2009

A. Ferrara (a cura di), Religione e politica nella società post-secolare, Meltemi, Roma 2009, pp. 288, ISBN 978-88-8353-669-4

Nel dibattito intellettuale e politico degli ultimi anni, la dimensione religiosa è tornata ad avere una centralità e una rilevanza sorprendente, come probabilmente non capitava dai tempi della prima modernità (XVII secolo e Guerra dei trent'anni). Fare il punto sulla condizione della religione nella società attuale e sulle sue relazioni con l'etica, la politica, le istituzioni, la sfera pubblica e quella privata, assume quindi un valore che oltrepassa la ricerca accademica. Questo volume curato da Alessandro Ferrara, attraverso l'intreccio di interventi di studiosi affermati e giovani ricercatori (in occasione di un convegno tenuto a Roma nel settembre 2007, su "Religione e politica nella società post-secolare"), viene incontro a tale esigenza.

Il revival della religione si può attribuire, come rileva Ferrara introducendo il volume, a due motivazioni fondamentali: da una parte il venir meno della Guerra Fredda ha proiettato la fede religiosa come principale fattore di aggregazione identitaria; dall'altra parte, l'idea che anche la secolarizzazione fosse un'ideologia. Queste due situazioni pongono una domanda importante alla filosofia politica: "in che modo dobbiamo ripensare il modo in cui la separazione di religione e politica, Stato e Chiesa, è stata storicamente intesa e realizzata nelle società occidentali?" (p. 8).

Nei primi e più prestigiosi due interventi, Jürgen Habermas e Gustavo Zagrebelsky provano a rispondere a questo interrogativo di base e evidenziano la possibilità che la nuova società mondiale si fondi su un incontro e non su uno scontro di civiltà: per Habermas, che ribadisce in questa sede le sue più recenti posizioni politiche espresse nei suoi ultimi libri, è importante ascoltare con rispetto la voce pubblica delle fedi, senza rinnegare la ragione laica; per Zagrebelsky è in tal senso che devono operare gli stati costituzionali, con capacità di accoglienza e integrazione pluralista. Il rapporto dialetticamente aperto tra politica e religione è suffragato dall'analisi storica sviluppata nel saggio di Michele Nicoletti. Queste posizioni non devono, comunque, portare ad un abbandono del secolarismo: opportunamente Anna Elisabetta Galeotti, nel suo saggio, rimarca come il punto decisivo sia di pervenire a una definizione del secolarismo che protegga i suoi valori, ma risponda anche alle critiche che studiosi come Habermas hanno sollevato alla sua versione più corrente.

Chiariti questi aspetti di fondo, è possibile proporre alcune valutazioni legate a temi particolari. Cristiano-Maria Bellei, ad esempio, nota che il rinascere di forme religiose è oggi molto legato alle condizioni di incertezza della vita e alla liquidità delle identità e delle appartenenze che caratterizzano la società tardo-moderna, come hanno ripetutamente notato sociologi quali Bauman, Giddens e Beck. E Gabriella Cotta, nel suo scritto, ritiene, in effetti, che il discorso filosofico non possa prescindere dalla "domanda prima", posta da Leibniz e Heidegger, delle "ragioni dell'essere". Il tema della religione incontra, allora, quasi fatalmente, quello dello spazio pubblico, su cui si soffermano, ciascuno a suo modo, gli studi di Alberto Pirni e Debora Spini. Il lavoro di Pirni mostra come le religioni stiano operando processi di de-privatizzazione, rifuggendo il ruolo marginale cui la secolarizzazione voleva porle e Spini spiega questo sovraccarico nello spazio pubblico con la condizione di perdita di capacità di controllo degli Stati rispetto alle sfide globali.

Quali categorie, dunque, devono essere inserite per calibrare il rapporto tra fedi e sfera politica? I restanti saggi del volume ne propongono alcune. Emanuela Ceva, attraverso posizioni di taglio prettamente analitico e rawlsiano, sostiene rispetto a questi problemi, una teoria della giustizia ispirata a una prospettiva pluralista, ma che sappia limitare le sue prescrizioni alla formulazione di linee guida procedurali. Più portate a sondare aspetti simbolici sono, invece, le letture di Chiara Bottici e Emanuela Fornari, rispettivamente imperniate sulle categorie dell'immaginazione e del senso. La prima coglie il pericolo che l'immaginazione politica contemporanea, presa nella duplice morsa della sua tecnicizzazione e spettacolarizzazione, aprendo incondizionatamente le porte alle risorse di senso religiose, rischi di essere fagocitata da tali contenuti. La lettura di Fornari, invece, suffraga le teorie universaliste habermasiane, sostenendo come le categorie della traduzione e della comparazione siano paradigmi simbolico-linguistici fecondi e alternativi ai modelli procedurali che si basano su filtri ai circuiti della comunicazione.

Completano il volume le analisi di Salvatore Azzaro, che rivisita la relazione tra politica e religione tramite il riferimento al pensiero di Augusto Del Noce, e quelle di Vittorio Possenti che riafferma la dimensione della teologia politica, essendo scettico sulla possibilità che l'esistenza dei cittadini possa essere scissa in una parte pubblica e in una privata.

Consentendo di trasformare in dialogo il discorso delle diverse prospettive politiche, sociologiche e filosofiche riguardo alla religione, il testo curato di Ferrara assume certamente valore in una fase storica come quella attuale in cui, in troppe occasioni, gli specialismi producono solo accademismi isolati e purtroppo sterili.

Francesco Giacomantonio