2005

N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 148, ISBN 88-420-6269-3

Il libro di Natalino Irti è composto da due saggi: Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto e Scambi senza accordo. Il primo - saggio di teoria giuridica con sconfinamenti sul terreno della filosofia tout court, nonché tentativo di contribuire alla bibliografia sulla globalizzazione - pone la questione centrale del volume: il diritto ha bisogno del dove. Su questo, Irti ci conduce alla lettura di Georg Jellinek, per il quale il territorio è, allo stesso tempo, base territoriale del potere politico ('statuale', per Jellinek), ma anche sfera di dominazione, "modalità topografica del diritto" (p. 8). L'ambiguità concettuale si ripete nelle pagine di Donato Donati, pubblicista italiano: anche per quest'ultimo il territorio è, allo stesso tempo, fondamento e oggetto del potere statuale. Ma, ed è questo il fulcro del volume di Irti, l'economia non chiede radicamenti territoriali, è indifferente ai luoghi: così il diritto, nella globale Zeit, si trova di fronte alla necessità di inseguire la dilatazione spaziale degli scambi. Già in Fichte, sottolinea Irti, leggiamo la percezione del problema, sebbene il filosofo tedesco proponesse lo 'Stato commerciale chiuso' ad ogni scambio con l'esterno. Irti invoca l'autorità di Georg Simmel per confutare le tesi fichtiane: il commercio, per Simmel, è indifferente alle partizioni spaziali. Come si evince, la dicotomia sulla quale Irti insiste è diritto/economia, speculare a quella spazio/Erehwon. L'autore ci propone la questione così: lo spazio fonda il diritto o ne è il semplice ambito applicativo? All'alternativa corrispondono, secondo Irti, i nomi di Carl Schmitt e Hans Kelsen. Per il primo, il territorio è il fondamento spaziale del diritto: nel Nomos Der Erde il giurista di Plettenberg enuncia tale criterio di legittimità dell'ordinamento; l'occupatio primaeva - intesa da Schmitt, secondo Irti, non solo come evenienza storica, ma anche come principio costitutivo - fonda ogni diritto e ordine concreto. Ma se così fosse, sostiene l'autore, allora il crollo dell'ordine eurocentrico fondato sul vincolo territoriale, e il crollo del suo "fondamento tellurico" di legittimità, decreterebbero il tramonto di ogni ordine giuridico. La visione normativistica di Kelsen vi si contrappone: il fondamento di legittimità non risiede nella terra, ma nella Grundnorm, e la dimensione spaziale del diritto non ne è anche il fondamento, ma solo il contenuto. Così, per Kelsen, il dove del diritto è artificiale, lo spazio non è altro che la dimensione quantitativa della validità di una norma. Emerge quindi la proposta teorica di Irti: la visione artificiale, non tellurica, del normativismo kelseniano costituisce la chiave interpretativa e il principio operativo per gestire la globalizzazione. La legge kelseniana, tutta risolta nell'indifferenza contenutistica, è per Irti lo strumento migliore per far fronte alle sfide della globalizzazione: il diritto, sciolto dal legame con il territorio, insegue gli scambi economici globali. Irti, dunque, ritiene che la globalizzazione - soprattutto quella economica - possa essere efficacemente gestita attraverso lo strumento politico-statuale del diritto (accordi fra Stati e diritto internazionale privato). Chi pensa che la sovranità deperisca, sbaglia: anche se gli Stati invocano sempre più mercato - anche il suicidio della politica, per Irti, è 'politico' - è proprio attraverso la politica del diritto, esercizio massimo di sovranità, che gli Stati gestiscono la globalizzazione.

Il secondo saggio, Scambi senza accordo, è di natura più schiettamente giuridica. Qui la tesi di Irti è che il mercato vada sempre più verso (non il contratto inteso come accordo fra le parti, ma) la coincidenza di atti unilaterali. I moduli e i formulari, così diffusi nel mondo commerciale moderno, invece di favorire il contratto, ne determinano il deperimento, perché ne azzerano l'essenziale componente dialogica. Dunque, come si vede, Irti ritiene necessario al contratto il dialogo delle parti: la conseguenza è che gli scambi senza accordo (moduli e formulari, scambi iactu pecuniae) invocano un altro nome, ma non quello di contratto. Irti si richiama così alla lezione di Perozzi, Bonfante e Betti, che separavano il contractus dal consensus, e pensa ad un tipo di contratto 'non consensuale'.

Per concludere, i concetti centrali del primo saggio di Irti sono i seguenti: la politica che rinuncia al governo dell'economia non perde la sua 'politicità'; se gli Stati vogliono governare la globalizzazione, devono servirsi di un diritto - duttile e artificiale, deraciné rispetto al territorio - il cui modello è il normativismo kelseniano. Sorge qualche interrogativo teorico. Sul primo concetto: Massimo Cacciari sostiene che uno Stato che rinunci al controllo dell'economia non solo non è politico, ma non è Stato (si suicida politicamente). Sul secondo concetto: è realistico pensare, nell'epoca della fioritura della più ampia gamma di soggetti che partecipano ai processi di produzione normativa, che lo Stato sia ancora - mediante gli strumenti degli accordi interstatali e il diritto internazionale privato - l'unico soggetto deputato a 'gestire' la globalizzazione? E il normativismo kelseniano, soggetto a interessanti critiche (si vedano quelle di Bruno Leoni e Friedrich A. von Hayek), è veramente uno strumento operativo ed euristico efficace?

Francescomaria Tedesco