2005

M. Davis, Late Victorian Holocausts. El Niño Famines and the Making of the Third World, Verso, London-New York 2001, trad. it. Olocausti tardovittoriani: El Niño, le carestie e la nascita del Terzo Mondo, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 461, ISBN 88-07-10336-2 (*)

Davvero bello questo lavoro di Mike Davis: con tono acceso, mai eccessivo, si addentra nel delicato tema della formazione del Terzo Mondo, ricostruendo con passione e preparazione i fili di una trama estremamente complessa. Il risultato è un'opera che si legge tutta d'un fiato nonostante le sue 461 pagine.

Il volume si apre con la narrazione della devastante siccità che in tre tappe, dal 1876 al 1902, ha imperversato simultaneamente in vaste aree del globo. Tale siccità ha agito da detonatore a una complessa situazione di interessi economici e politici, favorendo la crescita di un pugno di paesi a scapito di molti altri. In India, ad esempio, nel 1876, l'estate si era conclusa senza che il monsone avesse toccato gran parte delle regioni meridionali e centrali del paese. Moltitudini di contadini e braccianti affamati fuggivano da una campagna che stava morendo. La possibilità di resistenza alle carestie era stata peraltro fortemente indebolita all'interno di un quadro economico già reso instabile dalla recessione dei commerci mondiali, che aveva interessato soprattutto gli esportatori di cotone del Deccan. Inoltre, nonostante negli ultimi tre anni i raccolti di frumento e di riso fossero stati sopra la media, i granai erano stati svuotati nelle stive delle navi inglesi. Appare quantomeno bizzarro che un paese tormentato dalle carestie come l'India potesse essere in grado di rifornire di cibo altre parti del mondo. I paradossi, tuttavia, non finiscono qui. Le nuove ferrovie, ampiamente pubblicizzate come l'innovazione che avrebbe salvaguardato il paese dalle carestie, venivano utilizzate per convogliare le granaglie destinate all'esportazione. Inoltre, durante la siccità, i mercanti se ne servirono per spostare le giacenze dai distretti affamati e impoveriti, al fine di trarne maggiori profitti altrove oltre che di proteggerle dalle mani degli affamati. Nel frattempo, il telegrafo, anch'esso nuovo di zecca, sincronizzava i prezzi del cibo indipendentemente dall'andamento delle scorte locali. L'impennata dei prezzi dettata dalla scarsità nelle zone colpite dalla sete faceva sì che si morisse di fame anche nelle regioni esterne alla cintura della siccità. "Provvidenziale" fu poi la rigida politica del laissez-faire applicata dagli inglesi nei confronti della carestia che nulla fecero per arginare i danni, né in termini di stabilizzazione dei prezzi né di abbassamento delle imposte. L'imperante ottica malthusiana e smithiana fece ritenere all'allora Viceré, Lord Litton, che la carestia altro non fosse che uno di quei freni repressivi di cui la natura si serve per riequilibrare il rapporto tra popolazione e risorse. Niente di meglio, dunque, della mano invisibile e autoregolatrice del mercato per curare i mali della sovrappopolazione. Durante la siccità che si manifestò tra il 1876 e il 1879, la popolazione indiana fu letteralmente decimata.

L'India non fu l'unica area colpita dalla siccità di quegli anni. Le piogge mancarono in Cina, nel sud-est asiatico, in vaste zone dell'Africa e in Brasile, con fortissime conseguenze sull'economia e sulla popolazione. La cosiddetta "Grande Siccità" fu solo la prima delle tre crisi che gravarono su quelle zone alla fine dell'Ottocento, tutte accompagnate da gravissime carestie e da un tasso di mortalità incredibilmente elevato (si stima che le vittime umane durante le tre ondate di carestia siano state oltre trenta milioni). L'Occidente prontamente sfruttò questa situazione generale di crisi per accaparrarsi risorse e potere distruggendo l'indipendenza economica di Asia, Africa e America Latina.

Il discorso di Davis prosegue con l'analisi del ruolo della Natura nelle crisi di sussistenza tardo-ottocentesche. Il carattere simultaneo di così numerosi eventi di siccità fu uno dei grandi misteri scientifici del tempo. La spiegazione arrivò quando, verso la metà degli anni Sessanta del Novecento, Jacob Bjerkenes, studioso della University of California di Los Angeles, dimostrò per la prima volta che il Pacifico equatoriale, fungendo da caldaia planetaria, unitamente all'azione degli alisei, era in grado di influenzare le precipitazioni in tutti i tropici e perfino alle latitudini temperate. I riscaldamenti rapidi del pacifico tropicale orientale (il cosiddetto El Niño) sono associati a monsoni deboli e a siccità simultanee in vaste regioni asiatiche, africane e della parte nord-orientale dell'America del Sud. Al contrario, quando il Pacifico orientale è insolitamente freddo, il modello si rovescia (il cosiddetto fenomeno La Niña) provocando precipitazioni e inondazioni anomale nelle stesse regioni. Scopriamo, quindi, che quelli che venivano considerati come "incidenti climatici" non erano poi tanto accidentali, ma avevano una ritmica complessa e quasi periodica oggi denominata ENSO (El Niño Southern Oscillation). Ma che parte ha avuto l'ENSO nelle terribili carestie di fine Ottocento? E che ruolo hanno avuto tali crisi nella perdita dell'indipendenza economica dei paesi coinvolti?

A questa domanda cerca di rispondere l'ultima parte del volume, che paragona gli effetti delle siccità precedenti all'imperialismo con quelli delle siccità successive. Scoprendo che le prime non avevano mai assunto i connotati catastrofici delle ultime.

Per tutto il Settecento l'India da sola ha prodotto un quarto dei manufatti realizzati nel mondo intero, mentre lo sviluppo economico del delta dello Chang Jiang superava quello dell'Inghilterra. Che cosa è successo dopo? Perché l'Asia si è fermata? La risposta più semplice, molto cara agli storici dell'economia ottocenteschi, afferma che le cause siano da ricercare nell'incapacità dell'Asia (appesantita dalle catene della tradizione e della crescita demografica) ad adattare le proprie manifatture alle nuove condizioni di produzione e di concorrenza. La situazione, tuttavia, appare più complessa e decisamente più controversa agli occhi dell'autore, che la riassume con poche parole dense di significato: "I telai dell'India e della Cina non sono stati sconfitti della concorrenza di mercato ma sono stati smantellati a forza da guerre, invasioni, oppio e da un sistema di tariffe a senso unico imposto dal Lancashire".

La Gran Bretagna, inoltre, utilizzava l'India come 'carta assorbente' del proprio surplus industriale, impedendo la formazione di una struttura industriale locale autonoma. Nel quarto di secolo posteriore al 1870 l'India venne trascinata, a forza, al primo posto tra i consumatori di esportazioni britanniche. Costringendo l'India ad assorbire una rilevante quota dei propri prodotti industriali, sempre più obsoleti e meno concorrenziali, la Gran Bretagna evitò di essere costretta a ristrutturare la sua industria e poté investire in ambiti in cui aveva un ritorno maggiore.

Il futuro Terzo Mondo, quindi, oltre a dover fronteggiare le brusche conseguenze delle siccità e delle carestie, si trovò stretto nella morsa di processi strutturali a effetto più lento, quali la logica perversa della sussistenza mercantilizzata, gli effetti degli insediamenti coloniali, l'impatto del nuovo Gold Standard, il declino dell'irrigazione indigena; processi che finirono per compromettere qualunque possibilità di indipendenza economica.

A conclusione del volume l'autore analizza tre casi specifici riguardanti l'India, la Cina e il Brasile, a sostegno della tesi per cui la povertà ecologica (la diminuzione o la perdita dell'attribuzione di risorse naturali) ha creato una triangolazione causale con la sempre più grave povertà delle famiglie e la ridotta capacità dello stato, che potrebbe spiegare sia la nascita di un "Terzo Mondo" sia la sua vulnerabilità di fronte ai fenomeni climatici estremi

Antonella Rondinone

*. Da Rivista geografica italiana, 111 (2004), 3.