2010

V. Mahajan, Africa s.p.a. Novecento milioni di consumatori: una grande opportunità di business ancora inesplorata, Pearson, Milano 2009, pp. 273

L'autore è consulente delle maggiori corporations transnazionali, viene dall'India e insegna Economia aziendale in Texas. Quella che ci propone è una lettura provocatoria, unilaterale ma stimolante dei problemi del non-sviluppo: anche nei luoghi più difficili possiamo, grazie all'economia informale, intravedere opportunità di global business.

Mahajan fa notare che se l'Africa fosse un'unica nazione, sarebbe la decima economia a livello mondiale, davanti a tutti i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), eccetto la Cina. Soprattutto, l'Africa ha 900 milioni di consumatori, tra cui 400 costituiscono una classe media emergente che può spingere la crescita economica. Se è vero che nel "Continente nero" vi sono alcuni dei paesi più poveri del pianeta, ben dodici suoi paesi (con una popolazione che supera i 100 milioni) hanno un PNL pro capite superiore a quello della Cina; dieci di questi dodici paesi sono sub-sahariani. Oltre 220 milioni di africani vivono in paesi in cui il PNL è cresciuto, nell'ultimo quinquennio, mediamente a più del 6% l'anno. Tra il 1997 e il 2007, la crescita del PNL africano è passato dal 3,5 al 6%, mentre l'inflazione è diminuita dal 10,2 al 6%. Nella lista delle prime 500 imprese africane, la parte del leone è di Sud Africa e Egitto, ma altri 16 paesi sono presenti; le imprese in cima alla classifica appartengono ai settori minerario, delle telecomunicazioni, edile, dei servizi bancari e dei beni di consumo.

Questi dati si traducono, secondo l'autore, in formidabili occasioni di affari. Ad esempio, in Africa solo il 20% delle famiglie dispone di un conto in banca. In Uganda, per una popolazione di 27 milioni, nel 2005 vi erano appena 100 sportelli bancomat. Lo scarso sviluppo del sistema bancario eleva i costi per i trasferimenti di denaro; una soluzione, per ridurre i costi, è stata trovata con l'utilizzo dei crediti della telefonia mobile. Ossia, una risposta a questo fallimento dei mercati formali è stata la rapidissima diffusione dei telefoni cellulari, che hanno reso le carte telefoniche prepagate una forma affidabile di valuta. In un mercato in cui trasferire denaro è costoso e i tassi di cambio sono volatili, le ricariche prepagate possono essere inviate elettronicamente da un cellulare all'altro. In alcuni paesi, gli utenti possono trasferire denaro, pagare le bollette e acquistare tempo di conversazione dai loro apparecchi. I servizi bancari di telefonia mobile aprono una filiale bancaria tra le mani di chiunque possiede un cellulare.

Al boom della telefonia mobile si collega una delle vicende esemplari di successo, su cui Mahajan si sofferma: quella di Mohamed Ibrahim che, nato in Sudan, dopo la laurea in ingegneria, ha conseguito in Inghilterra il PhD in Mobile Communications ed è stato dirigente di British Telecom. Nel 1998 ha fondato Celtec International, che è diventata una delle maggiori società di telefonia mobile in Africa. Secondo quanto scrive Mahajan, Ibrahim ha deciso di sottrarsi ai legami tradizionali e alla richiesta di pagamenti, instaurando un sistema non ufficiale per garantire una buona governance. Per ottenere consenso sociale e proteggersi contro gli atti di vandalismo, Celtec consentiva agli abitanti dei villaggi rurali di usare l'elettricità dei suoi ripetitori per caricare i cellulari, si spingeva spesso ad installare direttamente i generatori e a costruire la rete dei ripetitori, nonché ricorreva a prestiti informali quando le banche non le fornivano finanziamenti. Il successo di Celtec ha incoraggiato una messe di concorrenti. Dal 1998 al 2008 gli abbonati africani della telefonia mobile sono saliti da 2 a 130 milioni. Nel 2005 Celtec è stata venduta a MTC Kuwait per $ 3,4 miliardi ed è oggi presente in 15 paesi africani. Sul piano personale, Ibrahim ha creato un fondo di $200 milioni per investimenti a favore di imprenditori africani. Inoltre, ha istituito un premio di $5 milioni, più un vitalizio di $200.000 all'anno, a favore dei leader africani in pensione che hanno ben governato e che poi si sono ritirati a vita privata: nel 2007 esso è stato assegnato all'ex presidente del Mozambico, Chissano, che ha lasciato l'attività politica nel 2004 dopo aver contribuito a porre termine a una guerra civile di 16 anni.

Mahajan illustra e analizza molte altre storie "a lieto fine". Ne selezioniamo qualcuna. In Marocco, la gran parte delle vendite al dettaglio si effettua in 80.000 piccoli negozi di quartiere: gli hanout. In questi negozi a gestione familiare, si vende a credito senza interessi. Un negoziante convenzionale, abituato a transazioni in contanti o con carte, non potrebbe offrire un simile servizio. L'imprenditore Moncef Belkhayat sta invece creando una catena di 3.000 hanout, denominata Hanouti. Il marchio offre modernità, pulizia e sicurezza. Il credito proviene adesso da una banca consociata, che propone (direttamente al banco di Hanouti) carte di credito, conti, servizi di pagamento delle utenze e assicurazioni. È questo un caso di studio che vede avviarsi un percorso di formalizzazione di attività tradizionalmente informali. Analoga considerazione per la vicenda di Azbane Cosmetics, che tenta di rivolgersi ad un'ampia (e non solo africana) domanda di merci a costo molto basso (in genere contraffatte) per affermare un business legale. Azbane produce prodotti di marca che sono diventati leader nel mercato dei cosmetici; ma, rivolgendosi ai clienti che altrimenti avrebbero comprato le imitazioni, essa vende i propri prodotti a metà del prezzo dei marchi globali. Inoltre, l'azienda ha tratto vantaggio dallo sviluppo del turismo in Africa, vendendo i prodotti per la cura del corpo tramite le catene alberghiere agli occidentali, e si è imposta al punto che adesso esporta verso paesi come Spagna e Stati Uniti.

Non mancano i percorsi inversi, che dall'economia formale si immergono nell'oceano delle iniziative informali. Ad esempio gli abiti usati, buttati via dagli occidentali, sono compressi in balle da 1000 libbre (circa mezza tonnellata) e venduti in Africa a 11 centesimi di dollaro alla libbra (1 libbra = 453,6 g). Questo commercio internazionale vale $1miliardo all'anno e dà lavoro a centinaia di migliaia di africani, che gestiscono, distribuiscono, puliscono e riparano gli abiti. Tuttavia, al riguardo, la vera grande storia di successo è quella di Nollywood. Nel 1992 il commerciante nigeriano Kenneth Nnebue stava cercando di vendere una grossa partita di videocassette vergini acquistate da Taiwan. Per accrescere il valore dei nastri, pensò di offrire anche un contenuto. Così girò, per strada e con mezzi di fortuna, il film Living in Bondage su un uomo che uccide la moglie in un rituale religioso in cambio di ricchezza e potere e viene poi perseguitato dallo spettro della defunta. Il film vendette 750.000 copie e sollecitò altri a provarci: nacque Nollywood, la terza industria cinematografica del mondo per incassi, dopo Hollywood e Bollywood. Sforna oltre 2000 film l'anno, con costi bassi (da $15.000 a 100.000) e sceneggiature mediocri (dominano i soggetti legati al vudù e alla magia nera). Dà lavoro informale in Nigeria a circa un milione di persone, ed è, dopo l'agricoltura, il secondo settore d'impiego del paese. I cinema sono trattorie o abitazioni private, dotate di un lettore DVD e di un televisore; il noleggio di un film costa un paio di dollari, mentre il biglietto d'ingresso costa pochi centesimi.

Né sono assenti le collaborazioni tra pubblico e privato, nelle quali fanno bella figura perfino le avide e potenti corporations transnazionali. Com'è noto, circa l'80% dei casi di malaria a livello mondiale è in Africa. Il farmaco antimalarico Coartem, sviluppato dalla corporation Novartis, rappresenta una terapia d'avanguardia. Gli ostacoli maggiori alla diffusione dei trattamenti sono il costo, la distribuzione, la consapevolezza e l'educazione. Novartis ha elaborato una strategia che coinvolge pubblico e privato. L'azienda offre il farmaco al Fondo Globale e all'OMS a prezzo di costo, affinché questo venga distribuito gratuitamente ai più poveri. In cambio, ottiene di potersi creare un mercato privato del farmaco, rivolto ai clienti più agiati, attraverso farmacie e medici.

I flussi di aiuti pubblici allo sviluppo, oltre a incontrare numerose criticità (si rimanda a N. Bellanca, Umanitarismo competitivo. Le ONG nei processi dell'aiuto e dell'emergenza), rafforzano lo stereotipo dell'Africa quale buco nero di malattia e di morte. Si parla continuamente di povertà estrema, leader corrotti, signori della guerra, conflitti tribali, lavoratori bambini, donne sfigurate da abusi e mutilazioni genitali. Secondo Mahajan, esistono piuttosto non poche, sebbene difficili, opportunità per passare dalla carità allo sviluppo endogeno sostenibile. Secondo l'idea che "dal letame nascono i fior", il libro documenta come, grazie a un vigoroso spirito imprenditoriale, davanti alla mancanza di continuità nell'erogazione dell'energia elettrica, in molte zone dell'Africa sono sorti mercati di generatori e di pannelli solari; davanti all'instabilità del sistema monetario, si barattano le ricariche del cellulare; davanti ai problemi sanitari, sorgono mercati differenziati di nuove terapie, attrezzature per i test e assicurazioni; davanti alla necessità di salvaguardia dell'ambiente, nasce l'eco-turismo; davanti all'alto tasso di natalità, emergono iniziative volte a offrire pannolini, divise scolastiche o una vasta gamma di sbocchi formativi. Questi sviluppi, lo sappiamo, sono dei Moloch: suscitano nuovi costi, generano comportamenti profittatori e cinici, attirano investitori esteri con pochi scrupoli. Ma una carità senza fine e senza speranza è forse ancora peggio. I "fermenti" raccontati in questo libro sono ambigui, e sono narrati con piglio sostanzialmente apologetico; ma sarebbe peggio se non vi fossero.

Nicolò Bellanca