2014
Ghada Karmi, Sposata a un
altro uomo. Per uno
Stato laico e democratico nella Palestina storica,
DeriveApprodi,
Roma 2010, ISBN 978-88-89969-99-1
Recensione di Cinzia Chighine
Venti anni fa, esattamente il 13 settembre 1993, sono stati
firmati gli accordi di Oslo all'interno dell'autorevole cornice della
Casa Bianca: una stretta di mano simbolica tra il Primo Ministro
israeliano Yitzhak Rabin e il Presidente dell'OLP, Yasser Arafat ha
siglato lo straordinario momento, segnando il processo di Pace in
Medioriente.
Dopo un ventennio, il processo politico, così
entusiasticamente lanciato - perché di Pace si trattava - appare oggi
nel corso della Storia recente solo un obiettivo intermedio in un
percorso iniziato il 29 novembre 1947, con la Risoluzione delle Nazioni
Unite che sancì la spartizione della Terra d' Israele con la Palestina.
Molti fattori hanno contribuito al collasso del processo di Oslo, ma la
radice del suo crollo e i semi della catastrofe, che seguì, furono
piantati dai tre leader Arafat, Rabin e Peres. Tutti e tre
ricordati nella storia “Uomini di Pace” ma con forti responsabilità fin
dall'inizio del processo nel fallimento degli Accordi stessi.
Arafat non ha saputo o voluto agire come uomo della
transizione palestinese, dimostrando limiti sia in termini di mentalità
che di leadership, non svolgendo a pieno il ruolo da Statista
che l'era diplomatica gli richiedeva, come ricorda il celebre
negoziatore Ron Pundak1. L'esempio più evidente
è l'immagine de suo arrivo alla cerimonia della Casa Bianca per la
firma, indossando una divisa militare. La scelta di non cambiare
l'uniforme in un vestito di affari, ha sancito per sempre nel ricordo
storico di tutti il ruolo da combattente più che da grande statista.
Da parte israeliana, Peres e Rabin hanno fatto un grosso
errore a non comunicare alle opinioni pubbliche israeliane e
palestinesi, subito dopo la firma degli Accordi di Oslo, il fatto che
questa nuova fase rappresentasse una profonda trasformazione della
politica israeliana, che mirasse finalmente a conseguire
un'inequivocabile soluzione di due Stati per due Popoli sulla base dei
confini del 1967 - condizionati, naturalmente, al corretto rispetto
delle misure di sicurezza per entrambi i territori2.
Di conseguenza, gli apparati della burocrazia israeliana non
hanno mai regolato un nuovo approccio “di buon vicinato” con i
palestinesi: i vari attori delle Forze di Difesa israeliane, la Polizia
e Ministeri non hanno mai trasformato il loro atteggiamento psicologico
e pratico per una nuova realtà in evoluzione.
In pratica, Rabin e Peres hanno intenzionalmente lasciato vaga
la visione dei negoziati, così facendo hanno generato una dissonanza
tra visione diplomatica internazionale e gravi conflittualità interne.
La mancanza di una strategia israeliana chiara e condivisa ha
creato un problema che ben presto, con l'accordo del 1995 3, è
divenuto ancora più urgente: quando la squadra negoziale israeliana
scoprì che le istruzioni erano di raggiungere un esito nella trattativa
che avrebbe lasciato aperte tutte le opzioni - “forse ci sarà uno Stato
palestinese, o forse no, forse Israele si ritirerà, o forse no, forse
ai palestinesi si sarebbe accordata solo l'autonomia, o forse no” -
l'assenza di qualsiasi strategia ha portato ad un accordo minimo con il
solo esito concreto di imporre superficiali "successi" israeliani ai
palestinesi, con l'obiettivo generale di negare loro i necessari passi
per la creazione di uno stato emergente in Palestina. Questa situazione
ha contribuito sostanzialmente al fallimento della realizzazione degli
accordi di Oslo.
Allo stesso tempo, Israele ha continuato - fino ad oggi- la costruzione
e l'espansione degli insediamenti, lanciando un messaggio interpretato
da molti palestinesi, e non solo, come un segnale evidente che Israele
non potrà mai ritirarsi da queste zone. Inoltre, l'umiliante
trattamento sul terreno di tutti i palestinesi come nemici potenziali
continua in maniera e frequenza sempre più cruente, anche se la maggior
parte dell'opinione pubblica israeliana è convinta che “la popolazione
vicina” ormai non costituisca più una minaccia per Israele.
Le relazioni tra Israele e i palestinesi si sono deteriorate a
un ritmo sempre più veloce sotto la prima amministrazione Netanyahu
(1996-1999) e con la sucessiva amministrazione 1999-2001 di Ehud Barak,
che ha contribuito sostanzialmente al peggioramento della situazione.
Lo stesso fallimento del vertice di Camp David, che per alcuni
opinionisti4
è in gran parte attribuibile alla strategia sbagliata di Barak sui
negoziati - ha scatenato l' Intifada , che a sua volta ha
portato alla violenza reciproca e la perdita di fiducia nella
possibilità di realizzare la Pace in Terra Santa.
Oggi, a vent'anni da Oslo, è giunto il tempo di fare tutto il possibile
per mettere fine al conflitto israelo-palestinese e per intraprendere
un viaggio nuovo, scardinando e andando oltre l'attuale visione
diplomatica internazionale, ponendo nuovi obiettivi alle società
israeliana e palestinese, affrontando le ingiustizie e la reale
condizione dei cittadini arabi di Israele nel corso degli anni.
Una nuova strategia capace di affrontare, ad esempio, la
definizione dello Stato non più solo come quella del popolo ebraico -
una formulazione adeguata nel periodo post seconda guerra mondiale - ma
diuno Stato laico e democratico nella Palestina storica5,
di tutti i suoi cittadini6. Una nuova strategia
capace di essere dinamica e ricettiva al cambiamento: questa è la tesi
principale del testo di Ghada Karmi medico, scrittrice e docente
universitaria di origine palestinese7 - nel suo recente libro
dal titolo “Sposata a un altro uomo. Israele e la questione
palestinese”.
L'autrice Ghada Karmi sostiene che nel rinnovamento, la
società dovrà necessariamente formulare un nuovo denominatore comune il
più ampio possibile tra le sue diverse componenti, al fine di
facilitare l'integrazione di tutti, riconoscendo sostanzialmente
l'effettiva natura della società israeliana e nel contempo permettendo
agli arabi di sentirsi cittadini a pieno titolo, con pari diritti e
doveri.
Nella realtà attuale, sembra che Israele non abbia una
politica di Pace. Le continue dichiarazioni a sostegno della Pace e di
due Stati non costituiscono una strategia, soprattutto quando si
scontrano con la realtà drammatica degli insediamenti in espansione, il
muro e gli avamposti illegali che fioriscono settimanalmente,
l'assoluto immobilismo dello sviluppo economico e sociale palestinese
in Area C (il 60 per cento della Cisgiordania) bloccato a causa della
costante minaccia di annessione israeliana, l’aumento delle by pass
roads, riservate agli israeliani, le zone militari chiuse, attorno
alle città e ai villaggi palestinesi, hanno cancellato ogni possibilità
di uno stato contiguo, la conseguente cantonizzazione della
Cisgiordania che ha prodotto delle enclave palestinesi,
circondate da insediamenti israeliani, simili a bantustan del
Sudafrica.
La sensazione generale per i palestinesi è quella di
umiliazione –sottolinea Ghada Karmi con con una lista concreta di
esempi di vita quotidiana- con nessun cambiamento all'orizzonte,
nonostante le recenti risoluzioni europee in materia di controllo
israeliano sulla Cisgiordania sembrano aver aperto una campagna
anti-israeliana che pone una minaccia economica per il Paese.
La mancanza di progressi politici indebolisce anche la parte
palestinese moderata, la quale continua a sostenere l' approccio di
“Due Stati” sulla base dei confini del 1967.
L' attuale iniziativa guidata dal Segretario di Stato
americano John Kerry sembra offrire l'opportunità di avanzare nel
processo sempre più complesso e intricato. Ma la realtà ci offre
attualmente una combinazione particolarmente sfavorevole, come
sottolineano da più fronti i massimi esponenti della cultura di
sinistra israeliana: un governo israeliano che non è disposto a portare
avanti l'agenda di Pace, un'opinione pubblica israeliana apatica e
scettica, gli sconvolgimenti nel mondo arabo, che molti in Israele
percepiscono come una minaccia, la debolezza politica della leadership
palestinese, che soffre di una grave divisione sostanziale tra Fatah e
Hamas, così come tra la Cisgiordania e Gaza, limitando ulteriormente la
manovrabilità politica palestinese8.
Negli ultimi tre decenni i progetti negoziali falliti hanno
disseminato di carcasse la diplomazia mediorientale. Per più di 30
anni, esperti e politici hanno avvertito un "punto di non ritorno". Il
Segretario di Stato John Kerry è solo l'ultimo di una lunga serie di
diplomatici americani sposati ad un'idea il cui tempo è ormai passato.
Entrambi le parti hanno motivi per aggrapparsi all'illusione
della “Two States Solution”. Ghada Karmi non esita
nell'evidenziare come l'Autorità palestinese abbia bisogno che la sua
gente continui a credere che si stiano compiendo progressi verso una
soluzione a due Stati in modo che possa continuare a ottenere gli aiuti
economici e sostegno diplomatico utili a sovvenzionare gli stili di
vita dei suoi leader, i posti di lavoro di decine di migliaia
di soldati, spie, agenti di polizia e funzionari pubblici e la
prominenza del potere in una società palestinese che lo vede come
corrotto e incompetente.
Il Governo israeliano si aggrappa alla nozione dei due Stati,
perché sembra riflettere i sentimenti della maggioranza ebraica
israeliana e mimetizza sforzi incessanti per espandere il territorio di
Israele nella West Bank.
I politici americani hanno bisogno dello slogan “due
Stati” per mostrare che stanno lavorando per una soluzione diplomatica,
per mantenere la lobby pro-Israele9 e per mascherare la loro
incapacità umiliante di una strategia diplomatica alternativa.
Infine , l'industria del “Processo di Pace” - con le sue legioni di
consulenti, esperti, accademici e giornalisti ha bisogno di un
rifornimento costante di lettori, ascoltatori e finanziatori. Il tutto
produce un terribile congelamento10.
E tutto ciò si contrappone all'urgenza di quotidianità e
sopravvivenza delle due popolazioni.
Notizia di questi giorni è che, in cambio di un accordo fra le
parti, Bruxelles offre buoni affari in Europa. La proposta "Partnership
Privilegiata Speciale", giunta nel dicembre 2013 da Bruxelles - che con
una mano ferma critica le colonie israeliane, ma con l'altra torna a
proporre una pace economica tra le parti - si basa su un pacchetto
senza precedenti da parte dell'Unione Europea di supporto politico,
economico, cooperazione sanitaria e sicurezza ad entrambe le parti,
israeliana e palestinese, se saranno in grado di finalizzare la Pace11.
La proposta dei 28 è cristallina: la UE offrirà a Israele e al futuro
Stato di Palestina l'ingresso facilitato nel mercato europeo, rapporti
di natura culturale e scientifica, sostegno nell'investimento e nel
commercio con partner europei. Precondizione al super-pacchetto europeo
(oltre, ovviamente, ad un accordo di Pace definitivo) è il congelamento
dell'espansione coloniale israeliana nei Territori Occupati.
Il piano europeo rientra perfettamente in quella "pace
economica" che l'amministrazione di Washington tenta da tempo di far
passare come il miglior strumento per un accordo che ponga fine a sei
decenni di conflitto. Un'opzione che lo stesso premier Netanyahu ha più
volte ribadito e che ha trovato la sua massima espressione, il maggio
scorso, nell'iniziativa "Breaking the Impasse" di 200 businessman
israeliani e palestinesi: parlare di affari e fare affari per risolvere
le questioni politiche12.
Ghada Karmi ripercorre le tappe più
importanti del conflitto mediorientale da quando
l’idea di costituire uno Stato ebraico in Palestina fu per la prima
volta discussa, e porta avanti la tesi del “One-state solution”,
ovvero quella di uno Stato unico, laico e democratico,
nel territorio della Palestina storica, che assicuri a tutti i
cittadini, arabi, ebrei e di altre culture e religioni, uguali diritti
di cittadinanza.
La pubblicazione riempie un vuoto nella
pubblicistica
italiana e mette da parte la “Soluzione dei Due Popoli”, riuscendo a
coniugare il rigore della storica con una singolare chiarezza
espositiva e presentando punti di vista originali assai persuasivi.
Dopo il primo Congresso sionista del 1897 a Basilea
nel quale
si discusse l’idea di costruire uno Stato ebraico in Palestina, i
rabbini di Vienna inviarono due rappresentanti a studiare se il paese
avesse le caratteristiche per questa impresa. I rappresentanti
risposero ” La sposa è bella ma sposata ad un altro uomo”, ammisero
quindi che la Palestina non era ” una terra senza popolo per un popolo
senza terra ”.
La Palestina era abitata da palestinesi che
improvvisamente
vennero travolti dal sionismo ebraico. Il saggio ci introduce nella
complessità degli avvenimenti storici che hanno permesso la nascita
dello stato di Israele, dalle origini del progetto sionista alla
dichiarazione del ministro degli esteri inglese Arthur Balfour nel
1917, motivando il sostegno del governo britannico, che aveva il
mandato su tutta l’area della Palestina, alla causa del sionismo.
La sua analisi nasce dal tentativo di offrire nella
complessità del conflitto un contributo alla sua soluzione, proponendo,
con approfondite analisi storiche e psicologiche, una tesi ritenuta
impopolare: “Uno Stato laico e democratico” dove i diritti non derivano
dall’appartenenza a un gruppo etnico o religioso, ma dalla legge che ne
stabilisce l’uguaglianza e che riflette la situazione attuale di
multiculturalità della popolazione in quell’area a causa anche delle
migrazioni di persone ebree da tutto il mondo, che Israele ha favorito.
D’altra parte, le società arabe hanno avuto
storicamente una
connotazione di pluralismo e tolleranza religiosa e l'analisi mostra
come quelle terre siano state rifugio degli stessi ebrei dalle
persecuzioni nei secoli.
Un percorso lungo, un futuro lontano, attivando e
ricostruendo
un'identità che inizi il suo cammino verso un senso reciproco di
appartenenza e coesione sociale. Soluzione in prospettiva migliore di
quella attuale, in cui il senso di supremazia, di discriminazione, di
proprietà esclusiva comincia, anche se molto gradualmente, a
modificarsi attraverso lotte difficili, democratiche, un lento processo
dello sviluppo della consapevolezza. Una sfida formidabile che col
tempo soprattutto le nuove generazioni si sentiranno di costruire per
la Pace e la convivenza, orientate verso la creazione comune di una
nuova società.
Ghada Karmi conclude il suo saggio con un punto di
vista oggettivo: l'attuale prospettiva è che l'opzione dei due Stati
sia svanita, e ciò che rimane è quello di agire attraverso mezzi non
violenti per stabilire uno “Stato Unico” indipendente e democratico tra
il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Al di là della trappola della
normalizzazione e oltre le politiche israeliane di destra, tra cui
l'estremismo religioso, che si basano su una promessa divina e una
equazione che pone la Terra al di sopra del Popolo e dello Stato,
sempre più esponenti della politica israeliana e palestinese13
recentemente propongono formule su uno Stato Unico come soluzione al
conflitto, sostenendo un singolo stato egualitario14
La speranza è supportata dall’esempio del Sud Africa anche
nelle forme del pentimento e della riconciliazione con i riconoscimenti
delle ingiustizie commesse e le pratiche di riparazione verso le
vittime. Una lotta che, oltre a rendere desiderabile la soluzione di
uno stato unico e democratico, è ora solo quella concretamente
fattibile e preferibile in assoluto, salvaguardando le necessità di
sicurezza d’Israele, le sue umane paure e i bisogni di giustizia dei
palestinesi.
Proprio come un palloncino riempito gradualmente con raffiche
d'aria, quando è passato il limite della sua resistenza alla trazione,
scoppia, così ci sono soglie di radicali squarci in determinati momenti
storici a cui far fronte con un cambiamento dirompente in politica15.
Quando più inclinazioni si incrociano, l'impossibile diventa
improvvisamente probabile, con implicazioni rivoluzionarie per i
governi e le nazioni. Come si vede vividamente in tutto il Medio
Oriente, quando le forze di cambiamento e di nuove idee sono soffocati
da tutto e per troppo tempo come la popolazione palestinese è stata ed
è nel conflitto israelo-palestinese, il cambiamento improvviso,
inaspettato nelle strategie diplomatiche, diventa sempre più probabile16.
A livello pratico, giorno per giorno, un singolo Stato appare,
oggi più che mai, un concetto che sembra oggettivamente possibile da
attuare e sostenere nella pratica quotidiana, parlando di affari
economici, di occupazione giovanile, di salute e gestione delle cure
mediche, dove la priorità della vita scavalca i rigidi confini e
allaccia legami.
Il problema non sta nella divisione fisica della terra ma
piuttosto nella volontà e nel coraggio politico di farlo.
Dialogare e’ difficile e complicato e richiede
pazienza e tempo, ma e’ sicuramente un investimento. Bisogna mantenere
aperti tutti gli spiragli e non spegnere il lucignolo che fumiga.
1 Ron
Pundak, “20 years on, Oslo architect has plan B” articolo pubblicato il
21 Settembre 2013 in Haaretz.
2Ron
Pundak, “20 years on, Oslo architect has plan B” articolo pubblicato il
21 Settembre 2013 in Haaretz.
3Ron
Pundak, “20 years on, Oslo architect has plan B” articolo pubblicato in
Haaretz il 21 Settembre 2013.
4 Ron
Pundak, “20 years on, Oslo architect has plan B” articolo pubblicato in
Haaretz il 21 Settembre 2013.
5 Ghada
Karmi, “Sposata a un altro uomo. Per uno Stato laico e democratico
nella Palestina storica”, DeriveApprodi, Roma 2010.
6 E'
giusto ricordare che circa il 20% dei cittadini dello Stato d'Israele
sono arabi e almeno altri 200.000 sono cristiani immigrati in Israele
da Stati dell'ex Unione Sovietica nel quadro della “Legge del Ritorno”
.
7Ghada
Karmi, docente all’università di Exter è una donna palestinese, vissuta
in Inghilterra, diventata la sua patria di adozione. Situazione
condivisa da milioni di profughi dopo il 1948, anno del riconoscimento
della creazione dello stato di Israele, che diede origine alla più
vasta diaspora di un popolo nel Medio Oriente.
8 Ron
Pundak , "Secret Channel – Oslo” pubblicato da Fondazione Konrad
Adenauer 2013 .
9 Ad oggi
esistono una quarantina di lobby filo israeliane che fanno
pressione e finanziano i politici americani e i decision makers.
L’Aipac è il più potente e lavora sia per l’abolizione della Unrwa,
l’agenzia delle Nazioni Unite che si preoccupa dei rifugiati
palestinesi, sia contro la costituzione di uno stato palestinese che
costituirebbe per Israele una costante minaccia.
10 Yossi
Beilin, “Beware the extremists: lesson from Oslo, twenty years on”,
pubblicato in Haartez il 9 settembre 2013.
11
Comunicato emesso il 16 dicembre 2013 dai Ministeri degli Esteri
europei.
12 Ian
S. Lustick, “Illusione di due Stati” pubblicato in Haartez il 14
settembre 2013.
13
Heinrich Böll Stiftung, "20 Years since Oslo: Palestinian Perspectives
in Perspectives. Political Analyses and Commentary from the Middle East
& North Africa", Issue n. 5 pubblicato in Dicembre 2013.
14 Danny
Danon, "Israel's Deputy Defense Minister calls for the annulment of
Oslo Accords", pubblicato in Haartez il 21 settembre 2013.
15Yossi
Sarid, “Confessions of an Oslo Criminal” pubblicato in Haartez
il 19 luglio 2013.
16 La
storia offre molte di queste lezioni. In Gran Bretagna, ad esempio,
l'intera classe politica britannica considerava l'incorporazione
permanente dell'Irlanda come un fatto politico inequivocabile fino al
diciannovesimo secolo. Dal 1880, la questione irlandese ha
rappresentato per la politica britannica la questione più importante,
comportando l'ammutinamento nell'esercito e una guerra civile. Una
volta finita la guerra, ci sono voluti un paio di anni per la nascita
di un'Irlanda indipendente. Cosa era inconcepibile prima è diventato un
dato di fatto poi.