2009

L. Napoleoni, La morsa, Chiarelettere, Milano 2009, pp. 186

L'ultimo lavoro di Loretta Napoleoni - economista di chiara fama e saggista oramai di solido successo - è uno spietato atto di accusa nei riguardi della politica economica e della politica estera dell'amministrazione Bush.

Il nocciolo duro del libro è rapidamente sintetizzabile, consistendo in fondo nell'idea che mentre la war on terror veniva spacciata a piene mani come la virtuosa esportazione della democrazia essa in realtà produceva effetti concreti a dir poco nefasti: non solo seminava morti in giro per il mondo e generava instabilità in vaste zone del globo ma produceva anche un incremento astronomico del deficit di bilancio degli Stati Uniti che avrebbe poi, a sua volta, causato la terribile crisi economica che ha investito il mondo intero. Insomma, mentre Al Qaeda ci spaventava e ci distraeva, Wall Street ci rassicurava e ci derubava.

La forza dell'analisi di Loretta Napoleoni non risiede, evidentemente, nelle accuse mosse al governo Bush, da tempo ormai consegnato alla storia come uno dei peggiori leader di tutti i tempi e di tutti i luoghi, quanto appunto nella capacità di disvelare il legame stretto che unisce le due grandi paure di questo nostro ansioso secolo: l'11 settembre e il crollo dei mercati. Tutto il lavoro di Loretta Napoleoni è infatti dedicato a dimostrare che la crisi economica è il risultato terminale delle improvvide politiche imperialiste adottate dagli Usa in seguito all'attacco mosso da Osama Bin Laden. Sia ben chiaro: l'Autrice ricostruisce sapientemente lo sviluppo della crisi sin dai suoi primordi - che vengono fatti risalire alle decisioni politiche ed economiche adottate in seguito al crollo del muro di Berlino, laddove la strategia del credito facile è servita a pompare la liquidità necessaria a costruire l'egemonia occidentale sui nuovi Stati che nascevano ad Oriente - così come non manca di segnalare le omissioni e gli errori che si sono accavallati nel tempo, ma ciò nondimeno ritiene che la bolla speculativa si gonfi a dismisura, e inevitabilmente si avvii a scoppiare, solo dopo l'11 settembre.

E' a partire da quel momento infatti che gli Stati Uniti dispiegano compiutamente una politica che punta alla conquista del ruolo di unica super potenza attraverso il ricorso alla guerra e come è noto la guerra richiede, per essere combattuta e soprattutto per essere vinta, una infinita quantità di soldi. Soldi che non possono venire dai contribuenti, pena la loro progressiva avversione alle politiche aggressive, e che quindi devono provenire da artifizi e raggiri di ogni genere, che rinviano e ingrossano il deficit di bilancio ma ovviamente non possono né intendono risolverlo. Ma anche la truffa più organizzata ha il fiato corto, così che una volta trascorsa la breve stagione della paura del terrore e dell'illusione della ricchezza comoda per tutti, sul campo restano solo le macerie fumanti dell'Iraq e i banchieri disperati della City.

Tra i tanti loro effetti controproducenti, le scelte di Bush hanno determinato - eccoci all'altro elemento di interesse del libro - l'inaspettato boom della finanza islamica. Anche qui il fenomeno ha un retroterra precedente e indipendente dagli eventi dell'11 settembre: la finanza islamica nasce già negli anni '50 e si struttura sui principi economici derivanti dalla legge coranica, ovvero il divieto del prestito ad interesse, la solidarietà, la giustizia sociale e l'eticità di ogni operazione economica. Osservata con esplicito scetticismo dai cantori delle magnifiche sorti del modello capitalista, la finanza islamica sembra intuire prima di chiunque altro i sintomi della malattia che sta per colpire il sistema speculativo occidentale, predisponendosi così ad intercettarne il malessere quando esso esploderà. Ciò nonostante la finanza islamica resta un fenomeno marginale almeno fino all'emanazione del Patriot Act, le cui irrazionali restrizioni non colpiscono certo i capitali che alimentano il terrorismo internazionale ma, al contrario, inducono molti investitori - timorosi dei controlli eccessivi o dei sospetti che li riguardano in quanto arabi - ad abbandonare il mercato americano rivolgendosi di buon grado a quello medio orientale, islamicamente corretto per chi crede e, in alcuni casi, meno rigido per chi invece vuole soltanto speculare. Così, per uno dei paradossi più acuti di questo decennio, sarà solo grazie al tentativo di bloccare i finanziamenti destinati all'islamismo radicale che il modello predisposto dagli studiosi della shar'ia incontrerà l'imponente massa dei capitali di cui necessitava per trasformare in una storia di successo il tentativo di procedere all'islamizzazione del sistema bancario di una parte significativa del mondo. E oggi, la finanza islamica - modello etico alternativo ad un capitalismo selvaggio e incontrollabile - espugna i bastioni della finanza occidentale, si impianta nelle nostre società con le prime banche islamiche e costringe le grandi banche europee a fornire prodotti commerciali strutturati sui principi islamici.

Se quasi nessuno crede più - almeno fuori dall'Italia - all'incubo ben propagandato da Samuel Huntington, ovvero all'inevitabile scontro tra le civiltà, oggi gli studiosi si confrontano con una nuova e più interessante lettura dei processi in corso - quella di Martha Nussbaum - che ribalta la tesi cara ai neocon e delinea i tratti di uno scontro nelle civiltà tra fondamentalisti di ogni genere e democratici intenti a difendere i principi fondamentali della civiltà occidentale. Loretta Napoleoni segue tutt'altra impostazione e, anche sotto questo profilo, non manca di esprimere le proprie idee con quella chiarezza che segna tutto il suo incedere. Quella scatenatasi da un decennio sarebbe soltanto una lotta tra potentati, un confronto senza esclusione di colpi per l'egemonia politica ed economica, lanciata dalla parte sin qui soccombente - il mondo islamico - e bloccata dalla reazione del più forte. In questo scontro la religione è solo la musica di sottofondo, il lessico necessario a mobilitare i rispettivi schieramenti, il cemento capace di amalgamare le masse islamiche con i settori più avanzati della borghesia e tutti gli altri gruppi sociali che non fanno parte di quelle ristrette élite che con l'occidente fanno affari e commerci. Come ha scritto un acuto sociologo portoghese (De Sousa Santos), la ricerca di un ordine nuovo e di una società giusta viene condotta da una larga parte delle popolazioni islamiche attingendo non più al mito della Rivoluzione ma a quello della Rivelazione, ma tutto il resto non è cambiato e - come mille e mille anni fa - interessi, bisogni e strategie si devono declinare secondo le forme del potere e non della spiritualità.

La politica della paura così egregiamente utilizzata dal governo Bush genera consenso passeggero ma produce un permanente dissesto economico, morale e sociale. La conclusione di questo ciclo, l'esplosione della crisi, non può però semplicisticamente essere considerato un bene. Dietro l'angolo si annida un nuovo pericolo, ovvero una risposta alla crisi intrisa di nazionalismo e protezionismo, che rassicuri l'opinione pubblica con il suggestivo richiamo della tradizione e con l'individuazione nel diverso del capro espiatorio da sacrificare sull'altare della coesione sociale. Una tentazione che nel nostro paese si declina ancora secondo le parole d'ordine di un tempo: Dio, patria e famiglia.

Se ha ragione Loretta Napoleoni, se questa strada condurrà a una chiusura suicida e a una nuova fase di depressione economica non v'è proprio da essere ottimisti: Dio, patria e famiglia sono il cardine intorno a cui si muove la politica di questo Governo e i valori fondamentali evocati proprio dal nostro Ministro dell'Economia nel suo più recente libro. La morsa da cui l'America fatica a liberarsi ha vie d'uscita ancora più strette là dove la crisi economica viene tamponata con misure di breve respiro e il mercato della paura e dell'identità è ancora molto florido.

Nicola Fiorita