2007

A. Sen, Identity and Violence. The Illusion of Destiny, W.W. Norton & Company, New York - London 2006, trad. it. Identità e violenza, Editori Laterza, Roma - Bari 2006, ISBN 88-420-8052-7

L'attuale tendenza teorico-politica a unificare le divisioni esistenti nel mondo "in un sistema di classificazione spacciato per dominante" (p. X), finalizzato a distinguere le persone sulla base di un criterio unico come la religione, la comunità, la cultura, la nazione, o ancora la civiltà, ha come inevitabile esito, secondo l'economista e filosofo Amartya Sen, la messa in discussione della nostra stessa comune appartenenza al genere umano. Proprio per questa ragione, nelle considerazioni che l'A. presenta in questo saggio, tradotto dall'originale Identity and Violence. The Illusion of Destiny (2006), che riprende i contenuti delle sei lezioni su "The Future of Identity" tenute all'Università di Boston tra il 2001 e il 2002, la questione dell'identità diviene centrale. Con una straordinaria semplicità discorsiva e soprattutto con una grande ricchezza di considerazioni di carattere filosofico, storico, politico, sociale ed economico, Sen mostra l'intrinseca complessità e problematicità del concetto di identità, mettendo in guardia da grossolane e pericolose semplificazioni.

Nei primi tre capitoli del libro l'autore svolge un'accurata analisi del concetto di identità. Quest'ultima è valutata sia come "una fonte di ricchezza e calore", sia come una fonte di "violenza e terrore" (p. 5). Il concetto di identità è per Sen plurale e inclusivo, poiché tante sono le affiliazioni e le collettività cui una persona appartiene simultaneamente: cittadinanza, residenza, origine geografica, genere, politica, professione, credo religioso, abitudine alimentare, interessi sportivi, gusti musicali, impegni sociali, ecc. Nessuna di tali associazioni, tuttavia, può essere considerata come la nostra unica identità, se non a rischio di creare e cristallizzare divisioni, spesso abilmente strumentalizzate per alimentare relazioni conflittuali, rispondenti a precise logiche di potere. Scrive Sen: "I conflitti vengono così reinterpretati e nobilitati in termini storici, attribuendo loro qualcosa di più grande della meschineria della politica contemporanea" (p. 44).

Tali considerazioni conducono l'A. ad opporsi all'interpretazione dell'identità come fatto puramente naturale del quale ciascuno, semplicemente, farebbe la sua scoperta, ovvero all'idea che l'identità sia una eredità immutabile della comunità in cui si è nati. La posizione dei comunitaristi è per Sen fallimentare, poiché promuove un approccio solitarista al problema dell'identità, che viene interpretata in senso univoco, in funzione della comunità. Ma l'illusione dell'identità unica è anche alla base della tesi dello "scontro di civiltà" fortemente sostenuta da S. Huntington, di fronte alla quale l'A. si chiede non se tale scontro possa verificarsi nella realtà, ma se sia corretto interpretare l'umanità adottando la "civiltà" quale esclusivo criterio di classificazione. Ripercorrendo la storia del progresso culturale dell'umanità, Sen si interroga sulla validità e sulla giustificabilità di questa tesi, ponendo l'accento sulla portata delle diversità culturali interne ad ogni civiltà e sull'estensione e sull'influenza delle interazioni, le quali travalicano i ristretti confini delle cosiddette civiltà. L'alternativa alle divisioni causate da un criterio di classificazione predominante sugli altri, tuttavia, non consiste nel sostenere irrealisticamente che siamo tutti uguali, ma nel sottolineare "la pluralità delle nostre identità" (p. 19), che per Sen s'intrecciano l'una con l'altra e chiamano in causa il ruolo fondamentale della ragione nell'atto della scelta. Ciascuno di noi, infatti, ha la possibilità di scegliere il peso relativo da attribuire alle varie collettività cui appartiene. Esercizio della ragione e scelta libera sono pertanto le coordinate di riferimento di una umanità disincantata, che comprende l'illusione del destino e il pesante prezzo che esso esige.

Tali considerazioni tornano nei capitoli successivi con approfondimenti specifici, nei quali la questione dell'identità è affrontata in riferimento alle affiliazioni religiose, alla cultura, quindi all'ambito politico e sociale. Nel Cap. IV, Sen tratta proprio dell'utilizzo strumentale del credo religioso quale criterio dominante di classificazione, e della settarizzazione dell'idea d'identificazione. Da questi approcci consegue una polarizzazione del mondo in funzione di affiliazioni ritenute esclusive, cui si accompagna un processo malriuscito di politicizzazione che può concretizzarsi nel contributo diretto all'azione terroristica, alla sua propaganda e alla normalizzazione della violenza in nome della religione. L'esito inevitabile è il rafforzamento della voce delle autorità religiose, convocate sempre più spesso quali interlocutori ufficiali in rappresentanza di una comunità o civiltà, e l'impoverimento, in termini di capacità di dialogo e di partecipazione sociale e politica, proprio della società civile.

Con la forza degli esempi storici e attuali e con la sua ampia e peculiare conoscenza di diverse culture, l'A. compie poi una decostruzione della retorica "Occidente contro Antioccidente" (Cap. V), e si oppone alla considerazione dei fattori culturali come inamovibili e prioritari nell'interpretazione dell'identità. La sua critica è diretta ancora una volta a Huntington. Sen si interroga ancora una volta sulla natura, sulle implicazioni e sui meriti del multiculturalismo, alla luce della fondamentale distinzione tra "libertà culturale" e "conservazione culturale" (p. 114). Dal riconoscimento del valore della libertà culturale discende direttamente l'importanza della diversità culturale, che non consiste nella "perpetuazione generalizzata di tutte le pratiche culturali preesistenti presenti in dato momento" (p. 117), in quanto ciò negherebbe l'importanza della scelta libera del singolo a scapito proprio della libertà culturale in nome della quale si celebra la conservazione. A partire da tale distinzione, l'A. intende fare chiarezza sul senso del multiculturalismo, differenziandolo da quello che egli definisce "monoculturalismo plurale" (p. 158). Le implicazioni politiche di questa prospettiva rivelano ovviamente un orientamento contrario a quello della tendenza contemporanea che l'A. non manca di analizzare con specificità, come quando tratta dell'esempio multiculturale della Gran Bretagna e dell'attuale politica del primo ministro inglese, orientata alla creazione di nuove scuole confessionali finanziate dallo Stato e in linea con una logica frammentaria che trasformerà il Paese in una "federazione di comunità" (p. 120).

Per Sen, occorre una maggiore equità intellettuale nell'approccio alla storia globale. E' questo il primo passo per l'esercizio di una identità globale, che secondo l'A. può riguardare molte realtà e istituzioni a più livelli: dalle Nazioni Unite, alla società civile, alle singole persone, ai gruppi e alle organizzazioni. Lo scontento globale, espresso dai movimenti di protesta in tutto il mondo, può infatti essere considerato come la prova dell'esistenza di un sentimento di identità globale e di un interesse per l'etica globale che l'A. invita a consolidare. E se gli argomenti e le modalità di comunicazione dei dimostranti non sono sempre corretti, molti di questi sollevano tuttavia interrogativi importanti, che divengono agenda del dibattito pubblico e contribuiscono ad alimentarlo. In fondo, sostiene Sen, "è anche così che la democrazia globale muove i primi passi" (p. 187).

Rita Mita