2006

U. Beck, A. Giddens, S. Lash, Reflexive Modernization, Polity Press, Cambridge 1994, trad. it. Modernizzazione riflessiva, Asterios, Trieste 1999, pp. 282, ISBN 88-86969-50-3

Il concetto di "modernizzazione riflessiva" si colloca in una fase storica in cui s'intravede la fine di molte dimensioni della modernità. Beck, Giddens e Lash sviluppano questo concetto ciascuno con riferimento a categorie particolari e costituite, rispettivamente, dalle condizioni della "seconda modernità", dalla dimensione della tradizione, e, infine, dall'ermeneutica.

Beck identifica la modernizzazione riflessiva con un passaggio da una prima a una seconda modernità e considera il ruolo della sociologia all'interno di questo passaggio. Le teorie sociologiche postmoderne e la modernizzazione riflessiva, infatti, si differenziano da quelle della modernità semplice (come funzionalismo e marxismo) perché affrontano una realtà in cui:

  1. la classe come presupposto culturale viene sostituita dall'individuo;
  2. la stessa differenziazione sociale diventa un problema;
  3. la razionalità ha un significato sia descrittivo che normativo.

Secondo il sociologo tedesco, le teorie della modernità classica tendono a identificare società industriale e società moderna, mentre, per le teorie della modernizzazione riflessiva, quest'identificazione non è concepibile. Vi è, infatti, una dimensione di "contromodernità", ovvero di fenomeni determinati dalla modernizzazione stessa che però sono altamente destabilizzanti (ad esempio totalitarismi, tecnologie genetiche, ecc.), di cui si deve tener conto.

Poste queste distinzioni, Beck delinea i temi con i quali le società moderne riflessive sono chiamate a confrontarsi: a) la democrazia riflessiva, b) la politicizzazione della razionalizzazione, c) l'individualizzazione.

Si parla di democrazia riflessiva perché i principi democratici sono fortemente messi in questione da movimenti sociali sia interni sia esterni alle istituzioni. La democrazia riflessiva non deve configurarsi solo in senso verticale, nei rapporti degli individui con il potere, ma anche in senso orizzontale, come pratica che pervade tutte le sfere dell'agire (famiglia, lavoro, ecc.).

Con l'espressione politicizzazione della razionalizzazione Beck intende, invece, la condizione per cui sfera politica ed economica sono nella società attuale doppiamente permeabili. Si tratta di un discorso piuttosto sottile, non immediatamente intuitivo: da una parte i processi di razionalizzazione non sono più interpretabili come immanenti solo all'economia. Dall'altra parte, le regole stesse della razionalizzazione diventano oggetto di conflitti e decisioni. Sull'individualizzazione, infine, Beck sostiene che si crea una trappola della povertà che è il riflesso negativo di un'organizzazione di istruzione e istituzioni, che sono finalizzate a creare conoscenza, lavoro, sicurezza, abitazione, ecc. Infatti, chi non accede all'istruzione e alle istituzioni non riesce a ottenere lavoro, non può costruire una famiglia e avere una casa, ecc.

L'insieme di queste valutazioni porta il sociologo tedesco a ritenere inevitabile il ricorso ad invenzioni sociali e sperimentazione politica attraverso una sorta di nuova Riforma o di una rivitalizzazione dell'Illuminismo in tutte le istituzioni dello stato e del mercato.

Mentre il testo di Beck introduce e combina più categorie, quello di Giddens ruota attorno solo al concetto di tradizione. La tradizione, intesa come il collante degli ordini sociali premoderni, è un orientamento del passato. Entro una società tradizionale, la tradizione ha un ruolo rilevante, che è tanto più rilevante quanto meno la tradizione è compresa come tale. Ora, esiste un legame specifico tra la tradizione e la modernità. Le istituzioni moderne nel loro stadio iniziale non solo dipendevano dalle tradizioni preesistenti, ma ne creavano anche delle nuove. Giddens ritiene che la società globale sia la prima forma di società post-tradizionale, poiché in essa si pone fine allo stato, definito "segmentale", di numerose enclave di tradizionalismo. Tuttavia, in questa fase, paradossalmente, le tradizioni non scompaiono del tutto. La società globale, infatti, determina possibili modi di risoluzione dei conflitti di valori tra individui e collettività: radicamento della tradizione, separazione dall'altro ostile, discorso, violenza e coazione.

Da ultimo Lash, nel suo saggio, vede nella modernizzazione riflessiva gli elementi fondamentali di una teoria critica orientata verso il ventunesimo secolo. La tesi della modernità riflessiva presuppone la liberazione progressiva dell'agente dalla struttura. Ora, per lo studioso inglese, alla base della riflessività non vi sono né le strutture sociali (economiche, politiche, ideologiche) del marxismo né quelle del funzionalismo (norme e istituzioni), bensì una rete articolata di networks globali e locali e strutture d'informazione e comunicazione. Una teoria della riflessività può diventare teoria critica, secondo Lash, quando si sposta dall'esperienza quotidiana al sistema. Lash prende in esame alcuni teorici della riflessività: Beck e Giddens, Bauman, Habermas, Taylor. Egli ritiene vi siano dei limiti nelle loro visioni della modernizzazione. Giddens e Beck mirano, secondo Lash, non ad una teoria critica ma ad una decostruzione della tradizione. L'idea di Bauman rispetto alla dimensione della modernità, invece, è più simile a quella di un progetto di un'etica esteticizzata. Habermas teorizza "un mondo della vita" (Lebenswelt) di pratiche sociali radicate attraverso una razionalità comunicativa, ma tale tentativo ha il limite di voler incidere troppo sulla realtà. Taylor, infine, vede sia la dimensione cognitivo-utilitaristica sia quella estetico-espressiva della ragione moderna come fonti dell'io, ma attraverso tale interpretazione egli presume l'esistenza del soggetto fuori dal mondo per cui il mondo viene mediato.

Una sociologia autenticamente riflessiva, invece, per Lash, sulla scorta delle posizioni di Bourdieu e Levi-Strauss, induce a vedere i nostri concetti non come categorie ma come "schemata" interpretativi. In virtù di tutto ciò, egli intravede nella modernità riflessiva l'incapacità per i sociologi di essere al di sopra della comunità: essi, piuttosto, sembrano porsi come una sorta di nuova "tribù" al suo interno.

Nella seconda parte del libro gli autori discutono le reciproche posizioni, permettendo così al lettore di cogliere sfumature e differenze tra gli obiettivi che perseguono e le categorie concettuali di cui si servono.

Beck nota che mentre la sua esposizione si lega alle conseguenze della seconda modernizzazione, quelle di Giddens e Lash si legano al problema del sapere nella seconda modernizzazione. Beck sostiene invece che è proprio il non sapere la conseguenza della modernizzazione secondaria: è a questo non sapere che i sociologi devono dedicare attenzione.

Giddens, nel suo intervento, si sofferma sul concetto di fiducia, richiamando le spinte verso la democratizzazione nella società attuale. Sostiene l'idea di democrazia emotiva nei rapporti familiari, di pratiche decentralizzate negli ambiti burocratici, dello sviluppo dei gruppi fai da te, dell'interazione tra contesto locale e tendenze globalizzanti.

Lash, infine, riafferma la differenza della sua posizione, che è caratterizzata dall'ermeneutica, rispetto a quella di Giddens e Beck che insistono sulla riflessività istituzionale nella società e nella politica contemporanea. L'idea su cui egli indugia è che i rapporti sociali nella modernità sembrano avere carattere sempre più extra-istituzionale.

Questi tre saggi e i successivi interventi di reciproco commento tra gli autori, introducono una rilevante e interessante dimensione teoretica all'interno della sociologia contemporanea, che se ben alimentata, può condurre l'immaginazione sociologica in sfere né solo critiche né solo funzionaliste, rivalutando l'elemento filosofico di dialettica tra pensiero e realtà che da sempre accompagna la teoria sociale e che, a volte, forse non sempre proficuamente, è stato abbandonato o trascurato.

Francesco Giacomantonio