2007

A. Loretoni, Teorie della pace. Teorie della guerra, ETS, Pisa 2005, pp. 196, ISBN 88-467-1291-9

Il lavoro dell'autrice svolge una serie di percorsi di riflessione, sia in relazione al tema della guerra (e al rapporto di questa con la politica) sia in relazione al tema della pace (e al rapporto di questa con «un'idea di ordine internazionale»).

Il ragionamento complessivo esibisce fin dall'inizio le sue dichiarate finalità normative ma sempre a partire da un approccio attento ai processi e alle dinamiche reali, nonché da un'ottica eminentemente critica. Tale approccio, muovendo da un solido impianto ricostruttivo e di carattere filosofico-politico che si confronta direttamente con la lezione dei 'classici', approda ad una articolata proposta teorica: allargare l'ambito stesso della riflessione filosofica - sia in senso politico sia in senso giuridico - facendo interagire categorie centrali del suo lessico con nozioni e formulazioni che attengono l'ambito disciplinare delle relazioni internazionali, nelle varianti sia storiche sia teoriche.

Nella sua disamina della dimensione internazionale della politica - a lungo trascurata dalla filosofia politica, rimasta quasi sempre confinata al versante interno della teoria generale della politica (con la feconda eccezione di Norberto Bobbio, come rileva Loretoni stessa: p. 8) - l'autrice assume come interlocutori figure-chiave del pensiero moderno come Ugo Grozio, Carl von Clausewitz, Immanuel Kant, confrontandosi direttamente anche con le tesi, elaborate lungo l'arco temporale novecentesco, di Carl Schmitt e di Michael Walzer.

Von Clausewitz, «a lungo studiato solo da storici e militari», a partire dagli anni Settanta del Novecento (come mostrano, tra gli altri, gli importanti studi di Raymond Aron), «viene letto anche in chiave filosofica, alla ricerca di una dimensione teorica della sua riflessione, la cui valenza storico-politica appare chiarissima a chi abbia a cuore lo studio dei tratti essenziali della modernità: il rapporto tra politica e guerra, tra potere sovrano e decisione militare, l'equilibrio di potenza» (p. 9). Nella ricostruzione della riflessione clausewitziana, proposta nel primo capitolo del volume, si cerca di far emergere il «carattere paradigmatico» della configurazione adottata da Clausewitz sul problema del rapporto tra guerra e potere sovrano. Sotto questo profilo, si individua una declinazione del nesso guerra/sovranità che giunge, più o meno intatta, fino ai nostri giorni: è la declinazione offerta dalla tradizione del realismo politico.

I fondamenti «filosofici e sistemici» del realismo politico che hanno, classicamente, in Tucidide, Machiavelli e Hobbes i principali alfieri (pp. 15-21), «trovano un'originale conferma nella riflessione che Carl von Clausewitz compie sulla guerra a cavallo fra '800 e '900». Attraverso un serrato confronto con l'intero corpus degli scritti del pensatore prussiano, Loretoni illustra la teoria della guerra - e, di conseguenza, quella della pace - che Clausewitz consegna al modello realistico. «La guerra non è un ambito a sé stante nella vita dello Stato», «è la politica stessa a diventare guerra cambiando la natura dei suoi mezzi»: «non è possibile per nessuna teoria della guerra fare astrazione dalle componenti politiche che informano il fenomeno bellico, senza vedere nella guerra qualcosa di privo di senso e di connessione tra le parti» (p. 40). Ciò che emerge, contrariamente a quanto hanno sostenuto diversi interpreti, è una concezione del rapporto guerra-politica alla base del quale sta un'immagine della politica con «funzione moderatrice», «regolatrice», nei confronti della guerra (cfr. pp. 41-42). D'altro canto, non è presente in Clausewitz «una trattazione autonoma relativa al tema della pace»: secondo un topos della tradizione del realismo politico, la pace è sempre connessa alla guerra, «è la situazione prima della guerra, in cui ci si prepara allo scontro, oppure è la situazione dopo la guerra, quando si mettono a frutto i risultati ottenuti tramite essa. In mancanza di un riferimento esplicito alla guerra, la pace è per Clausewitz soltanto la dimensione [...] in cui lo Stato tende pericolosamente alla degenerazione» (p. 44).

La «teoria politica della guerra» supporta una visione dell'equilibrio europeo tra gli Stati-nazione come un equilibrio armato, in una condizione di pace armata e salvaguardata dalla paura reciproca tra le entità statuali che fissa la specificità della posizione di Clausewitz rispetto alla questione dell'equilibrio e dell'ordine internazionale (cfr. p. 61).

Il secondo capitolo dell'opera è dedicato al «modello pacifista», ricostruito essenzialmente attraverso la riflessione di Kant, che - come è noto - si inscrive all'interno di quella specie del genus pacifismo «che enfatizza la rilevanza della dimensione istituzionale» (p. 63).

Appoggiandosi a suoi precedenti studi (in particolare, ad alcune tesi sviluppate nella monografia Pace e progresso in Kant, ESI, Napoli 1996), nonché alla lezione di un fine studioso del pensiero politico kantiano quale è stato il compianto Giuliano Marini, qui Loretoni illustra la teoria della pace di Kant e le sue proposte in merito all'«ordine tra gli Stati», mettendone a fuoco, con originalità, alcuni tratti distintivi. In primo luogo, l'argomentazione intende rendere conto del «carattere teorico ma non utopico della teoria politica kantiana», che risulta essenziale «anche alla comprensione del suo progetto di pace perpetua tra gli Stati» (p. 64). In questa chiave un ruolo cruciale assolve il rapporto istituito da Kant tra morale, politica e diritto e, in particolar modo, la figura del «politico morale» (p. 66, pp. 68-75). Questi non perde di vista lo scopo del suo agire, valuta sempre le circostanze in cui meglio la teoria può farsi pratica, «e lavora perché queste circostanze si presentino» (p. 73). In secondo luogo, a partire dalla messa a fuoco delle due diverse letture della guerra rintracciabili nel testo kantiano (pp. 82-84), si indagano le forme attraverso le quali Kant pensa sia possibile costruire un ordine internazionale garantito dal diritto e non dalla forza. Quale che sia la soluzione istituzionale adottata - federazione di popoli (Völkerbund) o repubblica universale (Weltrepublik) - ciò che a Loretoni preme mettere in evidenza è il rilievo decisivo che Kant assegna, nella sua proposta, alla creazione di un attore politico in grado di stabilizzare sul piano istituzionale l'ordine internazionale (p. 90); prospettiva assai distante, questa, dal richiamo ad uno degli assunti più importanti della tradizione del realismo politico: il modello dell'equilibrio tra gli Stati. Entro tale orizzonte di riflessione, in terzo luogo, un ruolo cruciale rivesta la «prudenza» (Klugheit), assunta come dimensione che il politico morale deve abbinare alla sapienza (Weisheit). Se la prudenza, presa isolatamente, è la cifra propria del realismo politico, nell'ottica kantiana essa, «pur non essendo una virtù», risulta utile onde evitare «quell'applicazione immediata dell'imperativo morale che porta con sé il rischio di produrre un dispotismo moralizzante», da cui Kant vuole mantenersi lontano (pp. 92-93). In tal modo, dall'esame condotto, emerge con chiarezza non solo la natura istituzionale del pacifismo kantiano, la rilevanza attribuita alla configurazione di un potere super partes in grado di mantenere la pace tra gli Stati, ma anche il carattere non meramente utopico di quel progetto: l'attenzione di Kant - argomenta con dovizia di riferimenti l'autrice - è costantemente orientata all'aspetto pratico della «messa in esercizio», «della realizzazione», a quella trasformazione politica che «il realismo ha invece sempre interpretato assai riduttivamente» (p. 10).

La trattazione per modelli che struttura l'opera si completa con l'analisi di una terza tradizione, alternativa ai due filoni di pensiero delineati. A tale tradizione sono riconducibili tutti quegli autori che, fin dalla fase di passaggio dall'età premoderna a quella moderna, hanno cercato di «imbrigliare e limitare la guerra», rifacendosi alla dottrina della "guerra giusta". Nel terzo capitolo si esaminano così la riflessione di Grozio, il padre di questa tradizione, che può essere definita anche razionalista (in una posizione «mediana», tra realismo e idealismo: cfr. pp. 97-105), e quella di Alberico Gentili, in cui si attesta la «presa d'atto della possibilità che la guerra, in quanto guerra pubblica tra prìncipi, può essere giusta da entrambe le parti» (p. 107). La disputa della guerra giusta si trasforma per questa via nella assai meno controversa questione del suo essere «regolare», nel suo essere guerre en forme. Coniugando, anche in questo caso, una solida ricostruzione storico-filosofica con l'analisi di processi in corso, letteralmente "davanti ai nostri occhi", Loretoni rileva come, dopo un lungo oblio, la riflessione sulla guerra giusta sia stata ripresa da Michael Walzer, «con l'obiettivo primario di investire moralmente la dimensione della guerra, uno spazio che la filosofia politica, nelle sue varianti ha spesso considerato estraneo ad ogni trattazione morale» (p. 108). Si studia così in dettaglio la teorizzazione di colui che ha rilanciato e riproposto la rilevanza della guerra giusta in epoca contemporanea, suscitando un'amplissima e articolata discussione, inevitabilmente intrecciata con la drammaticità di concreti casi bellici che, in particolare a partire dalla Guerra del Golfo del 1991, sono andati via via espandendosi su scala planetaria.

Con equilibrio, e facendo riferimento anche alle più recenti prese di posizione di Walzer (sempre più indulgenti nei confronti dell'intervento militare), nonché all'aggiornamento della sua teoria (con l'integrazione dello jus post bellum ai canonici jus ad bellum e jus in bello: pp. 129-130; sul punto cfr., anche, A. Calbucci, Jus post bellum: dal Regno del diritto internazionale al Regno dell'ethos liberale globale, il quale è estremamente critico nei riguardi delle posizioni di Walzer), Loretoni mette in luce le interessanti prospettive teoriche che emergono dai lavori dell'autore statunitense ma anche le non trascurabili ambivalenze e ambiguità. A suo avviso, se certamente da prendere sul serio è, in primis, l'individuazione della funzione primaria della guerra giusta, ovvero il fornire «princìpi critici» (critical principles) per una valutazione delle guerre, e per poter così formulare un giudizio su di esse, non esenti da autentici pericoli sono teorizzazioni «ardite» quali quella della supreme emergency, che non può non apparire come una «riformulazione del discusso criterio della tradizionale necessità militare di matrice realista» (p. 115; sia consentito rinviare, a questo riguardo, alle osservazioni svolte in Th. Casadei, Etica pratica e casi di guerra: l''armamentario argomentativo' di Michael Walzer).

Alla luce della ricostruzione storica e teorica condotta nei vari capitoli, l'autrice approda infine nel quarto capitolo, seguendo un originale percorso, ad una sua possibile proposta incentrata sul peculiare modo di intendere le questioni della pace e di della guerra nel contesto del processo di integrazione europea e delle istituzioni dell'Unione. A partire dall'idea chiave, mutuata dall'elaborazione di Mario Telò, dell'Europa come «potenza civile» (pp. 153 ss.), dal ragionamento di Loretoni emerge che il Sonderweg europeo rappresenta un'autentica sfida teorica per molti ambiti disciplinari: tale processo richiede un approccio teorico alternativo ai paradigmi e ai modelli della tradizione del realismo politico, all'ipotesi cosmopolitica di origine kantiana e alla tradizione di ispirazione groziana. L'Unione europea, intesa come inedita possibilità di articolare le istituzioni politiche, offre un'ipotesi «neo-regionale» (avvicinabile per molti aspetti alla prospettiva del liberal institutionalism) che mostra le possibilità di un livello di analisi - e di azione - intermedio tra quello nazionale e quello globale. Le teorie della pace e le teorie della guerra sono così chiamate a confrontarsi con un soggetto che ne complica, sotto il profilo teorico, i contorni, ma che, sotto il profilo pratico-politico, può generare inoltre un diverso modo di pensare il potere, l'ordine tra gli Stati, le forme del conflitto, la democrazia stessa. La sfida, che Loretoni accoglie con spirito coraggioso e memore della lezione kantiana, diviene quella di trovare una nuova modalità di bilanciamento tra statualità e cosmopolis; ciò che può essere letta coma la cifra più autentica dell'esperienza europea e, quindi, anche quanto di più significativo l'Europa potrebbe oggi dire entro un contesto globale in cui proprio gli Stati Uniti, che per primi «hanno praticato la critica federalista alla summa potestas», si dimostrano prigionieri della logica di potenza.

Thomas Casadei