2005

U. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell'epoca postnazionale, il Mulino, Bologna 2003, ISBN 88-15-09451-2

In questo volume Beck ha raccolto per il pubblico italiano (a eccezione del primo capitolo inedito) una serie di saggi precedentemente apparsi su riviste internazionali, pubblicazioni collettanee e atti di convegni. I saggi qui editi sono stati redatti in un periodo che va dal 1998 a oggi e risultano accomunati dalla medesima preoccupazione teorica di elaborare un paradigma per le scienze sociali capace di rispondere ai profondi mutamenti geo-politici che i processi di globalizzazione hanno imposto alle nostre società. Tali mutamenti, com'è noto, vanno sotto il nome di crisi dello stato nazione, progressiva esposizione delle società a rischi planetari, conflitto tra la dimensione post-nazionale e la dimensione locale della normatività politica.

Difficilmente alla parola cosmopolitismo un lettore un po' accorto non penserà ai celebri saggi di Kant Sulla pace perpetua, Idea per una storia universale e alla concezione cosmopolita della società che da quel momento non ha smesso di dominare la riflessione politica occidentale. Si rende quindi necessario un chiarimento preliminare. A rischio di semplificare eccessivamente la questione sarà necessario distinguere tra due 'concezioni' del cosmopolitismo. Secondo la prima, alla quale accennavamo sopra e in cui ritroviamo l'eredità del pensiero politico kantiano, il cosmopolitismo ha una valenza ideale e normativa allo stesso tempo. L'idea di un mondo in cui regni una concordia tra gli stati risulta cioè un'ideale a cui tendere e in base al quale regolare la nostra prassi politica, sebbene esso non poggi su delle condizioni fattuali stabilite dal diritto internazionale. Questa idea determina quindi una concezione progressiva della storia che arriva a riconoscere nell'estensione della statualità oltre i confini nazionali la sua logica interna.

All'interno di questa visione del cosmopolitismo, sospesa tra posizione ideale e progetto normativo, potremmo far rientrare varie prospettive teoriche che hanno caratterizzato il diritto internazionale e il pensiero politico fino a oggi.

A differenza di questa posizione, che affonda le proprie radici nel pensiero politico tardo illuminista, la posizione di Beck è influenzata in buona parte dal prospettivismo gnoseologico contemporaneo il cui padre putativo è, tra gli altri, Nietzsche. Beck intitola la premessa al suo libro 'Lo sguardo cosmopolita'. Egli pensa cioè, come chiarisce in queste prime pagine, a un sorta di rivoluzione gnoseologica alla quale le scienze sociali dovrebbero sottoporsi abbandonando una sorta di 'nazionalismo metodologico'. Il manifesto programmatico che dovrebbe riassumere questo cambio epocale di prospettive implicherebbe quindi una rivoluzione metodologica che consenta di eludere l'ancoramento nazionale come presupposto di ogni comprensione delle nostre realtà sociali. Questa posizione non implicherebbe una diminuzione della capacità interpretativa della realtà effettuale ma comporterebbe, al contrario, un maggiore realismo che, pur tenendo in considerazione l'esistenza di quei confini politici, giuridici e sociali che caratterizzano il nostro vivere in comune, ci consentirebbe di eluderne il 'carattere vincolante'.

Vediamo quindi come quella duplicità - contraddizione direbbero alcuni - che abbiamo visto agire nella visione kantiana di cosmopolitismo dovrebbe risultare superata. Infatti i principi che dovrebbero ispirare lo sguardo cosmopolita 'possono essere intesi in termini normativo-filosofici ma anche empirico-sociologici'. L'universalismo presupposto nella logica statuale, seppure nella sua declinazione internazionalista, deve quindi essere sorpassato e il cosmopolitismo metodologico può fornire gli strumenti per compiere questo sorpasso. Ma come? La questione si fa qui più problematica, nonostante la sicurezza ostentata da Beck. Egli enumera infatti alcuni degli aspetti tipici della globalizzazione, utilizzandoli poi come elementi già di per sé sufficienti per definire il passaggio a un paradigma post-nazionale. Certo non prospetta una realtà già conciliata o conciliabile in senso assoluto, parlando al contrario di una 'società globale del rischio', dove il confine tra guerra perpetua e pace perpetua viene a rappresentare l'orizzonte stesso imposto alla 'seconda modernità'. Importante è sottolineare che Beck, in questa distanziamento presunto dai presupposti nazionalistici della teoria sociologica, sembra manifestare una sorta di vizio originario delle scienze sociali. Egli pensa alla realtà sociale globale come a qualcosa di concepibile in sé e per sé. Uno volta che tale realtà risulti radicalmente mutata nei suoi assetti fondanti sarà quindi sufficiente un rinnovo dei nostri strumenti ermeneutici per seguirne il mutamento. Se ne deduce quindi una visione della conoscenza sociale come adequatio rei intellectus, che implica una concezione ingenuamente positiva del sapere da un lato, con l'ambizione di stravolgere i paradigmi classici delle scienze sociali dall'altro.

In altre parole l'elemento diagnostico e l'elemento narrativo risultano spesso confusi e questo comporta un sorta di ottimismo dell'analisi che incespica nell'individuazione del nesso fra teoria e realtà sociale. Ciò non toglie che molte delle considerazioni presenti nel libro siano di forte interesse e ricche di spunti. In uno dei capitoli centrali dedicati alla democrazia nell'epoca della globalizzazione, Beck contrappone la concezione del politico nazional-statuale della prima modernità a una società globale profondamente im-politica. Ma questa presunta impoliticità della società globale manifesta, proprio nel deficit di rapprentatività apertosi al di là dello stato-nazione, nuove potenzialità. L'indeterminazione diviene la condizione stessa del fare politica. L'orizzonte del politico, svincolato della logica dell'appartenenza nazionale, diviene capace non soltanto di agire e determinare scelte collettive all'interno di un sistema di coordinate definite ma può ambire a creare le condizioni stesse del suo agire proprio in virtù dell'assolta impoliticità dello spazio globale. All'interno di questo nuovo quadro, sottolinea ancora l'autore, l'immaginario diviene un elemento essenziale del politico capace di fornire un trait d'union tra l'ormai ineludibile indeterminazione dell'agire e la creazione delle proprie condizioni di possibilità.

Per finire quindi, il libro di Beck risulta ricco di suggestioni. Esso mette in luce come la globalizzazione sia divenuta l'orizzonte stesso del fare politica e come questo mutamento non possa che incidere in misura sostanziale sul nostro armamentario teorico. Quello però che l'autore suggerisce rischia, per una sorta di idiosincrasia, di restare schiacciato dalla gravità e dall'urgenza dei problemi da lui sollevati.

Nicola Marcucci