2005

A. Lejbowicz, Philosophie du droit international. L'impossible capture de l'humanité, PUF, Paris 1999, pp. 443, ISBN 2-13-049721-7

L'indagine di Agnès Lejbowicz si concentra sullo scenario internazionale da un punto di vista filosofico-giuridico. L'a. riflette sul diritto internazionale e sulla filosofia che lo ispira sia da un punto di vista storico ed analitico, sia in un'ottica più normativa, tentando di suggerire alcuni percorsi per superare le aporie e le difficoltà di 'organizzare' la scena internazionale nell'epoca della mondializzazione. L'obiettivo polemico principale, per Lejbowicz, è la concezione statocentrica su cui si regge il diritto nella sua dimensione planetaria. Se sul piano interno si è sviluppata una logica di divisione e di bilanciamento dei poteri, per meglio garantire il funzionamento degli Stati, sul piano internazionale tutto concorre al mantenimento delle diverse sovranità statali contrapposte. Questo fonda il pregiudizio che il diritto interno degli Stati sia più evoluto rispetto al diritto internazionale. In realtà - afferma l'a. - rimane grandissimo il potere degli Stati nel creare un diritto internazionale che sia funzionale al mantenimento di questa situazione, in particolare al mantenimento della loro indipendenza e sovranità. Controversie e conflitti rimangono quindi i fenomeni più diffusi a livello internazionale.

Lejbowicz, tuttavia, non ritiene che il rovesciamento di questa situazione, cioè la creazione di un unico Stato mondiale, sia la soluzione al problema della violenza nelle relazioni tra gli Stati. Questo proprio perché è la 'logica statale' che dovrebbe essere completamente superata. Si pone allora al centro dell'analisi l'idea di un primato della 'società civile internazionale'. Lo sviluppo del commercio mondiale, ad esempio, non inaugura né tende alla realizzazione di una civitas maxima. Piuttosto pone l'accento sul fatto che la società internazionale - intesa come società civile - è qualcosa di per sé contro lo Stato (l'a. si impegna in questa parte in un'indagine distesa ed articolata della lex mercatoria).

L'analisi prosegue con un percorso genealogico attraverso alcune rappresentazioni classiche delle relazioni internazionali, in autori come Hobbes, Rousseau, Kant, Hegel e quelle di alcuni giuristi contemporanei come René-Jean Dupuy. La strategia dell'a. è quella di sottolineare gli elementi che permettano di superare l'ideologia della pretesa 'primitività' del diritto internazionale e la sua rappresentazione come stato di natura in cui la violenza risulterebbe ineliminabile (obiettivo polemico, in questo caso, un vago "realismo cinico" di ispirazione machiavelliana, à la Raymond Aron). Di fronte alla politica degli Stati che si sforzano di pervertire il diritto internazionale (ad esempio violandone coscientemente e sistematicamente le norme) e di mantenerlo forzatamente in una situazione di primitività, la filosofia del diritto internazionale deve riconoscere il primato di un nuovo soggetto, l'"umanità".

Lejbowicz analizza quindi l'idea di umanità ed il suo utilizzo in campo giuridico fino ad oggi, evidenziandone le ambiguità e gli ostacoli per una sua corretta comprensione. È a questo punto che l'a. - seguendo alcune analisi di Serge Sur - recupera alcuni tratti del pensiero 'utopico'. L'utopia è qui intesa come una continua tensione verso la realizzazione di qualcosa di diverso dalla logica statocentrica tipica della modernità. Umanità e società civile internazionale divengono a questo punto le espressioni per significare non un'entità reale, ma una potenzialità da inventare attraverso un processo continuo per rendere più uguali gli Stati, le organizzazioni internazionali, le imprese, gli individui come soggetti di diritto.

Se la scena internazionale viene lasciata esclusivamente agli Stati allora la guerra prevale necessariamente. Se, al contrario, questa appartiene anche agli individui, ai gruppi, ai popoli che confliggono per cause diverse da quelle degli Stati, allora la soluzione attraverso il diritto può essere trovata. In questo modo - afferma l'a. - la forza può cedere il passo al diritto. Proprio perché la società civile internazionale non è omogenea né omogeneizzabile, il diritto deve prendere in considerazione l'irriducibile molteplicità dei soggetti, siano essi Stati, popoli, individui senza Stato. Attraverso le differenti accezioni giuridiche di 'umanità', Lejbowicz sottolinea il carattere molteplice ed irriducibile ad unità di questo concetto.

Criticando ancora l'idea di uno Stato mondiale, unico detentore del monopolio della forza per far rispettare il diritto, Lejbowicz ritiene necessario separare il diritto dalla forza. Attraverso la socializzazione e la cooperazione è possibile, secondo l'a., trasformare gli Stati da persone pubbliche all'interno delle loro frontiere in qualcosa di analogo a persone private nella società civile internazionale, al pari di entità tradizionalmente diverse come associazioni e individui. In conclusione di questa analisi Lejbowicz riprende da La Boetie il concetto di fraternité, anteriore e universale rispetto a quelli di libertà ed eguaglianza. Fondamento per il riconoscimento dell'Altro come simile, la fraternité suggerisce per l'a. un'idea anteriore ed insopprimibile da parte dello Stato, così come la subordinazione di questo alla società civile internazionale.

Il tema dell'utopia è trattato esplicitamente dall'a. nel tentativo di prevenire alcune critiche di matrice 'realistica'. Tuttavia il richiamo alla fraternité come principio universale e come valore che dà significato alla società civile internazionale non sembra sfuggire a questo tipo di critiche. La ricerca di valori e principi non subordinati alla logica statale appare a tratti come il desiderio di affermare una dimensione ulteriore rispetto alla politica e finalmente liberata dai suoi meccanismi. L'idea di intervenire sulla politica attraverso il diritto (in questo caso attraverso una filosofia del diritto) eliminando alcuni fattori come la forza e la violenza, sembra inoltre trascurare il fatto che anche attraverso questi elementi la politica costruisce il diritto. In quest'ottica, l'analisi del diritto internazionale come terreno di mediazione alla mercé degli interessi sovrani degli stati nazionali appare un po' sbilanciata.

Filippo Del Lucchese