2005

A. Negri, Guide. Cinque lezioni su impero e dintorni, Raffaele Cortina Editore, Milano 2003, ISBN 88-7078-823-7

Nell'introduzione di Guide, Negri mette a fuoco il dibattito aperto da Impero alla luce degli ultimi avvenimenti geopolitici internazionali, con particolare riferimento alla fortissima unilateralità americana nell'azione imperiale e alla guerra intesa ormai come componente fondamentale della sovranità imperiale. Componente che, secondo l'Autore, si sta sostituendo sempre più alla disciplina e al controllo di cui parlava Foucault. Nel fare ciò Negri espone sinteticamente le tesi principali di Impero, confermando che esse non devono essere viste in un contesto dialettico ma, piuttosto, nello spirito di un metodo aperto alla verifica dell'evento e a partire dall'idea di cogliere la globalizzazione nelle sue dinamiche reali e non nella sua ipotetica conclusione.

Poiché secondo Negri il capitale non è definibile dal punto di vista statico, ma solo dal punto di vista dinamico in quanto frutto di una relazione tra sfruttati e sfruttatori, è necessario rendersi conto di come lo stato-nazione non sia più in grado oggi di gestire tale rapporto e di come la sovranità, intesa come controllo su più livelli della riproduzione del capitale stesso, si sia trasferita altrove. Tale situazione comincia a configurarsi precisamente con le crisi economiche degli anni settanta, con quella contemporanea dell'imperialismo colonialista e, infine, con la caduta del modello socialista. Tali avvenimenti devono essere interpretati, secondo l'Autore, alla luce delle analisi dell'operaismo italiano, che evidenziavano il concetto di classe operaia non come banale «proiezione meccanica della forza-lavoro» ma, al contrario, come «motore di ogni sviluppo attraverso la lotta». Tale visione, accostabile anche allo strutturalismo, al post-strutturalismo francese e ai Subaltern studies, aveva il merito di porre un elemento costitutivo autonomo all'interno dello schema deterministico e teleologico tipico del marxismo ortodosso. Il processo storico, secondo Negri, è quindi caratterizzato dalla discontinuità e dall'azione creativa dei soggetti che ha condotto, nell'ambito della storia del capitalismo, da una prima ad una seconda fase della grande industria (1870-1917 e 1917-1968), differenti tra loro per processi lavorativi, norme di consumo, modelli di regolazione economica e composizione di classe. La fase post-sessantotto presenta quindi radicali elementi di novità: i processi lavorativi coinvolgono oggi il sociale, le norme di consumo sono fortemente individualizzate, i modelli regolativi sono sempre più sovranazionali ed hanno il loro sbocco logico nella funzione politica imperiale, mentre la composizione di classe è «sempre più immateriale dal punto di vista della sostanza del lavoro ed è mobile, poliforme e flessibile dal punto di vista delle sue forme». Tali sono, secondo Negri, le caratteristiche del post-moderno in cui, tra l'altro, con la sussunzione del sociale nel capitale, si assiste a una sempre maggiore sovrapposizione delle relazioni di capitale con le relazioni di sovranità.

Negri prende in considerazione poi il metodo marxiano, efficace nel periodo storico in cui era stato elaborato, ma oggi da rivisitare: se infatti nel XIX secolo era possibile individuare ancora un "fuori" cui appigliarsi come una sicurezza (il valore d'uso), la progressiva diffusione di forme di lavoro immateriale rende obsoleto tale concetto. La diffusione era già ipotizzata, d'altra parte, proprio da Marx nel Frammento sulle macchine in cui veniva descritta una forma di valorizzazione sempre più collegata alle energie intellettuali e, conseguentemente, l'impossibilità di ridurre la giornata lavorativa al semplice tempo di lavoro. Oggi è l'individuo collettivo a determinare il valore della produzione, essendo «il lavoro organizzato in forme comunicative e linguistiche e il sapere qualcosa di cooperativo». Caratteristica fondamentale del "capitalismo cognitivo" è quindi la capacità parassitaria di «captare, dentro una attività sociale generalizzata, gli elementi innovativi che producono valore»: conseguenza di ciò è, da un lato, il progressivo svuotamento della «dialettica dello strumento» e un capitale sempre più legato alla guerra come forma di disciplinamento, dall'altro la progressiva importanza assunta dal General intellect nella produzione di «eccedenze». Il metodo acquisisce quindi autonomia in quanto eccedenza della produzione cognitiva e deve avere determinate caratteristiche: innanzitutto accogliere il punto di vista di un'ontologia radicalmente immanente, in secondo luogo deve poter seguire «la trasformazione del lavoro dall'interno», infine deve riconsiderare come centrale la categoria di sfruttamento. L'analisi di Negri prosegue poi con il concetto di biopolitica, che si presta ad una duplice interpretazione: si può pensare infatti la biopolitica fondamentalmente come una tecnologia del potere (biopotere), ma anche come un tessuto generale dei rapporti tra Stato e società, rapporti che possono essere visti assumendo la centralità sia dello Stato sia della prospettiva "dal basso", quella della società e delle sue esperienze di soggettivazione. In questo ultimo caso il concetto di biopolitica diviene a tutti gli effetti un'estensione del concetto di "lotta di classe".

Il concetto di moltitudine, affrontato successivamente da Negri, è riconducibile in particolare al radicale immanentismo spinoziano: per moltitudine si intende un insieme di singolarità che si pongono in un qualche ordine e, in particolare, in una forma di democrazia assoluta. Ulteriore oggetto di analisi, a partire dal pensiero di Spinoza, è il concetto di soggettività in quanto «prodotto di un insieme di relazioni», secondo cui le singolarità mantengono la loro importanza ma devono essere concepite dinamicamente in una rete di relazioni. Se storicamente la categoria hobbesiana di popolo è sempre stata vincente su quella di moltitudine, con il passaggio al post-moderno e alle relazioni di lavoro caratteristiche del post-fordismo, non si può non ripensare proprio alla moltitudine e alle capacità relazionali sottese a tale concetto. Tuttavia, Negri non limita la sua analisi della moltitudine all'ambito produttivo, ma estende tale idea al piano sociale costituito dalla molteplicità di soggetti, all'idea di classe sociale non operaia e, infine, all'idea di molteplicità capace di sviluppo autonomo. La moltitudine si pone quindi come «potenza democratica, poiché mette assieme libertà e lavoro, combinandoli nella produzione del comune». In quest'ottica la moltitudine diviene un concetto forte, caratterizzato da apertura, dinamicità e capacità costitutive: cardine della produzione tramite il lavoro immateriale e le reti di cooperazione, si pone come limite della sovranità. Ma se la sovranità è la relazione tra chi comanda e chi obbedisce, il potere della moltitudine non consiste tanto nella distruzione di tale relazione, quanto nello svuotarla di significato, negandola, visto che in ultima analisi è la moltitudine stessa a produrre e riprodurre il mondo. La moltitudine non è quindi semplicemente un insieme di soggetti ma è portatrice di un vero e proprio potere costituente.

L'Autore abbozza poi le linee tattiche dell'agire politico nell'ambito della progressiva egemonia del lavoro immateriale sull'intera produzione. La tattica è l'azione del soggetto che mira a contrastare ogni ganglio della rete del potere nel tentativo di svuotarlo di significato: ma come si costituisce il soggetto? Negri, anche in questo caso, si riferisce a Foucault, che parla di costituzione del soggetto (soggettivazione) a partire dai modi della conoscenza, dalle pratiche di divisione e classificazione e, infine, dalla sovradeterminazione di tali elementi compiuta dal potere attraverso le tecniche della disciplina e del controllo. Il soggetto ha la possibilità di resistere al potere solo nella misura in cui sia in grado di costituirsi autonomamente. L'altra strada per arrivare alla medesima conclusione è, secondo Negri, quella intrapresa dall'operaismo in Italia che, rielaborando in modo critico la dottrina del valore-lavoro, arrivava a «proporre un nuovo modo di vivere e godere il tempo». Conseguenza di questa nuova dimensione del tempo era proprio la rielaborazione del concetto di "comune" e di "soggetto". Tale nuovo soggetto, che si è creato attraverso l'egemonia del capitalismo cognitivo, non è però più controllabile attraverso i tradizionali sistemi disciplinari e di controllo: la guerra è la nuova forma del controllo. Ma essa ha il limite, nell'ambito di un rapporto potere-suddito, di non poter distruggere il suddito, presentandosi così con una funzione di polizia e, soprattutto, con una stretta connessione al tessuto biopolitico, dato che «essa produce forme di vita [e] forme di relazione». Di fronte a tale potere smisurato, secondo Negri, l'unica fonte di resistenza possono essere i corpi nel loro tentativo, in quanto moltitudine, di acquisire il primato nella produzione di soggettività, di opporre resistenza e praticare forme di «esodo».

Partendo dalle definizioni di lavoro immateriale e di moltitudine diventa fondamentale l'analisi e la definizione di "cooperazione", in particolare quella "linguistica". Il problema diviene quindi la ridefinizione della sfera del comune, dividendo - nell'ambito della cooperazione che pure esiste tra loro - il manager dal lavoratore, separando i flussi produttivi alienanti da quelli «ricompositivi del sapere e della libertà». Tale problema è risolvibile, secondo Negri, solo a partire da «una rottura pratica capace di riaffermare la centralità della prassi comune». Il piano della critica deve quindi essere strettamente intrecciato a quello della prassi e, in questo senso, l'inchiesta e la con-ricerca possono essere un utile strumento per la costituzione di un soggetto antagonista. Tali pratiche non possono però essere limitate alla fabbrica ma devono necessariamente tenere conto del mutamento del paradigma produttivo e riorientarsi sul piano della biopolitica e dello sfruttamento del comune cercando di «far crescere il desiderio sovversivo del comune che attraversa la moltitudine, ponendolo contro la guerra, istituzionalizzandolo, trasformandolo in potenza costituente». Elementi importanti sono, secondo Negri, la consapevolezza che il lavoro immateriale si sviluppa in rete e non ha bisogno di comando per produrre eccedenza, il fatto che il comune (che è alla base della produzione) non ha bisogno né del capitale né dello sfruttamento e, infine, che la libertà è alla base del comune e della cooperazione e quindi, in ultima analisi, del capitalismo cognitivo. La necessità non è perciò l'estinzione del diritto ma, piuttosto, la costituzione di una democrazia estesa alle moltitudini e caratterizzata da forme giuridiche ispirate ai principi indicati.

Guide è una miscellanea di testi, alcuni già comparsi in varie riviste e altri inediti: le cinque conferenze del 2002 all'Università di Cosenza, che sono il filo principale della recensione, e un dialogo fra l'a. e Danilo Zolo. Il libro ha il merito rilevante di fare maggiore chiarezza su una serie di concetti e questioni lasciate in sospeso da Impero, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti mondiali: si può parlare perciò di una riattualizzazione delle tematiche trattate da Impero, anche a seguito del dibattito che ne è scaturito. Se questo presentava in modo più marcato le caratteristiche di una "grande narrazione", Guide ha il pregio, pur mantenendo una visuale di insieme, di approfondire ed esplicitare, attraverso una trattazione più specifica ed articolata, molte di quelle tematiche.

Valerio Martone