2005

A. Facchi, I diritti nell'Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 174

Il saggio di Alessandra Facchi si segnala come una utile introduzione ai problemi connessi al rapporto tra immigrazione, pluralismo normativo e diritto positivo nell'ambito delle società europee. Il testo, che mira a offrire una panoramica unitaria attingendo agli apporti della filosofia politica, della sociologia culturale e del diritto, è organizzato in sette brevi capitoli, dei quali, i primi quattro hanno carattere di introduzione ad alcune questioni generali, mentre gli ultimi tre si confrontano piuttosto con alcune tematiche più specifiche, come le mutilazioni genitali femminili, la condizione delle comunità musulmane in Europa, il rapporto tra femminismo e multiculturalismo.

Nel primo capitolo Facchi introduce la distinzione tra i concetti di minoranza nazionale, collegato alla presenza all'interno di uno stato di popolazioni territorialmente concentrate che sono state assorbite all'interno di un sistema statuale più vasto, e di gruppo etnico, che si riferisce principalmente alle comunità di immigrati. La presenza di gruppi etnici distinti fa di uno stato uno stato polietnico. Vengono quindi delineati due modelli di azione governativa verso i fenomeni migratori: il modello francese, basato sull'inclusione e sul principio dell'omogeneità culturale, e il modello inglese, maggiormente incline al rispetto delle tradizioni comunitarie, delle specificità culturali ed etniche. Entrambi i modelli, presi separatamente vengono giudicati insoddisfacenti, in quanto nessuno dei due è riuscito a evitare la marginalizzazione degli stranieri, «né li ha condotti a un livello di istruzione, di risorse economiche e integrazione sociale, comparabile a quello delle popolazioni autoctone» (p. 17).

Il secondo capitolo è incentrato sulla questione dell'opportunità di prevedere diritti collettivi e diritti culturali a favore degli appartenenti a comunità minoritarie. La riflessione di Facchi su questo tema si sviluppa a partire da una presa di posizione molto netta: la comunità non possiede valore di per sé ma solo nella misura in cui consente la realizzazione dell'individuo, di conseguenza l'attribuzione di nuovi diritti non deve ledere il quadro di garanzie previsto dalla tradizione liberale. In particolare, le limitazioni al riconoscimento di diritti collettivi e culturali devono essere mirate a salvaguardare l'autonomia del singolo rispetto alla propria comunità di appartenenza, consentendogli al limite di allontanarsi da essa, e a tutelare le altre comunità dall'eventuale intolleranza di comunità più forti. Se si tengono presenti questi avvertimenti si vede facilmente come la previsione di diritti collettivi contenga un rischio potenziale: non sempre è possibile stabilire dove si arresti la legittima rivendicazione della propria specificità culturale e dove invece incominci l'imposizione e la sopraffazione a danno dei membri più deboli della comunità. Ma anche nel caso dei diritti culturali attribuiti agli individui, apparentemente più conciliabili con le strutture liberali, non è escluso il rischio che il loro esercizio si traduca concretamente in violazioni gravi dei diritti di libertà e di uguaglianza. In molte circostanze, del resto, è la stessa interpretazione del concetto di diritto che varia da cultura a cultura. Pertanto, per diventare compiutamente universali i diritti di matrice occidentale «devono confrontarsi con altre culture e adattarsi ad altri uomini» (p. 34).

Secondo Facchi la situazione di compresenza di norme con fonti e contenuti differenti che caratterizzano le società multietniche contemporanee è riconducibile a un paradigma risalente della sociologia del diritto, quello del pluralismo giuridico. Il terzo e il quarto capitolo cercano di sviluppare questo paradigma nelle sue specifiche applicazioni alle comunità di immigrati in Europa. L'approccio del pluralismo giuridico mira a conoscere le diverse norme e istituzioni che orientano i comportamenti all'interno dei diversi gruppi sociali, per questo motivo trova un'applicazione privilegiata nello studio delle comunità di migranti, presso le quali si riscontra la tendenza a riprodurre in terra straniera le istituzioni della comunità di provenienza e ad applicare le norme tradizionali. Tuttavia, questa presenza extra-territoriale del diritto degli immigrati è generalmente accompagnata da variazioni significative che, in un modo o in un altro, tendono verso il contemperamento fra i due quadri istituzionali, quello dei migranti e quello degli ospiti. Queste circostanze comportano, secondo Facchi, che la ricostruzione del quadro normativo concreto che i vari soggetti si trovano a fronteggiare diventi una necessità ineludibile per avviare qualsiasi politica multiculturale e riforma giuridica. Infatti, non è solo il diritto dei migranti che sta cambiando: anche il sistema giuridico degli stati europei è spinto naturalmente ad adattarsi ai nuovi contesti sociali. Si tratta allora di stabilire quali contenuti e quali principi della tradizione europea debbano essere tenuti fermi e quali norme, comportamenti e istituti di provenienza extraeuropea possano essere accolti. Che un'integrazione di questo tipo si renda necessaria segue anche dall'applicazione di uno dei principi cardine della tradizione liberale: il principio di uguaglianza, interpretato nella sua accessione sostanziale che impone alla legge di trattare in maniere diverse individui diversi, in relazione alle loro differenze specifiche. Seguendo questa linea, il riconoscimento delle norme e pratiche tradizionale seguite all'interno delle comunità di immigrati può avvenire - ed è infatti avvenuto - sia sul piano legislativo che, soprattutto, su quello giudiziario.

Casi di attrito fra i principi e le norme del diritto europeo e quelli dei codici normativi seguiti dagli immigrati possono presentarsi sia nel campo del diritto civile, particolarmente nel diritto di famiglia, sia nel campo del diritto penale. All'analisi di un caso emblematico tra questi ultimi, quello delle mutilazioni genitali femminili, è dedicato il quinto capitolo. La preoccupazione maggiore che guida Facchi nel dipanare questa complessa questione è quello di sottolineare come una comprensione «completa» delle svariate dimensioni coinvolte nel fenomeno delle mutilazioni femminile potrebbe essere accessibile solo «inoltrandosi nelle culture a cui appartiene» (p. 83). Ogni tentativo di comprensione «dall'esterno» si espone a un rischio di arbitrarietà, dal momento che coglie solo alcuni aspetti coinvolti nel fenomeno complessivo. Certamente, gli stati europei hanno un dovere di tutelare l'integrità fisica e psicologica dei soggetti più deboli, in questo caso i minori che vengono sottoposti a questo genere di trattamenti. Tuttavia, questo dovere, da cui segue un altro dovere, quello di punire i genitori responsabili delle mutilazioni, va commisurato con le circostanze speciali in cui i genitori stessi per lo più agiscono. Questa commisurazione deve tradursi secondo Facchi in un trattamento differenziato degli autori di questo genere di reati che, nell'interesse del minore coinvolto, eviti loro la reclusione e soprattutto nell'attuazione di campagne generali di educazione e assistenza rivolte principalmente agli immigrati di seconda e terza generazione.

Il sesto capitolo e il settimo capitolo, dedicati rispettivamente ai problemi collegati alla presenza di comunità islamiche in Europa e al rapporto tra femminismo e multiculturalismo, ribadiscono l'opzione di Facchi a favore di un «allargamento» dell'orizzonte del diritto, tale da permettergli di inglobare il punto di vista degli altri - immigrati musulmani, donne non europee - e di creare uno spazio per le loro scelte, non necessariamente coincidenti con le nostre. Piuttosto che ripercorrere nel dettaglio il contenuto di queste pagine preferisco soffermarmi conclusivamente su un elemento di tensione che mi pare sottendere l'argomentazione complessiva di Facchi. Come si è visto una delle premesse del discorso di Alessandra Facchi consiste nell'accettazione della massima liberale secondo la quale la comunità ha valore solo nella misura in cui consente la realizzazione dell'individuo. Dalla comunità dipende la possibilità dell'individuo di realizzarsi ma il raggiungimento di questo obbiettivo è sottoposto comunque a una valutazione esterna a quella della comunità stessa. In ogni caso, siamo «noi» che decidiamo cosa sia una vita compiutamente realizzata e cosa non possa esserlo. Questo, d'altra parte, è un interrogativo che, nel momento in cui ricorriamo al diritto, deve essere già stato preliminarmente sciolto. E dunque le possibilità di estensione del diritto verso l'inglobazione di valori altri sono sempre costitutivamente limitate. Se questa circostanza getta qualche ombra sulle capacità di integrazione dello strumento giuridico, allora forse potrebbe rivelarsi opportuna una riflessione più radicale sul modo in cui il diritto si connette a - presuppone, si genera da - la dicotomia tra «noi» e «loro».

Leonardo Marchettoni