2007

R. Pape, Dying to Win: The Strategic Logic of Suicide Terrorism, Random House, New York 2005, trad. it. Morire per vincere. La logica strategica del terrorismo suicida, Il Ponte, Bologna 2007, ISBN 88-89465-13-4

Nella cultura politica occidentale si è affermata l'idea che il "terrorismo globale" esprima la volontà dei paesi islamici di annientare la civiltà occidentale assieme ai suoi valori fondamentali: la libertà, la democrazia, lo Stato di diritto, l'economia dei mercato. E si sostiene che il terrorismo esprime la volontà profondamente irrazionale di ottenere questo risultato nel modo più spietato, distruttivo e violento.

La stessa figura del terrorista suicida, affermatasi inizialmente in Libano e in Palestina, sarebbe l'espressione emblematica dell'irrazionalità, del fanatismo e del nichilismo terrorista, perché la vita del kamikaze perde ai suoi stessi occhi ogni valore. Al fondo del terrorismo palestinese ed islamico - nucleo generatore di ogni altro terrorismo - ci sarebbe l'odio teologico contro l'Occidente diffuso dalle scuole coraniche fondamentaliste. Secondo questo punto di vista nessun'altra "causa" starebbe alla base del fenomeno e sarebbe addirittura errato andare alla ricerca delle ragioni politiche, economiche o sociali del terrorismo.

Secondo l'analista statunitense Robert Pape si tratta di tesi infondate e cariche di rischi. Nel suo documentatissimo volume (Dying to Win, New York, 2005, che è appena uscito in edizione italiana, a cura delle Edizioni Il Ponte, di Bologna), Pape sostiene che il terrorismo è un fenomeno assai meno irrazionale di quanto si pensi o si voglia far credere. Ed è difficile non consentire con lui. Occorrerebbe anzitutto tenere presente che il terrorismo ha trovato un impulso determinante nel trauma che la guerra del Golfo del 1991 ha provocato nel mondo islamico, colpito nel cuore della sua civiltà. La guerra voluta da George Bush padre è stata una delle più grandi spedizioni militari di tutti i tempi ed ha provocato non meno di 200.000 vittime, non solo irachene ma anche palestinesi, giordane, sudanesi ed egiziane. Si è trattato di una guerra, come ha sostenuto Fatema Mernissi, che ha mostrato la soverchiante potenza degli Stati Uniti e l'estrema fragilità del mondo arabo-islamico.

Non è un caso che dopo la conclusione della Guerra del Golfo e l'istallazione di armate statunitensi in una serie di paesi dell'area - Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Qatar, Kuwait - il terrorismo abbia registrato un continuo incremento. Per quanto riguarda i soli attentati suicidi, si è passati, da una media di 3 attacchi all'anno nel corso negli anni ottanta, ad una media di 10 attacchi all'anno negli anni novanta e ad una cifra assoluta di 40-50 attacchi all'anno nel periodo 2001-2003. Negli anni successivi, a causa dell'esplosione di violenza generata dall'occupazione anglo-americana dell'Iraq, la cifra è aumentata esponenzialmente.

Il luogo comune occidentale secondo il quale l'Occidente è stato aggredito dal terrorismo islamico - in particolare con l'attentato dell'11 settembre -, alimenta l'idea che l'uso della forza militare da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati sia soltanto una replica difensiva, necessaria per la sopravvivenza dell'Occidente e dei suoi valori di fronte all'emergere di una nuova barbarie. In realtà il terrorismo che si è sviluppato all'interno del mondo arabo-islamico - incluso il terrorismo suicida - è una risposta strategica all'egemonia del mondo occidentale, è una rivolta contro la soverchiante potenza dei suoi strumenti di distruzione di massa e all'esteso controllo militare che esercita sui territori dei paesi che sono stati storicamente la culla dell'islam.

Robert Pape ha ampiamente documentato che la variabile determinante nella genesi del fenomeno terroristico, in particolare di quello suicida, non è il fondamentalismo religioso, e nemmeno la povertà o il sottosviluppo: si tratta in realtà, nella grande maggioranza dei casi, di una risposta organizzata a ciò che viene diffusamente percepito da una popolazione autoctona come una occupazione militare del proprio paese. Per "occupazione militare" si deve intendere, secondo Pape, non solo e non tanto la conquista del territorio da parte di truppe nemiche, quanto la presenza invasiva e la pressione ideologica di una potenza straniera che si propone di trasformare in radice le strutture sociali, economiche e politiche del paese occupato.

L'obiettivo delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica, sostiene Pape, è di carattere "secolare e strategico": si tratta di liberare il mondo islamico dalla presenza invasiva dello straniero. L'elemento religioso - quando interviene - svolge una funzione soltanto indiretta. In realtà, sono il senso dell'onore, il culto della temerarietà e la vocazione all'eroismo che caratterizzano i musulmani e motivano la loro resistenza politica agli invasori, non certo un culto sacrificale del martirio o una cultura della morte.

La tesi di Pape è suffragata da una serie rilevante di dati empirici, relativi in particolare al terrorismo suicida. A partire dal 1980, dei 315 attacchi complessivi, ben 301 sono stati il risultato di campagne terroristiche organizzate collettivamente e più della metà è stata condotta da organizzazioni non religiose (ben 76 sono attribuibili alle Tigri del Tamil). E questo prova, secondo Pape, la natura politica e prevalentemente secolare della lotta terroristica, come è ulteriormente confermato dalle dichiarazioni dei leader dei gruppi terroristici, inclusi quelli religiosi.

Il carattere razionale del ricorso al terrorismo suicida viene motivato dai suoi fautori argomentando che i costi umani che esso richiede sono più limitati rispetto alla guerriglia convenzionale, mentre la sua efficacia è notevolmente superiore. Si tratta dell'"ultima risorsa" a disposizione di attori che operano in condizioni di estrema asimmetria delle forze in campo: "un'opzione realistica", come nel 1995 la definì il palestinese al-Shaqaqi, segretario generale di Jihad islamico.

La conclusione che Pape ricava dalle sue analisi è fortemente innovativa. La guerra al terrorismo islamico, egli sostiene, non può avere successo se è motivata dalla velleitaria pretesa di sconfiggere e sradicare il fondamentalismo islamico e di tagliare l'erba sotto i piedi dei terroristi. Gli Stati Uniti sbagliano se si propongono di convertire con la forza i paesi islamici ai valori occidentali della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Le guerre in Afghanistan e in Iraq hanno mostrato che l'impresa è impossibile e controproducente. La sola soluzione razionale - sostiene Pape - è che gli Stati Uniti ritirino le loro truppe insediate nei territori che sono sotto il loro controllo o la loro egemonia. Questa è la condizione necessaria e, a suo parere, sufficiente, perché la guerra contro il terrorismo sia vittoriosa.

Danilo Zolo