2006

S. Žižek, Contro i diritti umani, Il Saggiatore, Milano 2005, pp. 78, ISBN 8842813419

Se Saul Bellow avesse conosciuto Slavoj Žižek l'avrebbe senza dubbio annoverato nella schiera dei mastermind. Non certo per il fatto che Žižek non sappia quel che dice (Bellow lo diceva del mastermind per antonomasia, Sartre), ma per la sua capacità di incidere nel dibattito pubblico con il suo prolifico e incessante lavoro, non privo peraltro di ripetizioni.

Il saggio qui recensito - pubblicato originariamente sulla New Left Review - riprende le riflessioni svolte dall'autore nel breve Diritti umani per Odradek?, e ne amplia - seppur di pochissimo - la portata.

Secondo lo studioso sloveno, l'appello al rispetto dei diritti umani si fonda, nelle società 'liberal-capitalistiche', su tre presupposti: che i diritti umani si oppongono al fondamentalismo; che essi comprendono due fondamentali diritti quali la libertà di scelta e il diritto di dedicare la propria vita alla ricerca del piacere (la jouissance); che i diritti umani sono un argine contro l'"eccesso di potere" (p. 11). Žižek, partendo da tale evidente rovesciamento della prospettiva - egli elenca come l'ultimo dei tre presupposti proprio quello che sta all'origine dei diritti tout court -, nel saggio sostiene che il fondamentalismo è il frutto avvelenato dell'Occidente. Nei Balcani, per esempio, il 'fondamentalismo' è il risultato di una hegeliana 'determinazione riflessiva': "Da dove hanno avuto origine [...] i tratti fondamentalisti [...] che ora l'Occidente associa a 'i Balcani'? Evidentemente dall'Occidente stesso" (p. 15). E Žižek corrobora tale tesi con alcune testimonianze storiche della tolleranza (soprattutto in materie religiose) dei dominatori Turchi. Peraltro, sebbene esistano testimonianze in senso opposto (Ibn Jubayr, viaggiatore musulmano, diceva di preferire il dominio franco a quello musulmano), già Abelardo aveva accarezzato l'ipotesi di trasferirsi tra i musulmani per vivere da vero cristiano in una terra tollerante.

Il secondo dei tre presupposti elencati contiene una biforcazione. Per quanto riguarda la libertà di scelta, Žižek sostiene che essa diviene accettabile, nel contesto delle società occidentali, solo nella misura in cui collima con le opzioni etiche e culturali di tali società. Il caso è quello del velo islamico. Esso, come segno di appartenenza, è deprecato nel caso in cui sia indossato per imposizione della famiglia o del marito. Quando però la donna sceglie autonomamente di portarlo, esso 'magicamente' perde il suo valore simbolico di traccia dell'appartenenza culturale e religiosa, e diviene "un'espressione di individualità idiosincratica" (p. 22). Tanto che, alla fine, "solo la donna che sceglie di non portare il velo compie effettivamente una scelta" (pp. 22-23). Per quanto invece attiene alla jouissance, secondo Žižek essa viene affrontata in modo diverso ma simmetrico dalla cultura occidentale e da quella 'fondamentalista' musulmana dedita al 'culto' feticista del burqa: "i due poli hanno in comune un approccio strettamente disciplinare, seppure con orientamenti diversi: i 'fondamenalisti' disciplinano il modo in cui le donne devono apparire per prevenire la provocazione sessuale; i femministi liberali politicamente corretti impongono una non meno severa regolamentazione del comportamento tesa a limitare le molestie" (p. 31), vera e propria ossessione delle società capitaliste avanzate. Peraltro l'ossessione per le molestie è, continua Žižek, la spia del rovesciamento del concetto di tolleranza nel suo opposto, inteso come 'rifiuto' del 'contatto' con l'altro: "il mio dovere di essere tollerante nei confronti dell'altro in realtà significa che non devo avvicinarmi troppo a lui" (p. 32).

Infine, nell'analisi dell'ultimo dei tre presupposti alla difesa dei diritti umani (la loro funzione di argine contro il potere), Žižek ritiene che ogni forma di potere si enuclei nel suo doppio, un 'supplemento osceno' di potere che ha iscritto in se stesso la violenza. Il linguaggio dei diritti non scardina tale supplemento, ma anzi lo fa - in qualche misura - proprio: "a livello del lato nascosto superegoico, il messaggio pubblico della responsabilità [del politico] ha come supplemento il messaggio osceno dell'esercizio incondizionato del potere" (pp. 44-45), e questo eccesso osceno è costitutivo del concetto stesso di sovranità.

La pretesa 'neutralizzazione' della politica attraverso i diritti è il filo rosso che lega le varie parti del saggio, fino a giungere alla discussione specifica sui diritti umani. Qui Žižek, riprendendo la critica a Ignatieff e al suo umanitarismo, sviluppa temi tipici della riflessione di Hannah Arendt ripresi da Étienne Balibar: la riduzione del soggetto a nuda vita (homo sacer) lo priva della sua identità sociopolitica. Orbene, quando ciò avviene, il soggetto diviene veramente 'umano', e tuttavia proprio in quel preciso istante esso cessa -- paradossalmente - di essere riconosciuto o trattato come umano, e torna alla sfera della pura, nuda vita. Dunque i diritti umani sono inutili, in quanto essi riguardano un soggetto che non può più servirsene. L'Occidente, secondo Žižek, usa i diritti umani con i panni vecchi: li dà ai poveri del mondo, ai soggetti spogliati della loro identità sociopolitica. In questo modo, i diritti inutilizzati tornano (secondo lo schema lacaniano della comunicazione) al mittente, e lo autorizzano a intervenire militarmente per garantirne la tutela.

Infine, Žižek si concentra sul tema dell'universalità. Egli sostiene che, seppur corretto, è euristicamente poco fruttuoso continuare a sostenere che l'universalità in realtà riguarda i bianchi, proprietari, maschi, libero-scambisti; è più interessante capire come essa opera nella realtà, nonostante tali origini spurie. Lavorando su quest'opzione, Žižek - che sposa una versione cosmopolitica dei diritti - sostiene che all'universalità si può applicare il concetto di Lévi-Strauss di 'efficacia simbolica'. In altri termini, non è molto importante denunciare l'etnocentrismo dei diritti, quanto indagare l'efficacia reale di tale finzione simbolica. Dunque, invece che dichiarare la natura 'occidentale' dei diritti, Žižek ritiene sia molto più interessante il processo "attraverso il quale qualcosa che originariamente apparteneva all'edificio ideologico imposto dai colonizzatori improvvisamente viene fatto proprio dai suoi schiavi come mezzo per articolare le loro rivendicazioni 'autentiche'" (p. 72).

Francescomaria Tedesco