2006

L. Parisoli, Volontarismo e diritto soggettivo. La nascita medievale di una teoria dei diritti nella scolastica francescana, «Biblioteca seraphico-capuccina» 58, Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 1999, pp. 316, ISSN 0067-8163

È sicuramente un peccato che la limitata distribuzione dei titoli pubblicati dall'Istituto Storico dei Cappuccini rischi di confinare questo lavoro di Luca Parisoli all'attenzione di un numero ristretto di specialisti. L'oggetto della ricerca, l'evoluzione della riflessione giuridica nell'ambito della scuola francescana del tredicesimo e del quattordicesimo secolo, meriterebbe infatti un'attenzione più ampia, soprattutto in considerazione del posto chiave che occupa nel contesto della storia della nozione di diritto soggettivo. Merito di Parisoli è quello di aver offerto un quadro complessivo capace di raccogliere in una visione unitaria una serie di contributi più specifici che si erano accumulati negli anni sullo stesso tema, a partire almeno dai fondamentali studi di Giovanni Tarello e di Paolo Grossi.

Parisoli riunisce le fila di questo importante momento della storia del pensiero giuridico per presentare una rassegna ampia e articolata delle vicende che, a partire dalla costituzione dell'Ordine francescano e dalla promulgazione della Regola dei frati minori, condussero allo scoppio della cosiddetta «controversia sulla povertà», il dibattito che oppose Giovanni XXII all'Ordine e che culminò nella scomunica, nel 1328, del generale dei francescani, Michele da Cesena e di altri confratelli, tra i quali il filosofo Guglielmo da Ockham. Oggetto del contendere era l'interpretazione del voto di povertà contenuto nella Regola dei frati minori. Sin dalla sua origine l'Ordine francescano si era distinto per l'aspirazione verso il ripristino della povertà evangelica, la condizione di indipendenza dai beni terreni di cui avevano dato prova Gesù e gli apostoli. Nella prospettiva di Francesco di Assisi la ricezione dell'insegnamento evangelico su questo punto diventava un prerequisito indispensabile per attingere la più alta perfezione della vita contemplativa. Naturalmente, un atteggiamento così rigoroso non poteva che suscitare l'opposizione degli altri ordini monastici, che vedevano d'un tratto ridimensionata la loro dignità religiosa, e dello stesso papa. Da qui un lungo dibattito teologico, imperniatosi, con alterne vicende, sulla questione della povertà di Cristo: l'affermazione in discussione era se Gesù e gli apostoli fossero titolari di diritti reali sulle vesti che portavano e sugli alimenti che consumavano, ma dietro questo quesito apparentemente peregrino la posta in gioco concerneva la legittimazione degli esponenti dell'ordine francescano a proporsi come unici, autentici continuatori dell'esempio evangelico.

La natura giuridica dell'affermazione dottrinale da discutere comportava che il papa e i suoi oppositori si misurassero sul terreno della scienza civilistica e canonistica: ciò fece sì che il risultato più importante del dibattito, dal punto di vista della storia del pensiero giuridico e politico, fosse quello di introdurre una nuova concezione di ius naturale, declinata in senso soggettivo, in contrasto con la tradizione precedente. Senza scendere in dettagli basterà ricordare che l'argomento principale di Giovanni XXII contro la tesi francescana era quello secondo il quale Gesù e gli apostoli dovevano essere titolari di diritti reali sui beni che consumavano, altrimenti non avrebbero potuto fruire lecitamente di essi. A questo argomento il maggiore teorico dell'ordine, il filosofo inglese Guglielmo da Ockham, rispose distinguendo una sfera di diritti naturali anteriori all'ordinamento giuridico positivo creato dagli uomini: Gesù e gli apostoli, come pure i poverelli francescani, fruivano lecitamente dei beni messi a loro disposizione dai loro benefattori sulla base di un diritto naturale a consumare quanto è necessario per la propria sopravvivenza. Tale diritto tuttavia non si traduceva in un diritto positivo - e infatti i francescani non potevano chiedere in giudizio l'adempimento delle promesse di assistenza -, perciò il voto di povertà era compatibile con l'uso lecito.

È evidente come la distinzione introdotta da Ockham comporti uno scarto significativo rispetto all'elaborazione precedente in materia di ius naturale. Per la prima volta assistiamo a una specificazione dell'orizzonte astratto del diritto di natura in una pluralità di iura che danno titolo agli individui a reclamare i beni fondamentali per la loro esistenza. Non stupisce che questa innovazione sia stata indicata da un'importante tradizione interpretativa che fa capo agli studi di Georges De Lagarde e di Michel Villey come la prima consapevole teorizzazione dell'individualismo politico e giuridico moderno. Secondo Villey, per esempio, Ockham può essere considerato «il padre del diritto soggettivo», la singola figura in cui si realizza il passaggio dal giusnaturalismo classico alla tradizione moderna dei diritti naturali. Rispetto ai rischi di anacronismo di questa linea esegetica Parisoli prende doverosamente le distanze, cercando però di tenere fermo il nucleo dell'interpretazione di Villey. Parisoli concorda con il filosofo del diritto francese nel ritenere che la nascita della nozione di diritto soggettivo sia riconducibile alla nuova antropologia, incentrata sul primato della volontà e della libertà individuale, che si diffonde per iniziativa della scolastica francescana. Ne emerge un quadro sensibilmente più vasto e articolato di quello proposto da Villey, dal momento che l'opera di Ockham viene letta come anello conclusivo di un percorso dottrinario già iniziato dagli altri teologi dell'ordine, da Pietro di Giovanni Olivi a Giovanni Duns Scoto.

Il dato comune a questi autori, secondo Parisoli, è una nuova insistenza sull'elemento della libertà e della volontà del soggetto, colto nella sua relazione creaturale rispetto alla divinità, cui fa da contraltare una concezione volontaristica della legge naturale. Nell'ottica dei francescani, e segnatamente di Ockham, l'immagine del creato come un cosmo razionale, governato dalle leggi di Dio e accessibile all'indagine razionale dell'uomo svanisce, per lasciare il posto a una rappresentazione nella quale il mondo è innanzitutto il prodotto della volontà arbitraria del suo creatore e nel quale non è più possibile orientarsi applicando le coordinate ermeneutiche del metodo del diritto naturale di impostazione tomistica, basate sulla derivazione di precetti morali dall'osservazione dell'ordine interno della natura. La dissoluzione della forma mentis del diritto naturale apre così la strada alla nuova teoria dei diritti soggettivi sviluppata da Ockham, nella quale il nuovo modello antropologico elaborato dalla scuola francescana trova, per così dire, la sua realizzazione più coerente, dal momento che in esso si esprime in maniera compiuta l'idea che il soggetto individuale sia un soggetto essenzialmente libero, cui competono poteri e facoltà naturali adeguati al soddisfacimento dei suoi bisogni essenziali e in nome dei quali può rinunciare alla tutela apprestata dal sistema delle garanzie giuridiche positive.

Ne emerge una visione d'insieme senza dubbio stimolante, che Parisoli riesce oltretutto ad arricchire attraverso l'analisi di numerosi spunti tematici secondari sui quali non è qui possibile soffermarsi - si veda per esempio l'intero capitolo secondo, dedicato alla genesi della dottrina dell'infallibilità del pontefice. Tuttavia, non si può tacere del fatto che l'asse teorico principale, relativo all'interpretazione del pensiero politico di Ockham, si fonda su alcune intuizioni interpretative che non sono condivise dalla critica prevalente. Infatti, e in contrasto con quanto sostiene Parisoli, i contributi più recenti sulla teoria politica e giuridica del Veberabilis Inceptor tendono a ridimensionare l'aspetto volontaristico della dottrina di Ockham in favore di una considerazione più attenta degli elementi razionalisitici della sua riflessione morale e politica. Da questo punto di vista, la ricostruzione proposta da Parisoli appare criticabile soprattutto sotto due aspetti: in primo luogo perché tende a trascurare sistematicamente i numerosissimi passi in cui il filosofo francescano enfatizza il carattere razionale del diritto di natura (vedi in particolare Dialogus pars III, tract. II liber 3, cap. 6). Secondariamente, perché l'argomento che, nell'ottica di Parisoli, dovrebbe dimostrare l'incompatibilità fra la dottrina sviluppata da Ockham e la concezione tomista del diritto naturale si basa su un'interpretazione discutibile della dottrina di Tommaso. Parisoli sostiene che l'adesione di Ockham al nominalismo in metafisica e al volontarismo morale sono alla base del suo distacco dal diritto naturale, visto come un metodo per ricavare precetti di condotta dall'osservazione dell'ordine interno del cosmo (p. 122). Secondo altri interpreti, tuttavia, la teoria tomista del diritto naturale consiste soprattutto in una dottrina della derivabilità delle norme di condotta per via razionale a partire da precetti fondamentali autoevidenti. E una volta che la dottrina del diritto naturale sia interpretata in questi termini la supposta frattura fra tomismo e occamismo tende a ricompattarsi, perché anche Ockham sembra sostenere una concezione simile del diritto di natura.

In definitiva, dunque, ritengo che la proposta interpretativa avanzata da Parisoli non sia convincente. Ciò non diminuisce tuttavia l'interesse del suo lavoro e l'importanza della sua ricerca per offrire un'immagine più articolata della genesi della teoria dei diritti soggettivi.

Riferimenti bibliografici

Leonardo Marchettoni