2005

F. Mernissi, Islam e democrazia. La paura della modernità, Giunti, Firenze 2002, ISBN 88-09-02833-3

Solo recentemente Fatema Mernissi è diventata nota al pubblico italiano come autorevole intellettuale schierata contro la guerra, che si è fatta interprete delle paure e delle speranze di una parte delle società civili arabe. Fino a qualche anno fa era conosciuta per i suoi romanzi ad una cerchia più ristretta di lettori. In Islam e democrazia, pubblicato in Italia dalla casa editrice Giunti, l'autrice sceglie la forma del saggio per riflettere sul rapporto fra oriente ed occidente a partire dall'interpretazione degli avvenimenti storici e dei processi culturali con i quali si è chiuso il XX secolo. Nonostante Mernissi si discosti dalla sua vena propriamente narrativa, il libro rivela il carattere personale, a tratti autobiografico, della riflessione dell'autrice. La forza di Fatema Mernissi, da anni impegnata nella battaglia per i diritti e per la democrazia, e la sua passione civica traspaiono continuamente dalle pagine di Islam e democrazia. Il libro sembra nascere dall'urgenza di soffermarsi su alcuni drammatici avvenimenti storici e di dare voce a quanti li hanno vissuti sulla sponda sud del Mediterraneo.

Islam e democrazia è stato scritto nel 1992, subito dopo la prima guerra del Golfo, ed è stato pubblicato in Italia nel 2002, nell'imminenza della seconda Guerra del Golfo. Dalla prima edizione in lingua inglese sono dunque passati ormai tredici anni e tuttavia il libro conserva un'incredibile attualità. Fatema Mernissi sembra aver previsto gli eventi futuri e averci avvisato della minaccia fondamentalista e della pericolosità insita nel comportamento rapace dell'occidente nei confronti dei paesi arabi. Mernissi è una scrittrice, non una politologa. Per questo il libro presenta un carattere molto originale e consente di reinterpretare eventi già molto discussi, considerandoli in una prospettiva nuova, nella quale il dibattito culturale sulla frattura oriente/occidente si arricchisce di storie e di simboli per lo più ignoti al lettore occidentale. Pazientemente, l'autrice ci conduce nel cuore di quello che lei stessa giudica come un conflitto culturale fra il mondo arabo e l'occidente, fra l'art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che sancisce la libertà di pensiero e di culto, e la visione islamica della umma, la comunità, unita sotto il segno dell'obbedienza che garantisce la rahma, la pacificazione sociale e il senso di appartenenza.

Mernissi accusa l'occidente e, in particolare, l'Europa di ignorare le esigenze del mondo arabo e di assumere un atteggiamento opportunistico, interessato soltanto allo sfruttamento delle riserve petrolifere mediorientali. Così facendo, l'Europa che, caduto il muro di Berlino (lo hijab di Berlino lo definisce l'autrice), aveva suscitato grandi speranze fra le popolazioni arabe, ha svilito il senso della teoria dei diritti umani, affiancando gli Stati Uniti in una politica, incomprensibile alle popolazioni arabe, che dichiara di portare libertà e democrazia bombardando le medine e uccidendo civili innocenti. Questa politica conduce ad un rifiuto della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, della democrazia e dello Stato di diritto, come elementi estranei alla cultura musulmana.

Fatema Mernissi, attraverso un excursus nella storia e nella cultura islamica, mostra invece come la libertà di pensiero, la partecipazione politica e la concezione individualistica che è alla base dello Stato di diritto sono parte del patrimonio musulmano, nonostante esse siano state aspramente combattute fin dall'inizio della storia politica islamica. Nell'individualismo, in particolare, l'Islam avrebbe visto il fantasma dell'epoca pre-islamica, del paganesimo brutale e violento diffuso nei territori arabi prima dell'espansione del monoteismo islamico: un'epoca rimossa e condannata, secondo l'autrice, perché caratterizzata dal disordine e dalla devozione a feroci dee che esigevano sacrifici umani. Alla stessa frattura con l'era pre-islamica l'autrice riconduce la limitazione dell'immaginazione individuale che trova la sua principale espressione nella diffidenza per le arti figurative e nel divieto religioso di riprodurre la figura umana. Secondo Mernissi la mancata elaborazione di una cultura individualistica all'interno dell'islam sarebbe la causa dell'arretratezza del mondo arabo e della sua incapacità di accedere al progresso scientifico e tecnologico. Certo, l'autrice non manca di riferirsi ai danni prodotti dal colonialismo e alle attuali logiche di sfruttamento che segnano i rapporti fra occidente e mondo arabo e tuttavia queste dinamiche rimangono sullo sfondo, oscurate dall'urgenza di un mutamento culturale del mondo islamico che lo liberi dalla scelta obbligata fra tradizione autoctona e modernità occidentale.

Molte tesi del libro sono condivisibili e la lettura è utile soprattutto al lettore europeo abituato dalla tradizione orientalista a guardare al mondo arabo o come ad un mondo violento, spaventoso e nemico, o come ad un mondo bizzarro, pieno di colori e tradizioni curiose. Tuttavia, il carattere del libro, a metà strada fra saggistica e narrativa, condanna alla superficialità la riflessione di Fatema Mernissi. L'occidente è presentato come il luogo della democrazia compiuta e dei diritti, dove ognuno (dice Mernissi) trova il modo di realizzare i propri talenti. L'occidente è un Eden, dove regnano individualismo ed eguaglianza e dove sembrano non esistere povertà e disoccupazione. L'occidente gode del progresso scientifico e tecnologico, cui Mernissi guarda come a una panacea giungendo a suggerire che i paesi arabi cessino di importare armi e costruiscano proprie industrie militari in grado di incentivare la ricerca scientifica e tecnologica. L'occidente detta il calendario e l'ora al mondo islamico, che invece dovrebbe conservare il proprio sistema di misurazione del tempo, ma rimane per Mernissi il riferimento continuo a cui guardare. I paesi arabi si specchiano nell'occidente, vi vedono il rimosso della propria cultura e se ne spaventano. Il mondo islamico appare attraversato da paure e incapace di confrontarsi con l'occidente trionfante. Si ha l'impressione che l'autrice riproponga una versione soft del conflitto culturale fra oriente e occidente, una visione secondo la quale il mondo arabo deve ancora compiere quelle tappe di evoluzione verso la secolarizzazione e la diffusione di una cultura individualista che l'occidente ha già compiuto alcuni secoli fa. La storia dell'Islam appare come una storia bloccata, non tanto dalla violenza coloniale, quanto dalla stessa cultura musulmana, incapace di ascoltare la pluralità di voci che la compongono.

Nell'orizzonte della globalizzazione nel quale siamo immersi, Fatema Mernissi finisce per non considerarci tutti parte di una stessa storia. Quella di un occidente brillante e invincibile e di un Islam ripiegato su se stesso è un'immagine che non convince. La crisi sembra piuttosto, a noi che stiamo sulla sponda nord del Mediterraneo, attraversare i due mondi, ammesso che questa distinzione dicotomica abbia un senso. La cultura individualistica decantata dall'autrice ha dei limiti, così come ha dei limiti la concezione occidentale dei bisogni e delle aspettative degli individui, bisogni e aspettative che spesso sono al centro di strategie produttive e commerciali, ma per lo più sono svuotati dall'interno in società come le nostre, nelle quali le preferenze individuali sono spesso ridotte a scelte coatte di uno dei beni offerti dal mercato.

Con questo non intendo sostenere che si debba indulgere ad una visione orientalistica e mitica dei legami comunitari che costringono le donne dietro i veli. Intendo solo porre l'esigenza di una maggiore problematizzazione della cultura occidentale e dello scientismo tecnologico da cui provengono tanto le meraviglie della rete telematica, quanto gli orrori dei missili intelligenti. Oggi avremmo forse bisogno sulle due sponde del Mediterraneo di una riflessione più complessa e più colta, meno incline a schematismi, che ci aiuti, di qua come di là, ad affrontare la globalizzazione e la crisi culturale e politica che tutti attraversiamo.

Lucia Re