2005

G. Deleuze, Spazi nomadi. Figure e forme dell'etica contemporanea, "Millepiani" n. 28 nuova serie, DeriveApprodi, Roma 2004, pp. 224

La rivista Millepiani continua la sua attività con una nuova serie edita dalla casa editrice DeriveApprodi e inaugurata dal numero 28 dedicato alle figure e alle forme dell'etica contemporanea. Dopo dieci anni di lavoro, il progetto è giunto a un punto di approfondimento che concerne la necessaria riflessione sulle dinamiche di soggettivazione nel contemporaneo, sugli ambiti di ricerca, filosofica ma non solo, sin qui articolati/disegnati. Il nomadismo teorico di questo lavoro collettivo - che ha posto come etico e imprescindibile il riconoscimento di tutti i contributi incontrati lungo il percorso - induce a rivolgere lo sguardo con rinnovata curiosità al cosiddetto mondo sociale e a individuare nuovi orizzonti di indagine. Pur incrociando il suo cammino con quello di DeriveApprodi, Millepiani mantiene la piena autonomia del proprio progetto, volgendosi a quell'etica della libertà che riguarda intimamente la pratica filosofica e si distingue dalle morali minori che accettano la status quo e misurano il proprio progetto su questioni di immediato interesse. Utopia? Forse sì, quella degli eredi del filone radicale di pensiero che da Machiavelli, attraverso Giordano Bruno, Spinoza, Marx, Nietzsche, Foucault, Deleuze e altri, spinge a cercare l'ininsegnabile e a esplorare un mondo a venire.

Il volume si apre con due interviste a Deleuze, raccolte verso la fine degli anni Sessanta. Dove Gilles Deleuze parla di filosofia compare un riferimento importante allo spazio nomade che dà senso all'intero volume, nella misura in cui secondo il filosofo ogni volta che si scrive si fa in realtà parlare qualcun altro poiché, al di là della figura ormai desueta dell'individuo, scopriamo invece un mondo di singolarità pre-individuali, impersonali non riconducibili a degli individui, né a delle persone o a un fondo senza differenza, ma singolarità mobili che abitano uno spazio nomade (p. 9). Non bisogna leggere qui la mera esaltazione della spontaneità sostenuta negli anni Sessanta: Deleuze vuole sottrarsi all'alternativa squisitamente filosofica tra l'individuo, la persona e le potenze anonime, indifferenziate che rischiano di precipitare il soggetto nei baratri senza ritorno della droga o della follia. Il pensiero occidentale ci ha mantenuto a lungo nell'alternativa tra il considerarsi individui (mondo classico), persone (mondo romantico), o raggiungere un fondo anonimo indifferenziato. La contemporaneità ci permette invece di uscire da questo aut aut, perché se la filosofia ha soprattutto il compito di far parlare le istanze sociali, queste corrispondono oggi a delle singolarità: la filosofia non fa esistere queste istanze, le fa parlare; ma esse esistono e sono prodotte in una storia, e dipendono esse stesse da rapporti sociali (pp. 11-12).

Non è pertanto un caso che il primo numero di questa nuova serie apra misurandosi sul terreno dell'etica con Deleuze, che bene introduce la tematica del soggetto-ambiente: soggetti che si articolano in territori artificiali, in continuo cambiamento. È quanto emerge dall'intervento di Tiziana Villani, che affronta le mutazioni del corpo-territorio nel tempo dell'adesso a partire dalla ri-configurazione dell''ethos' urbano. L'autrice denuncia le disastrose conseguenze che il mutamento dello spazio urbano implica sull'etica, inquadrando questa crisi come problematica ambientale. L'impoverimento e la volgarizzazione dell'esistenza, che prescinde da ogni connotazione di classe, riduce a "plebe mediatizzata" l'uomo urbano della contemporaneità, generando l'implosione dei conflitti, la disarticolazione dei legami di solidarietà (p. 53). La ricaduta etica dell'attuale egemonia omologante dei processi di urbanizzazione risulta a tal punto devastante da aprire tuttavia nietzscheanamente alla possibilità di una trasvalutazione di tutti i valori: laddove le difficoltà a stabilire legami di co-appartenenza si fanno sempre più evidenti, e dove il disinvestimento sui progetti e desideri futuri s'intensifica sempre più, può insomma scattare una modalità diversa di stare al mondo. Proprio quanto lascia intravedere Thierry Paquot nel suo attento studio di un nuovo immaginario parigino, con l'acuta analisi della banlieue così come emerge dall'universo cinematografico recente: pur "grigia" e "plumbea" con i suoi impersonali edifici giganteschi, può rivelare dei territori fuori del gioco sociale di cui qualche raro abitante si appropria, in senso forte, cioè diventa 'altro' a contatto di questo territorio (p. 78).

Sophie Body-Gendrot e Dominique Duprez compiono invece un'attenta disamina su Come gestire le paure nella città, insistendo sulla differenza tra la percezione dell'insicurezza e l'insicurezza reale e rilevando quanto fattori quali la disoccupazione, la precarietà, l'immigrazione e la crisi d'identità sociale in genere si riflettano a livello delle inquietudini individuali. La città, riferimento familiare ed emblematico delle ansie suscitate da queste trasformazioni - politiche, economiche e socio-spaziali - individua negli abitanti dei quartieri ghettizzati non soltanto gli autori, ma anche le vittime, della violenza metropolitana. Su questo sistema di relazioni uomini-spazi-patologie fornisce un punto di vista illuminante Patrizia Mello cercando, anche grazie al commento dell'installazione di Laurie Anderson Dal vivo (una sorta di evasione "virtuale" di un detenuto dal carcere di San Vittore), di restituire un carattere pubblico alla sofferenza, in modo da giungere a nuove e fruttuose vie di fuga: tradire la natura del luogo dove si abita, evaderla, può voler dire ri-scrivere i confini altrove, valutarne una nuova portata emotiva (p. 120). In tal modo si prefigura la possibilità, per un'architettura 'nonlineare', di procedere dallo spazio effettivo allo spazio affettivo, anche a partire da un'interpretazione positiva delle potenzialità insite nella dimensione virtuale aperta dalla progettazione computerizzata.

Ma l'intervento che più di tutti si concentra sulle trasformazioni che si realizzano nella fase attuale di sviluppo del capitalismo è quello di Ubaldo Fadini, che analizza l'inclinazione cronofaga (G. Paolucci) del mondo attuale la quale, lungi dal mobilitare le energie sociali per meglio assumere il tempo e lo spazio come componenti essenziali all'agire, le annulla tragicamente. Sì, perché alla compressione spazio-temporale (D. Harvey) che fa oggi del mondo un villaggio globale delle telecomunicazioni, alla mutazione antropologica dovuta agli effetti di una tensione verso la rapidità che modifica drasticamente le coordinate spaziali della vita personale, si può affiancare anche il motivo della "adesione attiva dei soggetti" al modello vincente della "accelerazione autocostretta" (p. 100), destinata a rendere sempre più flessibile il "carattere" delle persone (R. Sennett). Di fronte a tale sconsolante scenario contemporaneo, caratterizzato dall'accelerazione del vuoto (J. Baudrillard) che trasforma quella attuale in una società dell'insoddisfazione (A. Heller, F. Feher), la proposta etica di Fadini fa appello a una rinnovata forma di responsabilità atta a riguadagnare uno "sguardo temporale" sul reale, rendendo fluido e resistente alle sovradeterminazioni di segno patologico il rapporto tra un tempo sociale sempre più accelerato e frammentato, e un tempo interno interiore mediato da vissuti e fantasie, avverso ad ogni misura costrittiva esterna" (p. 105). Soltanto ri-temporalizzando l'agire, ri-umanizzando il divenire, è insomma possibile resistere alla de-temporalizzazione della società dell'accelerazione, anche e soprattutto grazie al riconoscimento della multi-appartenenza sociale, un'appartenenza mobile (P. Zafirian) che consente un'articolazione fluida delle più disparate competenze e dei saperi più diversi in vista del bene (anzi, con Spinoza, del buono) sociale.

Con Augusto Ponzio e Susan Petrilli due dilaganti disturbi del comportamento come l'anoressia e la bulimia vengono messi in relazione con la fame nel mondo globalizzato. Ponzio esordisce inquadrando il discorso come specifico della semiotica in quanto semioetica, che della semiotica medica, riprende l'interesse per lo studio dei sintomi, al fine di fare stare bene la vita, e la vocazione all'ascolto (p. 141). I parametri che collegano la situazione esistenziale dell'anoressia-bulimia con la semiotica del dialogo e dell'intercorporeità (semioetica) sono il sintomo e la cura, l'ascolto e l'alterità, termini chiave che vengono ripresi da studiosi come Lévinas, Bachtin o Lacan. A partire da un articolato panorama concettuale, la struttura dialogica dell'io e l'impossibilità dell'indifferenza all'atro sono ricondotte al carattere strutturalmente linguistico della coscienza e dell'inconscio, che fanno dell'anoressia-bulimia un discorso-scappatoia volto a rendere possibile la separazione dall'altro, proprio rifiutando ciò per cui maggiormente se ne dipende, il cibo: la magrezza diviene segno della propria capacità di resistere al vuoto dell'altro, anzi di poterlo gestire (p. 144). È chiaro che il canone corporeo oggi imperante - quello di un corpo unico, autosufficiente, individuale e chiuso in se stesso - ci rende sempre più dipendenti dallo sguardo e dalla parola altrui, consegnandoci a una logica essenzialmente dialogica. Prolungando il ragionamento Petrilli parte dalla fondamentale distinzione della fame in vissuto semiostico (risposta chimico-fisica alla fame) e vissuto semiotico (sua espressione nella materia linguistica), che consente di sottolineare il carattere sociale della fame: espressione avvertita in riferimento a qualcuno (p. 148). La denuncia forte che ne emerge è che la fame nel mondo non trova oggi un'adeguata espressione, non tocca cioè il livello semioetico dell'uomo: la vera pace, come rapporto di non-indifferenza all'altro, in contrasto con la finta pace delle guerre, è possibile solo in base a questo vissuto specificamente semiotico, specificamente umano, del sentire la fame dell'altro (pp. 154 e 155).

Katia Rossi