2005

S.P. Huntington, Who are we?, Simon & Schuster, New York 2004, trad. it. La nuova America, Garzanti Editore, Milano 2005, ISBN 88-11-59712-9

L'analisi di Huntington parte dall'11 settembre, rilevando come, dopo l'attacco alle Due Torri, ci sia stata una vera e propria riscoperta del nazionalismo americano. Negli anni precedenti al 2001 e nel clima cosmopolitico conseguente alla globalizzazione, secondo l'Autore de La nuova America, l'idea di identità americana si stava infatti perdendo, soprattutto nelle classi colte, in favore di un'identificazione su base 'razziale', 'etnica' e 'sessuale'. Gli Stati Uniti delle origini erano costituiti da pochi cittadini omogenei tra loro, ovvero bianchi, britannici, protestanti, uniti dal comune impegno nel rispettare i principi della Dichiarazione di indipendenza e della Costituzione. L'America attuale è invece multirazziale e multietnica e, secondo Huntington, la cultura americana stessa è sotto attacco, sia dal punto di vista ideologico che dal punto di vista della lingua e della religione. Fra le componenti dell'identità americana delle origini, la prima a perdere importanza è stata quella etnica, radicalmente ridimensionata dall'assimilazione di irlandesi e tedeschi prima e di europei del sud e dell'est poi. La seconda componente che si è indebolita è stata quella razziale, a partire dall'onda lunga che dalla guerra di Secessione è arrivata ai movimenti per i diritti civili della seconda metà del XX secolo. Negli ultimi decenni del secolo scorso anche l'identificazione sulla base della cultura anglo-protestante e del credo politico americano è divenuta infine problematica: ciò è dipeso dalla caduta dell'Urss, che eliminava un elemento ideologico di unità nazionale, e dalla contemporanea diffusione delle dottrine del multiculturalismo, che hanno eroso tutti gli elementi dell'identità americana. Oltre a ciò, la massiccia immigrazione di latino-americani e asiatici, contrariamente alle ondate di immigrazione precedenti, non è stata sottoposta a programmi di americanizzazione e, diversamente dal solito, vi era tra gli immigrati il netto predominio di una sola lingua, diversa dall'inglese, ovvero lo spagnolo. Il futuro degli Stati Uniti sembra quindi delinearsi, secondo Huntington, sulla base di uno di questi possibili scenari: o multiculturalismo e identificazione sulla base dei soli principi politici democratici (ma l'esempio sovietico insegna come un'unione basata solo sull'ideologia politica sia debole), o un bipolarismo anglo-ispanico dal punto di vista linguistico e culturale, o una nuova politica segregazionista da parte delle élites bianche minacciate nel loro predominio o, infine, una decisa ripresa della cultura distintiva americana, a partire dalla religione, da sempre cardine della cultura statunitense.

Intendendo l'identità come "il senso di sé di un individuo o di un gruppo" (p. 35), Huntington prosegue la sua analisi affermando la centralità degli elementi anglo-protestanti nella costituzione dell'identità nazionale americana. I primi coloni fondatori hanno infatti portato con loro i valori cristiano-protestanti dell'etica del lavoro, la lingua inglese e la tradizione britannica di rispetto delle leggi e di stato limitato. Da questi elementi si sviluppò nel XVIII e XIX secolo "il credo americano, con i suoi principi di libertà, uguaglianza, individualismo, rappresentatività del governo e difesa della proprietà privata" (p. 55). L'impronta dei coloni è, secondo Huntington, tuttora importante negli Stati Uniti, e proprio il loro credo consente agli americani di sentirsi una vera e propria nazione universale, visto che quei principi politici sono universalmente applicabili e riconducibili a una vera e propria religione laica. Nonostante questo il credo è solo uno degli elementi che costituiscono l'identità americana, mentre tra gli altri risultano importanti l'etnia e la razza: come riconosce Huntington infatti "in quasi tutta la loro storia gli Stati Uniti sono stati un paese razzista" (p. 68), essendosi affermati come società compiutamente multietnica e multirazziale solo nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, nonostante la presenza di diverse sottoculture, gli Stati Uniti, almeno fino agli anni '60 del XX secolo, si sono sempre definiti sulla base di una cultura dominante anglo-protestante, a cui tutti gli immigrati dovevano assimilarsi, cosa che, secondo l'Autore, "ha giovato sia a loro che al paese" (p. 78). Fondamentale nella definizione dell'identità statunitense è sicuramente il protestantesimo puritano che, predicando l'evangelizzazione, ponendo in primo piano l'etica del lavoro e dimostrandosi particolarmente riottoso alla sottomissione a qualsiasi forma di potere centralizzato, poneva le basi dello stesso credo americano. Proprio la religiosità è, secondo l'Autore, la caratteristica più rilevante del popolo americano che, se si dimostra relativamente tollerante nei confronti di qualsiasi religione, ritiene invece inaccettabile ogni professione di ateismo. Tale idea era presente anche nei padri fondatori degli Stati Uniti che, convinti della necessità di un sostrato religioso per il governo repubblicano, svincolarono le chiese dallo stato, non per fondare una nazione laica, ma per dar vita ad una nazione in cui il sentimento religioso potesse svilupparsi liberamente. L'integrazione di religiosità e patriottismo negli Stati Uniti produce quindi, secondo Huntington, quella che Bellah definiva religione civile, ovvero la capacità di "combinare efficacemente una politica laica e una società religiosa, di conciliare Dio e la patria, in modo da conferire una santità religiosa al patriottismo e una legittimazione nazionalistica alle convinzioni religiose" (p. 124).

Secondo Huntington le identità nazionali possono essere costruite e decostruite, rafforzate o indebolite, e strettamente connessa al problema dell'identità nazionale americana è la questione dell'assimilazione che, soprattutto dall'inizio del Novecento, è stata riassunta attraverso tre metafore. L'idea di melting pot mostra come la fusione di diverse culture, razze ed etnie abbia prodotto negli Stati Uniti una cultura completamente nuova. La 'minestra di pomodoro', simile all'idea di melting pot, pone maggiormente l'accento sulla cultura anglo-protestante, affermando che essa è la base di pomodoro di una minestra a cui si sono aggiunti poi altri ingredienti, rappresentati dalle altre razze, etnie e culture. L'idea di 'insalata' pone invece in primo piano (a volte con sfumature razziste) l'irriducibile differenza, se non delle culture, almeno delle etnie e delle razze. Visto il prevalere dell'idea della minestra di pomodoro, suffragata dallo stesso T. Roosevelt, l'assimilazione degli immigrati divenne, fino agli anni '60 del Novecento, una priorità portata avanti in particolare attraverso il sistema scolastico. Gli ultimi decenni del Novecento invece, con la progressiva erosione dell'identità nazionale, hanno prodotto, sempre secondo Huntington, forme di assimilazione segmentata, cioè limitate a pochi aspetti della cultura americana, di non assimilazione, di vera e propria appropriazione di parti del territorio nazionale, come nel caso dei cubani a Miami o, infine, doppie fedeltà, doppie cittadinanze, doppie nazionalità. Il fenomeno della globalizzazione tende infine, secondo Huntington, a rafforzare il meccanismo delle diaspore, ovvero di quelle comunità transnazionali che si identificano in una patria e cercano di influenzare la politica degli stati, e in particolare degli Stati Uniti, ovvero dell'unica superpotenza mondiale, in nome degli interessi della loro patria di riferimento.

A parere di Huntington, dopo l'11 settembre gli Stati Uniti si sono resi conto della loro stessa vulnerabilità e tale consapevolezza ha riportato in primo piano il problema dell'identità nazionale, i cui fattori fondamentali si erano però ormai ridotti al solo credo, ossia a una componente ideologica efficace nell'ambito del contrasto con l'Unione Sovietica, ma insufficiente in "una nuova era, in cui le persone si definiscono prevalentemente in termini di cultura e di religione" (p. 403). Proprio alla luce di ciò deve essere allora interpretato l'attuale risveglio della religiosità negli Stati Uniti, che ha dato ai conservatori religiosi un ruolo fondamentale nella politica americana. La religione sta insomma riconquistando quello spazio che, in particolare a partire dall'Illuminismo, le era stato tolto e, dopo l'attacco di Bin Laden alle Due Torri, con cui il terrorismo islamico internazionale si è idealmente sostituito all'Unione Sovietica in quanto nemico, l'identità americana ha ulteriormente tratto linfa vitale dalla propria componente cristiana. In conclusione, secondo Huntington, l'America oggi può prendere tre strade, ovvero aprirsi al mondo in un'ottica cosmopolita, cercare di adattare il mondo a sé in un'ottica imperiale o, infine, come sembrerebbe preferire lo stesso Autore, inaugurare "un nazionalismo dedicato alla preservazione e al rafforzamento delle qualità che hanno definito l'America fin dalla sua fondazione" (p. 432), con particolare riguardo agli elementi religiosi cristiani.

Huntington, pur fornendo un importante affresco degli Stati Uniti alla luce del problema dell'identità nazionale nell'ambito della globalizzazione e delle drammatiche vicende del nuovo secolo, ci dà un'analisi chiaramente contaminata dalla coesistenza che egli riconosce in sé delle "identità di patriota e di studioso" (p. 9): deriva da qui la negazione dell'importanza delle politiche multiculturali e dei movimenti nella riduzione delle tare razziste che da sempre caratterizzano la storia americana e la stessa visone manichea cui egli sottopone i fatti, partendo dal presupposto che gli Stati Uniti, solo rifacendosi ai principi anglo-protestanti, potrebbero porsi di nuovo efficacemente come "leadership morale" e "come forza rappresentativa del bene in tutto il mondo" (p. 9).

Valerio Martone