2005

S. Žižek, Diritti umani per Odradek?, Nottetempo, Roma 2005, pp. 36, ISBN 88-7452-055-7

Il breve saggio di Slavoj Žižek sui diritti umani esce nella collana 'i sassi' dell'editore 'nottetempo'. Si tratta di un piccolo scritto la cui cifra stilistica e metodologica è data dall'eclettismo del suo autore, il quale - con un incedere tipico dei cultural studies - mischia talvolta brillantemente, talaltra meno, la psicanalisi (in particolare Lacan), il cinema e la letteratura. La contaminazione si evince con chiarezza già dal titolo, in cui compare Odradek, inquietante personaggio di un racconto di Franz Kafka, strano essere simile a un rocchetto di filo a forma di stella, ma allo stesso tempo 'umano' nella sua 'inumanità'. È questo il paradosso su cui si muove questo breve saggio del filosofo sloveno: la tesi centrale è che l''umanità' del soggetto emerge proprio quando il soggetto perde ogni altra caratterizzazione socio-politica; in altri termini, quando il soggetto perde la cittadinanza (intesa, in senso lato, come insieme di diritti e caratteristiche dell'appartenenza a una comunità politica). Ma, in un vertiginoso meccanismo teorico, proprio l'emergere dell''umanità' - intesa come 'nuda vita', 'biopolitica' - del soggetto lo rende 'inumano', ovvero indegno della protezione dei diritti umani. Il nocciolo del discorso di Žižek consiste nell'affermazione che i diritti umani e la retorica dell'intervento umanitario mirano alla protezione di un soggetto depoliticizzato, tratto fuori dalla comunità politica e reso 'nuda vita', vita che soffre senza altre qualificazioni.

Secondo Žižek questo processo è l'apoteosi dell'anti-politica, che, attraverso una sorta di processo subliminale, intende sottrarre il soggetto alla politica per renderlo un 'animale' inerme da proteggere. In questa prospettiva, il tema dei diritti umani viene collocato fuori dalla politica e viene fatto passare sotto la porta (sub limine) camuffato da 'nuda vita'. Quando nel discorso sui diritti è l'etica (che questo meccanismo di depoliticizzazione autorizza a intervenire) a diventare protagonista, si compie "un violento atto di depoliticizzazione, di negazione alla vittima di un'altra soggettivizzazione politica" (p. 16). Quest'ultima è invece rappresentata per Žižek dal diritto all'universalità in quanto tale. Dunque, paradossalmente, la riduzione della vittima a 'nuda vita', a elemento 'biopolitico', la sottrae al discorso dei diritti e alla loro natura politica, e la rende 'inumana'.

In questo senso, la guerra umanitaria è un tentativo fraudolento di passare sotto la soglia del diritto riducendo l'uomo a pura pulsione vitale: ecco allora che "l'umanitarismo liberale alla Ignatieff si conforma inaspettatamente alla posizione 'radicale' di Foucault" (p. 17). "La nozione foucaultiana di 'biopolitica', infatti, intesa come apice dell'intero pensiero occidentale, finisce per restare presa in una specie di 'trappola ontologica' in cui i campi di concentramento appaiono come una specie di" - e qui Žižek cita Jacques Rancière - "destino ontologico: [...] qualsiasi differenza tra democrazia e totalitarismo si trova sul punto di svanire e qualsiasi pratica politica si dimostra già imprigionata nella trappola biopolitica" (pp. 16-17). Di nuovo, nel passo appena citato, la critica di Žižek all'idea di 'nuda vita' (Agamben) o 'biopolitica' (Foucault) si fa serrata, anche attraverso la rielaborazione di alcune delle riflessioni di Hannah Arendt: la negazione della dimensione del politico nell'esistenza umana -la 'riduzione' del soggetto a mera pulsione vitale, 'vita-che-soffre' - consente di passare sotto la soglia dei diritti eludendoli. In questo, sostiene Žižek, la posizione di Michael Ignatieff - il ritorno del 'Regno dell'Etica' - e quella di Foucault sono molto più vicine di quanto si possa sospettare.

E dunque non è a caso che Žižek - rinvenendo nell'idea 'biopolitica' uno strumento teorico che trascina l'uomo fuori dalla dimensione del politico - conclude il suo breve saggio affermando che "la Pura Vita è una categoria del capitalismo" (p. 36), inteso quest'ultimo come oppressivo in sé.

Francescomaria Tedesco