2005

C. Marazzi, Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell'economia e i suoi effetti sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 133, ISBN 88-339-1161-6

"Il posto dei calzini", per un saggio che si muove tra la scienza economica e quella sociologica, è titolo che incuriosisce e va immediatamente spiegato. Negli usi domestici di una coppia quello dei calzini è un posto che la donna sceglie e conserva con precisione, mentre l'uomo lo adotta a caso, oppure contando sulla cura della moglie. Per Christian Marazzi, nel gesto di riporre i calzini al posto giusto si misura la diseguaglianza concreta tra uomini e donne, e un'immagine del persistente sfruttamento dell'uno sull'altra. Si tratta di una diseguaglianza che quantitativamente non è misurabile, ma è qualitativamente rilevante: la donna si sente tuttora in dovere di sistemare i calzini al posto giusto perché su di lei pesa un fardello immateriale di tradizioni e schemi culturali che determina i suoi 'obblighi' nonostante l'eguaglianza formale dei diritti.

L'esempio dei calzini, e "l'asimmetria di potere" nei rapporti uomo-donna, è estendibile al di fuori della casa, e ad altre forme di rapporto. In particolare lo è nel mondo del lavoro, dove la vigenza di diritti universali ha subito un doppio attacco: da una parte sono in ripiegamento "i diritti sociali protetti da norme giuridiche solide e durature" (p. 35), dall'altra l'eguaglianza dei diritti si mostra come un'apparenza formale che non regge ai trattamenti diseguali che crescono al di sotto delle attribuzioni formali.

Per descrivere questi processi, l'angolo prospettico scelto nel breve testo di Marazzi è il postfordismo quale epocale trasformazione nella produzione economica. Lo studioso ticinese l'aveva pubblicato una prima volta nel 1994 presso Casagrande, un piccolo editore svizzero, prima che esso fosse in seguito ripreso in Italia da Bollati Boringhieri. Alcuni degli argomenti affrontati (come, ad esempio, le implicazioni del programma economico di Bill Clinton) risentono degli avvenimenti intercorsi dalla prima edizione ad oggi; ma altre riflessioni, quelle che ispirano l'argomentazione, sono ancora attuali perché pienamente in atto appaiono le conseguenze del postfordismo.

Per l'autore vi è una netta cesura tra la ferrea programmazione della produzione fordista e l'"occasionalismo" della produzione just-in-time di quella postfordista, tanto che il passaggio appare più come uno stravolgimento che come una transizione. C'è, da un lato, il dissolvimento delle garanzie del lavoratore dipendente, che in azienda è costretto a cedere diritti per recuperare una relazione di fedeltà al padrone. Una relazione che però non viene remunerata dalla protezione e dalla sicurezza (come nella figurazione medioevale-moderna della fiducia, quella del signore con il suo seguito), e sconta invece l'onnipresente rischio di ripiombare in un mercato del lavoro dominato dalla precarietà. In regime postfordista si produce con l'occhio alle vendite e non alle scorte, e perciò lavora chi è disponibile nelle fasi di alta congiuntura. A causa di questo accento posto sulla "produzione snella", Marazzi è spinto ad interpretare la fedeltà del lavoratore postfordista come "servilismo".

Ma la novità più eclatante del postfordismo (ed è su questo che l'autore concentra a vari livelli la sua analisi) è l'irruzione della comunicazione nella produzione. Quel che era un disturbo nel fordismo diventa un fattore strutturante nel postfordismo, attraverso un enorme flusso di informazioni che percorre (in entrambe le direzioni) le fasi di produzione, distribuzione, vendita dei prodotti. Ed anche la forza-lavoro deve ora lavorare comunicando, mettendo in campo un bagaglio di capacità e conoscenze comunicativo/informativo/relazionali inaudito.

Marazzi affronta questo nodo confrontandosi con alcune teorie filosofiche contemporanee intorno al linguaggio ed alla comunicazione, e procede attraverso una lettura critica della teoria di Habermas di agire strumentale e agire comunicativo. Nel lavoro postfordista queste due forme si sovrappongono e, secondo Marazzi, la comunicazione riemerge da questa sovrapposizione dopo aver assunto su di sé le categorie dell'agire strumentale. Così - armata della logica mezzo/fine e del calcolo dei vantaggi - la comunicazione fuoriesce dall'industria per irrompere nella sfera pubblica politica, con un risultato che viene definito un "cortocircuito".

Si ha l'impressione, leggendo Marazzi, che il postfordismo abbia contaminato la sfera pubblica plagiandone gli strumenti nobili, la parola e il discorso, e rendendoli inadeguati ad occuparsi di interessi che non siano individuali ed egoistici. Su questa base viene intravista la crisi della democrazia rappresentativa 'fordista', che potrebbe essere soppiantata da una "democrazia totalitaria" postfordista. Una democrazia senza diritti, nella quale le risorse della comunicazione e dell'informazione vengono utilizzate in funzioni di controllo: non manca, su questo punto, né la terminologia foucaultiana né il riferimento al Panopticon di Bentham, caro al Foucault di "Sorvegliare e punire".

In alternativa, Marazzi evoca più volte il ritorno a momenti di riflessione e pratiche di "comunità politica" (pp. 42, 103, 114). Ma si tratta, appunto, di evocazioni, non teorizzate, che suonano forse un po' incaute quando ci si richiama ad un concetto forte delle scienze sociali come quello di 'comunità'. Anche perché uno dei pericoli insiti in ogni espressione di comunitarismo è la deriva in direzione di forme totalitarie di potere. Questo nesso: comunità-totalitarismo, è stato acutamente mostrato in un testo presentato proprio di recente (nel 2001) in traduzione italiana: si tratta de "I limiti della comunità" di Helmuth Plessner, del 1924.

Nicola Casanova