2005

D. Held, Global Covenant: The Social Democratic Alternative to the Washington Consensus, Polity Press, London 2004, trad. it. Governare la globalizzazione. Un'alternativa democratica al mondo unipolare, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 239, ISBN 88-15-10482-8

Held è scrittore assai prolifico. Questo suo volume, più di tanti altri testi da lui pubblicati negli ultimi anni, costituisce un momento di sedimentazione e di sistematizzazione. È stata quindi opportuna la scelta de Il Mulino di tradurlo per il pubblico italiano. Diamo per noto l'approccio cosmopolitico di Held e non dedichiamo spazio a ripercorrere ogni capitolo del libro. Ci concentriamo piuttosto, molto brevemente, su alcuni elementi che ci sembrano approfondire e rinnovare le analisi trascorse. Iniziamo dalla sezione del volume dedicata alla globalizzazione economica. Held prende le distanze dal Washington Consensus, ricordando che studiosi come Dani Rodrik, Robert Wade o Ha-Joon Chang hanno mostrato che i paesi dalle migliori performance recenti hanno anzitutto curato un'integrazione economica interna, adottando verso l'esterno politiche protezionistiche, per passare solo in seguito alla liberalizzazione dei commerci. In secondo luogo, Held sostiene che mentre il Washington Consensus propugna incautamente un rapido allentamento dei controlli nazionali sui flussi di capitale, autori come Geoffrey Garrett hanno documentato che è principalmente la liberalizzazione degli scambi commerciali a innalzare il tasso di crescita; l'apertura del conto capitale richiede invece, per esercitare effetti positivi, una regolamentazione accorta ed una "soglia di sviluppo minima" in termini di capitale umano, infrastrutture materiali e istituzioni politiche. Che però quest'ultima tesi di Held non sia una posizione controcorrente, incarnando ormai l'opinione mainstream, lo abbiamo illustrato nella recensione (in questo sito) del volume dell'ultraliberista Bhagwati Elogio della globalizzazione.

Passiamo adesso alle pagine che discutono le forme attuali della governance globale. «La globalizzazione segna la prosecuzione della politica con nuovi mezzi che operano a molti livelli diversi» (p. 35). Held riconosce che i processi della governance globale creano delle, e poggiano sulle, reti sovrapposte di interazione e potere. Come osserva Alberto Martinelli, ammettere ciò «non trascura la persistente centralità degli stati nazionali, ma tende a [indagare le forze che possono] sviluppare la democrazia sia al di sopra di essi, mediante la formazione di unioni sovranazionali come l'Unione Europea, sia al di sotto mediante lo sviluppo delle autonomie locali, sia lateralmente, mediante la crescita delle organizzazioni non governative, dei movimenti e di altre componenti di una società civile globale». Ovviamente, annota Anne-Marie Slaughter, le reti intrecciate danno forma ad un «patchwork of inter-governmental, transgovernmental, and transnational global governance structures». Per chi, come Francis Fukuyama (si veda la mia recensione al suo Esportare la democrazia), resta convinto che la sovranità o è priva di sovrapposizioni, come nel caso classico di uno Stato-nazione, oppure non esiste, questo patchwork è soltanto la confusa e transeunte manifestazione fenomenica dietro cui permane l'egemonia degli Stati forti. Eppure la fortunata formula del world governance without world government non segnala necessariamente una situazione imperfetta e incompiuta. Può invece, in maniera più attenta e plausibile, indicare un percorso di generalizzazione dell'invenzione politica federalistica - che, come ricorda Daniel Elazar, «era un'eresia per i padri europei dello Stato nazionale moderno» -, secondo cui «più governi esercitano il potere sullo stesso territorio». Held si colloca, a mio avviso, nel solco di simili riflessioni, svolgendo una rassegna aggiornata e sintetica delle reti della governance odierna: questa parte del libro è vivamente consigliabile.

Rimane d'altra parte l'ideologia cosmopolitica di cui Held è un campione, e che così efficacemente è criticata da Danilo Zolo. A me sembra che, almeno in questo libro, essa possa venire tenuta distinta dall'analisi lucida della governance globale. Mentre apprezzo la seconda, trovo debole e stucchevole la prima. La visione cosmopolitica mi appare come un tentativo, in nome delle élites sovranazionali, di rivitalizzare la filosofia socialdemocratica, secondo la quale occorre contemperare i vari interessi in campo mediante «un pacchetto bilanciato di economie di mercato, welfare sociale e regolazione politica» (p. 39). Adesso, auspica Held, si può rielaborare a livello planetario quella ricetta puntando ad un nuovo patto globale, che sia «un ordine multilaterale fondato sulle regole e orientato verso la giustizia» (p. 19). Le linee di questo patto sono idealmente, e non di rado genericamente, tracciate, senza tuttavia indicare le forze, le maniere ed i sentieri tramite cui esse potrebbero realizzarsi.

Nicolò Bellanca