2005

C. Galli, La guerra globale, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 120, ISBN 88-420-6785-7

L'agile volume di Carlo Galli sulla guerra globale si presenta come un tentativo di aggiornare (post 11 settembre) le categorie elaborate nel precedente lavoro sul mutamento di paradigmi in atto nella transizione dallo spazio politico moderno a quello proprio della globalizzazione (Spazi politici. L'età moderna e l'età globale, il Mulino, Bologna 2001). Per l'Autore non si tratta di rimettere in discussione le categorie con cui va interpretata l'epoca globale - prima fra tutte quella di "sconfinamento" -, quanto di integrarle con una nozione, quella di guerra globale, appunto, capace di descrivere non tanto i singoli episodi contingenti accaduti nell'ultimo anno e mezzo, quanto piuttosto una situazione complessiva, definibile come stato di guerra, o stato d'eccezione, permanente e generalizzato. La direzione intrapresa dalla ricerca di Galli, insomma, invita a pensare la guerra globale come una modalità della stessa globalizzazione, come una sua proprietà essenziale. Entro questa prospettiva, il libro di Galli presenta, come riferisce lo stesso Autore, solo una serie di "pennellate che sottolineano e selezionano, in un forte chiaroscuro, ciò che nella realtà si presenta come un ambiguo sfumare di grigio su grigio" (p. VI).

Si inizia con un parallelo e una differenziazione: in molti, oggi, presentano l'immagine di un impero occidentale assediato dai barbari, come lo fu il tardo impero romano, circondato "dal furore dei popoli che latrano tutt'intorno" (così recita un anonimo del IV secolo d.C., citato a p. 5). Ma la differenza consiste nel fatto non secondario che oggi il barbaro non sta fuori, non è l'estraneo assoluto, il non-umano al limite, ma è parte costitutiva dell'impero stesso. Oggi i barbari "mordono, rabbiosi, anche nel cuore [dell'impero], dimostrando di conoscerne bene il funzionamento, di possedere il know how per colpirlo duramente" (p. 7).

La guerra globale dobbiamo innanzitutto abituarci a vederla: le immagini dell'11 settembre, infatti, possono apparirci come l'ennesima replica di qualche colossal hollywoodiano, anziché come la rappresentazione di una tragica realtà. E se riusciamo a guardare l'essenziale di questo stato di guerra globale, ci accorgiamo che esso non ha nulla a che fare con le modalità tradizionali della guerra: non siamo di fronte né ad una guerra tra Stati, quella tipica dello jus publicum europaeum, né ad una guerra totale, come quella descritta magistralmente da Ernst Jünger (che vedeva e viveva la prima guerra mondiale). Siamo di fronte ad una guerra che ha una tonalità apocalittica, ma non è affatto leggibile attraverso le lenti "classiche" della teologia politica; questa nuova guerra, infatti, manca assolutamente di "vettori ordinativi" (p. 27), non è capace - detto altrimenti - di dar luogo ad una divisione dello spazio che garantisca la (pur relativa e temporanea) neutralizzazione dei conflitti. Siamo di fronte, piuttosto, ad una "teologia estrema [...] che non ammette neutralizzazione, che si presenta come furia di un conflitto interminabile; che è parte del problema, non della soluzione" (p. 28).

A questa teologia estrema si affianca necessariamente una certa visione delle identità in conflitto. Se, da parte americana, si è parlato di scontro di civiltà - suggerisce Galli - lo si è fatto solo per giustificare, mediante argomentazioni di carattere culturale, l'inevitabilità del conflitto. D'altra parte, anche la posizione di coloro che, come Michael Walzer, vorrebbero identificare, tout court, i valori americani con i valori dell'umanità - interpretando così la guerra globale non come scontro tra civiltà differenti, ma come difesa dell'umanità dalla barbarie, come imposizione del bene di fronte al dilagare del male - è assolutamente inaccettabile, prima intellettualmente che politicamente (pp. 38-40).

L'essenza della guerra globale, in sintesi, consiste in questo: "di non essere la terza guerra mondiale, di cui le mancano i presupposti ideologici ed economici; e di non essere neppure una guerra dei mondi (del mondo islamico contro il mondo cristiano), quanto piuttosto la manifestazione del fatto che la globalizzazione è un mondo di guerra" (p. 55). La guerra globale è una "guerra sistemica" (p. 84), è la manifestazione della compiuta "vittoria dell'economia sulla politica" (p. 70), ovvero dell'incapacità ormai della politica, e in particolare dello Stato, di imporre barriere efficaci agli sconfinamenti dell'economia; è, secondo un'espressione schmittiana, una "guerra civile mondiale" (p. 68).

Che fare, dunque, di fronte ad una guerra che mostra tratti di radicale discontinuità rispetto alle guerre del passato e che testimonia contemporaneamente dell'avvenuta unificazione del mondo e dell'apparente impossibilità di un nuovo ordinamento interno a questo uno? L'ultimo capitolo del libro di Galli si intitola, ancora con uno sguardo al vecchio maestro di diritto pubblico Carl Schmitt, Per un nuovo 'nomos' della terra, ed è in verità un invito a portare a termine "il compito di una generazione" (p. 101): quello di costruire, nell'unità del mondo globale, un ordine che, al di là "dell'ossessione della totale sicurezza, consista di spazi che si aprono - con le parole del Faust di Goethe - a 'milioni e milioni di uomini, che vi abitino, sicuri no, ma attivi e liberi'" (p. 100).

Paolo Godani