2005

H. Friese, A. Negri, P. Wagner (a cura di), Europa politica. Ragioni di una necessità, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 286, ISBN 88-7285-265-X

G. Bronzini, H. Friese, A. Negri, P. Wagner (a cura di), Europa, costituzione e movimenti sociali. La crisi della sovranità statale, la dimensione europea e lo spazio dei movimenti sociali, Manifestolibri, Roma 2003, pp. 318, ISBN 88-7285-347-8

A. Negri, L'Europa e l'Impero. Riflessioni su un processo costituente, Manifestolibri, Roma 2003, pp. 172, ISBN 88-7285-352-4

I tre libri usciti presso la casa editrice Manifestolibri fra il 2002 ed il 2003 che qui recensiamo si ispirano al comune intento di approfondire il processo costituente europeo in atto privilegiando, all'interno della molteplicità di prospettive teoriche possibili, quella politica, sociale e costituzionale.

Sul piano strettamente politico, i curatori del primo volume Europa politica. Ragioni di una necessità nutrono l'idea «che quello che è centralmente in gioco nella cosiddetta globalizzazione è proprio la possibilità di successo della politica - come deliberazione su ciò che deve essere fatto in comune». Ne consegue un approccio radicalmente critico alla globalizzazione - stando alla bella e articolata definizione di Carlo Galli, «mobilitazione globale, [...] contraddizione non resa sistema [...], il darsi delle mediazioni economiche e politiche moderne in forma immediata e deformata [...]; il mercato senza freni, il diritto senza confini [...]; la soggettività esposta al mondo senza il filtro della statualità [...]; la politica (e anche la guerra) privata del suo spazio geometrico e delle sue costruzioni artificiali; una spazialità paradossale, che fa sì che in ogni punto [...] sia possibile che si manifestino immediatamente le logiche del Tutto» (p. 51).

L'approccio critico al sistema globale - o forse è più esatto dire 'glocale' - include tuttavia «un'apertura verso la creazione - o la ricreazione - di uno spazio politico e di una forma politica» che compensino su scala europea l'entrata in crisi dello spazio e della forma politica dello stato nazionale. Riacquisire capacità di progettazione politica equivale allora a scommettere sull'Europa in costruzione quale entità che sappia andare «al di là di qualsiasi Europa storica», evitando di fare confusione fra eurocentrismo con finalità egemoniche ed «eurocentrismo residuale», vale a dire orientato al recupero dentro il patrimonio politico e intellettuale europeo di tutti «quegli elementi che si prestano a creare un mondo basato sulla libertà personale e politica e sul riconoscimento dei diritti degli altri».

Lo spazio europeo come spazio di «diversità attiva» - secondo la felice espressione di Heidrun Friese (p. 62) - dovrebbe essere il luogo di un'identità comune ancora da costruire, sulla scorta delle diverse idee di identità politica che fin dal diciottesimo secolo hanno permeato di sé la riflessione filosofica e l'eredità culturale del vecchio continente; ma anche luogo al riparo dalla pretesa di riconoscimento di pratiche identitarie forti ed escludenti, in quanto esclusive. Il problema della capacità di inclusione di un'identità politica pur sempre regionale, malgrado il suo essere storicamente radicata nell'universalismo settecentesco, è reso ancor più acuto dal reintrodursi di istanze egualitarie - o come direbbe Etienne Balibar, di égaliberté - al fianco, e spesso in sovrapposizione, alle spinte alla differenza. A porsi è infatti la questione dei confini dell'identità europea e la sfida di un nuovo universalismo di cui sarebbero portatori i migranti, vale a dire quei soggetti in movimento che, nuove figure dell'universale, «cont[engono] in nuce un'istanza critica permanente nei confronti delle forme politiche occidentali», e rivendicano - contrariamente ai messaggi martellanti di «inimicizia costruita dall'alto» - assai più l'uguaglianza di libertà e diritti che non il riconoscimento identitario e la separatezza culturale (A. Dal Lago - S. Mezzadra, pp. 146-153. Ed ancora sullo stesso tema, ma stavolta nel secondo volume in oggetto, Europa, costituzione e movimenti sociali, S. Mezzadra - E. Rigo, L'Europa dei migranti, pp. 213-230).

Dal movimento dei migranti all'Europa dei movimenti sociali - il cosiddetto movimento no-global su tutti - il passo è breve. Il contributo di Giuseppe Allegri, sempre in Europa, costituzione e movimenti sociali (pp. 175-210), alludendo al «protagonismo continentale-globale» che il movimento dei movimenti dovrebbe ambire ad esercitare nel processo di «ripensamento ontologico d[el] continente» europeo, guarda con interesse agli spazi di democrazia partecipativa timidamente aperti dal 'Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa', liquidato di recente dalla Convenzione europea. Di quegli spazi denuncia tuttavia la ristrettezza, approfondendo - in termini giuridicamente ineccepibili - la portata e il senso delle critiche mosse a una lettura della partecipazione democratica che, al pari di quella veicolata per via convenzionale, si esaurisca nello scontro sterile fra interpretazioni comunitarie e sovraniste del testo giuridico, piuttosto che raccogliere la sfida della costruzione di una rete sovranazionale di contesti di interazione effettiva fra il locale e il continentale, che è poi il naturale terreno di attività e di protagonismo dei movimenti sociali.

Il fine di un'Europa spazio politico globale sarebbe infatti perseguibile solo rendendo la dimensione istituzionale disponibile a lasciarsi «ibrida[re] dalle prassi invasive dei movimenti sociali», e perciò più permeabile alle istanze e, prim'ancora, alle pratiche politiche generate dal basso dentro un sistema aperto di comunicazione e azione che - con le parole di Deleuze e Guattari - faccia rizoma. È in gioco la possibilità di uno sforzo di «immaginazione costituente», reticolarmente diffusa anziché verticisticamente avocata a sé dagli 'addetti ai lavori', il cui dispiegarsi si traduca in una «fondazione costituente continua», ben oltre le tradizionali - e di fatto inadeguate - assemblee costituenti su base nazionale, chiamate a lasciare il posto al multilevel constitutionalism e a un «nuovo federalismo cooperativo post-nazionale» (a integrare il discorso, Y. Moulier Boutang, E pluribus multiplico, e pluribus multitudo, pp. 101-109).

Svariati fattori sembrano congiurare contro la fattibilità di tale progetto: su tutti la guerra al terrorismo internazionale che viene ormai consumandosi, in un crescendo di tensioni e violenza, sotto gli occhi di un'Europa divisa e incapace di dire la sua, magari in termini contro-egemonici rispetto a quell'amministrazione Bush tutta protesa nell'attuazione della dottrina della guerra preventiva, e nella perpetuazione di uno stato di eccezione globale permanente quale unica risposta all'odierno disordine mondiale.

L'Europa e l'Impero di Antonio Negri, raccolta di testi apparsi tra il 1995 ed il 2003 con taglio a metà strada fra il giornalistico e la forma saggio, si rapporta alle ragioni e agli effetti mediati e immediati della guerra globale in un'ottica non già (o non solo) militare, ma economica e culturale. Il processo costituente europeo è ripercorso dall'autore con uno spirito strategicamente guidato dall'«ottimismo della ragione», in forza del quale le resistenze «socialdemocratiche» all'unilateralismo americano da parte di Paesi come Francia e Germania - a cui si somma dal marzo 2004 la Spagna di Zapatero - non vengono né incensate né demonizzate, ma 'strumentalizzate' in una chiave di necessario superamento che favorisca le «reti di resistenza» globale europee. Del resto «non si tratta di contrapporsi all'America, quanto di sviluppare una parola d'ordine di speranza e di emancipazione politica, di dichiarare il multilateralismo imperiale definitivamente superiore all'unilaterialismo imperialista, di costruire un progetto di solidarietà mondiale contro l'egoismo di grande potenza che gli Usa hanno ereditato dal diciannovesimo e ventesimo secolo europei» (pp. 136-137).

Rivisitando in chiave critica riflessioni condotte da altri - Cacciari e Balibar in testa - Negri ribadisce la tesi di una «costituzione imperiale» del pianeta, in cui principio monarchico-militare e principio aristocratico-capitalistico - la potenza militare statunitense e la pressione delle élites del capitale al di qua e al di là dell'Atlantico - stringono alleanze sempre nuove per l'egemonia sull'approvvigionamento delle fonti energetiche, sui mercati in espansione, nonché sulla sfera culturale. Dietro il vessillo di una resistenza radicale e anticapitalistica si fa dunque strada una soggettività organizzata autenticamente democratica la quale, talvolta identificata con quel proletariato post-moderno e globale che si raccoglierebbe intorno ai networks telematici e alla produzione intellettuale - il precariato cognitivo -, sfuma più spesso nei contorni evanescenti della moltitudine. È la liquidazione della democrazia partecipativa.

Paola Persano