2005

Y. Moulier Boutang, De l'esclavage au salariat - Économie historique du salariat bridé, PUF, Paris 1998, trad. it. Dalla schiavitù al lavoro salariato, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 717, ISBN 88-7285-291-9

Dopo una laboriosa impresa di traduzione, viene pubblicato in Italia, dalla Manifestolibri, l'opus magnum di Yann Moulier-Boutang, Dalla schiavitù al lavoro salariato, che riproduce quasi integralmente una tesi di dottorato in scienze economiche sostenuta all'Istituto di Studi Politici di Parigi e pubblicata in Francia nel 1998. La complessità dell'impianto scientifico, la molteplicità della struttura teorica e l'ordito della trama storiografica non possono essere certamente riassunti in poche righe; cercheremo quindi di affrontare il testo seguendo un breve e puntuale schema espositivo.

La storia del lavoro salariato si esprime attraverso una storia mondiale fatta di traiettorie specifiche: Africa del Sud, America del Nord, Europa occidentale con le migrazioni coloniali e poi con le grandi migrazioni intra-europee e trans-mediterranee, il Giappone con le migrazioni coreane antiche e recenti. Questa storia rende ormai evidente come il mercato del lavoro non possa funzionare senza la fissazione della mobilità della forza-lavoro, ma anche la permanenza di un mercato del "lavoro esogeno" rispetto a quello affluente.

L'instaurazione del regime moderno della schiavitù nelle piantagioni delle Americhe svolse per settanta anni (1620-1690) il compito di imbrigliare la forza lavoro, dopo avere constatato che i bianchi deportati nelle colonie non avrebbero potuto sostenere da soli la domanda di produzione. Ci sarebbe voluto più di un secolo (1792-1907) per l'abolizione del sistema della deportazione e della schiavitù della forza lavoro negli stati coloniali. Moulier-Boutang descrive la storia di questa liberazione attraverso la guerra civile negli Stati Uniti, l'istituzione della repubblica brasiliana, la creazione e la distruzione degli stati dei boeri in Sud Africa, la rivolta giacobina di Haiti. L'abolizione della schiavitù è il risultato della decisione politica presa dall'Inghilterra che intendeva gettare le basi di una economia internazionale aperta al libero-scambio e alla forza lavoro libera. L'egemonia marittima le permise di fare questa scelta, a dispetto dell'intera economia mondiale che funzionava ben altrimenti. La perdita della sua colonia più prospera, gli USA, le tormente rivoluzionarie che attraversavano l'Europa intera e, di riflesso, il mondo condussero l'Inghilterra ad operare una revisione profonda delle regole degli scambi economici a livello internazionale. Si affermava così tra il 1815 e il 1880 il liberalismo economico, commerciale, politico e quindi il modello incontestato della modernizzazione e della crescita capitalistica. L'abolizione della tratta e poi quella della schiavitù imposta al mondo intero dall'Inghilterra costituiva il logico risultato dell'instaurazione del regime del libero mercato internazione e nazionale del lavoro. Moulier-Boutang sostiene che questo processo epocale, economicamente non produttivo, dato che un lavoratore dipendente costa molto di più di uno schiavo, fu originariamente imposto al capitale mondiale dalla forza-lavoro stessa.

Momento fondamentale per la costituzione a livello mondiale di una forza-lavoro libera è dunque il passaggio, marxianamente inteso, dal capitalismo estensivo al capitalismo intensivo, dal plusvalore assoluto al plusvalore relativo. Il nuovo imperativo era quello della crescita economica, di una giuridificazione dello spazio commerciale mondiale, e di lì a poco sarebbero arrivate anche le prime timide garanzie costituzionali al lavoro. Il passaggio tuttavia non fu così diretto: Moulier-Boutang descrive la successiva stratificazione dei mercati di lavoro come quello del peonaggio, ma anche quello segmentato dal regime delle migrazioni internazionali sotto contratto per la gran parte degli immigrati stranieri, ed infine il mercato protetto dalle barriere razziali e discriminatorie contro le popolazioni non bianche (USA, Sud Africa, Australia). Si tratta di tre forme di lavoro dipendente che caratterizzano il mercato del lavoro delle zone più dinamiche dell'industrializzazione durante l'intero XX secolo, ed in parte quello precedente. L'economia mondo è altamente differenziata e ciò si misura soprattutto sull'organizzazione dei suoi mercati del lavoro. L'evoluzione di questi sistemi complessi, sostiene Moulier-Boutang, dipende dal controllo deldiritto di rottura unilaterale del rapporto di lavoro, oggetto permanente del conflitto tra capitale e lavoro.

Il risultato di questo conflitto è quello del modello liberale del lavoro: la vendita della forza lavoro contro la "dazione" di una certa quantità di denaro. Il lavoratore dipendente, libero giuridicamente, non è più un oggetto della transazione ma è il soggetto contrattante, si impegna a concedere la sua prestazione per un tempo determinato. La lotta per la sua libertà si articola su due terreni: quello dell'indebolimento della coercizione salariale a favore della costituzione di uno statuto di semi-indipendenza; quello della gestione del tempo di ingaggio del contratto ma anche del salario. È questa la forma in cui il lavoro salariato si è tramandato sino ad oggi, dopo l'affermazione mondiale della rivoluzione monetarista.

Moulier-Boutang sostiene che il mercato del lavoro abbia un solo scopo: quello di controllare la mobilità del lavoro di cui le migrazioni internazionali rappresentano l'ideal-tipo. Nella sua autonomia, infatti, il fenomeno della mobilità della forza lavoro internazionale costituisce oggi un mercato del lavoro parallelo a quello della forza lavoro "nazionale", vale a dire un mercato "esogeno". In tutta Europa, come negli USA, la forza lavoro internazionale è vincolata al permesso di soggiorno, al famigerato contratto di lavoro. I migranti internazionali sono oggi prigionieri di un residuo giuridico arcaico di cui la forza lavoro "nazionale" si è liberata nel corso dell'ultimo secolo, sin dal momento dell'introduzione dei primi elementi di Welfare State. La differenza essenziale tra le due forme di contratto di lavoro sta nel diritto dei cittadini di rompere l'impegno sottoscritto con il datore di lavoro. Questo diritto non è invece riconosciuto agli stranieri. È come se il diritto del lavoratore salariato abbia come contropartita la limitazione severa del diritto di rompere il contratto di lavoro da parte dell'immigrato. In che cosa consiste il rapporto di complementarità tra queste due forze-lavoro e i rispettivi mercati? Per Moulier-Boutang questo rapporto deriva da un'esigenza sistemica: quella cioè di controllare il mercato del lavoro nel caso dei flussi di forza lavoro esogena (la quota di immigrazione necessaria ad affrontare un razionamento dell'offerta in determinati settori del mercato), oppure nel caso dei flussi endogeni (cioè quando l'offerta di forza lavoro è eccedente rispetto alla capacità di impiego). Questa esigenza sistemica del mercato di lavoro si afferma a livello mondiale sin dai primi tempi dell'accumulazione capitalistica, dislocandosi storicamente sino al punto da influenzare direttamente il suo corso, modificandone ontologicamente i principi costitutivi.

La caratterizzazione ideal-tipica delle migrazioni internazionali fatta da Moulier-Boutang, non risponde alla volontà di eleggerle ad attrici privilegiate dell'accumulazione capitalistica. È la mobilità della forza lavoro in genere ad essere protagonista di tale accumulazione. Ciò che interessa al capitale è proteggere il mercato del lavoro dal pericolo di fuga dal lavoro dipendente, libero o non libero. Tale pericolo appare a Moulier-Boutang come il primum mobile della creazione del mercato del lavoro e quindi della concorrenza capitalistica e dell'accumulazione in generale. La tentazione di imbrigliare la mobilità del lavoro è riscontrabile nell'operazione da parte del mercato del lavoro di limitarla attraverso lo scambio prestazione di lavoro contro denaro. Da qui seguono i diversi investimenti sui diritti della cittadinanza, quelle regole cioè che hanno mirato durante i "trent'anni gloriosi" (1945-1975) alla costituzione di un regime permanente del lavoro dipendente in tutto l'emisfero occidentale del pianeta. Questa operazione viene definita da Moulier-Boutang come "internalizzazione" del mercato del lavoro, vale a dire la creazione di un sistema che stabilisce la durata indeterminata del lavoro e quindi di quel sistema di cittadinanza finalizzato alla riproduzione delle condizioni sociali per le quali ciascun lavoratore è garantito, ma è anche libero di rompere il rapporto di lavoro; sicuro di trovarne un altro altrettanto degno. La rivoluzione neo-liberale, avvenuta nel successivo trentennio, sembra invece avere invertito la traiettoria dell'internalizzazione del mercato del lavoro verso un percorso contrario di esternalizzazione, cioè di smantellamento delle garanzie sistemiche della stabilità del mercato del lavoro verso forme di controllo della mobilità della forza lavoro più autoritarie e flessibili.

Nel quadro di questa vicenda storica, Moulier-Boutang scopre l'esistenza di un nuovo "continente", quello del rifiuto, dell'insubordinazione, della fuga, del movimento dell'esodo dal rapporto di lavoro salariato. Si tratta in altre parole del problema cruciale affrontato a livello mondiale da tutti gli Stati-nazione: quello di fissare la forza lavoro su un territorio, obbligarla a lavorare e quindi a partecipare ad un processo di accumulazione capitalistica, impedirne la fuga dalla disciplina produttivistica e quindi dal mercato del lavoro, fuori dal quale non esiste alcun tipo di cittadinanza, e quindi modello di vita sociale. La scoperta della positività della fuga, del rifiuto di prestarsi alla cooperazione sociale imposta dal Capitale, non diversamente da quanto affermato da Albert Hirschmann secondo il modello exit/voice, implica una presa di parola a favore di una nuova costituzione del lavoro, e quindi di una regola o insieme di regole capaci di porre la necessità di una nuova cooperazione sociale.

Roberto Ciccarelli