesco Giacomantonio