2009

C. Formenti, Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, ISBN 978-88-6030-165-9

Nella prima parte del suo lavoro, che ha come obiettivo generale la descrizione delle forme di aggregazione politica determinate dalla rete, Formenti cerca di capire se nell'ambito del capitalismo informazionale oggi dominante sia possibile scorgere una nuova identità di classe antagonista e, se sì, che tipo di caratteristiche essa debba avere. Per ottenere questo scopo l'autore si confronta con numerosi pensatori, a partire da Benkler e Castells che, pur partendo da presupposti ideologici differenti (il primo è un neoliberista convinto, mentre il secondo sostiene la compatibilità tra la new economy e forme di socialdemocrazia avanzate), finiscono entrambi per rinunciare all'idea stessa di classe. Tutti e due infatti sostengono che il mondo attuale è organizzato in reti, i cui nodi, in ultima analisi, altro non sono che gli individui. Benkler giunge a elaborare un'idea estrema di individualismo, mentre Castells difende un "individualismo in rete" (p. 15). Entrambi gli autori finiscono però per negare la ricomposizione degli individui sotto un concetto forte come quello di classe. Tale concetto è invece ripreso da altri autori, che lo declinano però in termini differenti rispetto all'originale marxiano. Florida, Mckenzie, Berardi, Revelli e lo stesso Formenti nei suoi lavori precedenti, assegnano un ruolo particolare ai cosiddetti lavoratori della conoscenza, eredi dell'etica hacker, nata insieme alla rete nella ristretta cerchia di intellettuali che l'aveva ideata e costituita. Tale etica, che negli anni '60 del Novecento si era mescolata con facilità alle lotte del Free speech movement nei campus americani, prevede una forte difesa della libera espressione e, come correlato immediato, la critica radicale alla proprietà intellettuale. D'altra parte, gli adepti dell'etica hacker sono caratterizzati da "individualismo", forte "spirito competitivo", "elitarismo", "ambiguità ideologica" e, soprattutto, anche in funzione dello spiccato individualismo, da "scarsa o nulla propensione alla partecipazione politica" (p. 45-6). La classe dei lavoratori intellettuali è insomma, nei termini hegeliani usati da Formenti, una classe in sé, ma non una classe per sé. Essa presenta infatti una serie di caratteristiche che accomunano gli individui che ne fanno parte, i quali però sembrano impossibilitati ad acquisire coscienza di sé come classe ed agire di conseguenza.

Particolare attenzione è dedicata poi da Formenti al concetto di moltitudine elaborato da Hardt e Negri, secondo i quali la dissoluzione della classe operaia altro non sarebbe che l'esodo dei lavoratori verso forme di produzione altre rispetto alla produzione industriale di massa e fondate essenzialmente su comunicazione, linguaggio e, in ultima istanza, emozioni e sentimenti. In tale contesto la forma capitalistica rimarrebbe come una sorta di parassita dell'intelligenza collettiva e quindi il conflitto dovrebbe avere come suoi attori il capitalismo astratto e la moltitudine stessa. Anche l'analisi di Hardt e Negri presenta però, secondo Formenti, dei problemi: il capitalismo delineato dai due autori di Impero sembra infatti un'entità sfuggente, che non offre reali punti di riferimento ad una moltitudine la quale, d'altra parte, riproducendo di fatto proprio i meccanismi dell'individualità in rete, non sembra in grado di elevarsi al ruolo di soggetto rivoluzionario.

La seconda parte di Cybersoviet è dedicata da Formenti all'analisi della crisi dello stato-nazione e alla colonizzazione dello spazio pubblico operata da vecchi e nuovi media. Tale analisi è portata avanti, come nella prima parte del volume, tramite l'analisi delle tesi di autori che si sono occupati di tali problemi in modo significativo. L'attenzione di Formenti si concentra quindi di nuovo su Hardt e Negri, che nel descrivere l'Impero mettono l'accento su un potere delocalizzato e strutturato come una vera e propria rete in cui si sovrappongono enti internazionali, multinazionali economiche, stati nazionali, ONG, associazioni e singoli. Ulteriori elementi di analisi derivano poi da Beck e Appadurai. Il primo delinea un ideale cosmopolitico che pone in primo piano la questione dei diritti individuali, mentre il secondo si sofferma sui processi di ibridazione e circolazione dei diversi immaginari, favoriti dai nuovi media. Proprio il discorso di Appadurai consente a Formenti di passare all'analisi del rapporto tra nuovi media e sfera pubblica, rapporto che nell'ambito della letteratura critica viene ricondotto, pur con numerosissime sfumature, essenzialmente a due possibilità. Se tutti sono infatti d'accordo nel constatare che i nuovi media hanno avuto un pesante impatto sulla sfera pubblica ridefinendola completamente, diverse sono però le conclusioni. Alcuni parlano di una sorta di nuovo totalitarismo strisciante che sarebbe legato all'annullamento del confine tra spazio pubblico e spazio privato, mentre altri immaginano in termini quasi utopici una vera e propria rivoluzione della politica, conseguente proprio alla diffusione dei nuovi media.

Nella terza parte del volume Formenti cerca di tirare le fila del discorso condotto nelle parti precedenti: preso atto del fatto che le tradizionali identità di classe, così come i luoghi classici del conflitto, ovvero gli stati nazionali, si stanno progressivamente dissolvendo e che i nuovi media stanno ridefinendo lo spazio pubblico e lo spazio privato, tali elementi sono da considerarsi come un passaggio catastrofico o come un'opportunità di trasformazione rivoluzionaria del reale? Per cercare di rispondere a questa domanda l'autore di Cybersoviet prova a mettere in relazione gli esperimenti di democrazia diretta realizzati nell'ambito delle lotte operaie del secolo scorso (soviet, consigli operai, etc.) con le nuove forme di partecipazione democratica che la rete sembra poter offrire. Confrontandosi anche con il pensiero di Weber e, soprattutto, con quello della Arendt, Formenti cerca di tracciare un parallelo tra la cultura politica statunitense (dove nasce e si forma il web), caratterizzata dalla partecipazione dal basso e dal rifiuto del professionismo della politica e quelle esperienze europee (come i soviet prima della bolscevizzazione o i consigli tedeschi), che avevano portato con sé una ventata di novità rivoluzionaria, segnando profondamente quei movimenti di lotta che cercavano di emanciparsi dall'egemonia dei partiti istituzionali. L'esperienza statunitense della partecipazione dal basso, rinvenibile in gran parte nell'etica hacker che ispirava gli ideatori della rete, unita alla cultura politica europea, può essere la chiave di volta per capire quali istanze di carattere rivoluzionario siano rintracciabili nelle maglie di internet. Le forme di associazione in rete sembrano infatti ricalcare proprio i modelli della democrazia di base ed è per questo motivo che, con una felice provocazione, Formenti sceglie di definire queste esperienze come cybersoviet. Nella conclusione della terza parte del suo libro, tuttavia, Formenti smonta preventivamente ogni facile entusiasmo. Proprio gli spazi di democrazia in rete tendono progressivamente ad essere marginalizzati, investiti dall'onda di quello che l'autore definisce cyberpop. Negli ultimi anni il web è stato infatti attraversato da un imponente processo di commercializzazione e di massificazione, oltre che da una progressiva normalizzazione di carattere politico/culturale. La rete sembra sempre più il luogo privilegiato della nuova net economy, di cui pare condividere gli esiti liberisti, e sempre meno quello spazio libertario che poteva fare da tramite tra le rivendicazioni rivoluzionarie e la cultura della partecipazione politica dal basso.

Strettamente connessa agli esiti pessimistici della sua analisi è quindi anche la critica che Formenti rivolge, nella quarta e ultima parte del suo libro, ad una serie di miti che si sono diffusi tra gli apologeti della rete. Il primo di questi miti è l'idea che internet non possa essere controllato. Per smontare questa tesi Formenti fa notare come l'idea della struttura essenzialmente anarchica della rete sia stata ereditata dalla cultura hacker in maniera del tutto acritica. I primi adepti di tale cultura avevano infatti una conoscenza perfetta della rete dal punto di vista anche tecnico, mentre gli attuali utenti del web si limitano ad utilizzare uno strumento di cui, nella maggior parte dei casi, non conoscono i meccanismi di funzionamento. Gli inesperti non si rendono conto di come i gangli della rete non siano più controllati da comitati di ingegneri imbevuti di ideologie libertarie, ma siano sempre più nelle mani dei governi che, grazie alla complicità delle industrie dell'alta tecnologia, riescono ad applicare un concreto controllo sui nuovi media. L'idea che la rete sia esente da qualsiasi forma di controllo non convince Formenti, che vede invece nel suo assetto attuale una sorta di stato di natura virtuale dominato dalla legge del più forte e oppone a tale deriva la proposta di creare comitati di autocontrollo degli utenti della rete.

Il secondo mito con cui si confronta l'autore è l'idea che la trasparenza mediatica, enormemente amplificata dalla rete, sia sempre buona. Chi afferma ciò parte dall'ideale di una trasparenza asimmetrica, per cui il cittadino può controllare con maggiore facilità vizi e incongruenze dell'operato dei propri governanti, ma non viceversa. Tale opinione non tiene tuttavia conto del fatto che la trasparenza è aumentata enormemente per quanto riguarda le personalità pubbliche, ma che i nuovi media hanno allo stesso tempo reso molto più facile controllare proprio i cittadini, che peraltro, costantemente alla ricerca del quarto d'ora di notorietà, spesso non vedono l'ora di raccontarsi in blog e diari in rete.

L'ultimo mito che Formenti critica è quello secondo il quale lo sciame degli utenti della rete è sempre intelligente ed opera inconsciamente rivolgendosi verso il meglio. A questo proposito l'autore nota come gli utenti della rete siano divisi tra una minoranza colta in grado di utilizzare con competenza e in profondità lo strumento telematico ed una grande maggioranza di utenti che si limita ad accedere al web per divertimento e consumo. Tale situazione e il fatto che i principali motori di ricerca diano come siti privilegiati quelli più cliccati, fa sì che la rete finisca per riprodurre le meccaniche sociali presenti nel mondo reale, favorendo per esempio le grandi concentrazioni economiche o gli esperti più pubblicizzati. Lo sciame degli utenti della rete insomma, lungi dal misurare oggettivamente la qualità dei contenuti del web dirigendosi grazie ad una sorta di istinto verso il meglio, finisce invece per accreditare indici di popolarità, secondo un meccanismo già ben presente nei media televisivi, favorendo una sorta di cyberpopulismo virtuale.

Valerio Martone