2005

G. Chiesa, La guerra infinita, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 177, ISBN 88-07-71001-3

Quello di Giulietto Chiesa è più il libro di uno storico che di un giornalista. L'orizzonte temporale non è quello della lunga durata, ma del breve periodo: dalla caduta del muro di Berlino al dopo 11 settembre; tuttavia, né questo né l'estrema vicinanza degli eventi considerati e l'urgenza delle questioni aperte, impedisce all'Autore di produrre una riflessione lucida e profonda, con grande ricchezza di dati e di riferimenti e con ampia contestualizzazione storico-politica.

Chiesa parla di Impero e di globalizzazione americana, per definire la situazione attuale, ma non si lascia attrarre dalle sirene di una qualche rinnovata filosofia della storia; egli preferisce - da buon storico, appunto - attenersi ai fatti, mettere in fila numeri, dati, dichiarazioni ufficiali. Si inizia con "il decalogo che ha creato l'Impero" (pp. 19-20), cioè con l'insieme dei comportamenti soprattutto economico-finanziari che (dopo la fine degli equilibri della Guerra Fredda) hanno portato alla situazione attuale, nella quale gli Stati Uniti d'America si presentano come i dominatori assoluti del globo, al costo, però, di un odio generalizzato nei confronti della loro politica imperialistica. Questi comandamenti non scritti vanno dal "definisci la tua politica monetaria in base, esclusivamente, ai tuoi interessi nazionali e mantieni gli altri paesi in condizioni di dipendenza dalla tua politica monetaria" al "promuovi con ogni mezzo il libero commercio. Esso varrà per tutti, cioè per gli altri, che non potranno sottrarvisi, mentre tu lo applicherai se e quando ti converrà". Quando queste regole "civili" non sono sufficienti per imporre un dominio incontrastato si ricorre, naturalmente, alla guerra.

Ma c'è guerra e guerra - pensano ad esempio alcuni politici della "sinistra" europea: infatti, c'è una guerra che si esporta sotto le insegne dell'ONU (la prima guerra all'Iraq), c'è una guerra che non ha neppure bisogno dell'avallo delle Nazioni Unite, perché viene sponsorizzata dalla potenza dei mezzi di comunicazione di massa in termini di "intervento umanitario" (la guerra in Kosowo), e c'è infine la famosa "lotta contro il terrorismo", espressione sotto la quale possono finalmente cadere tutti gli interventi militari che interessano la superpotenza americana (la guerra infinita). Chiesa, l'anti-americano, dunque? Niente affatto! L'Autore sa bene che parlare, com'egli fa, di globalizzazione americana e di guerra per il dominio incontrastato del pianeta, implica l'accusa immediata e acritica di anti-americanismo. E proprio per questo egli adotta alcune precauzioni, prima fra tutte, quella di citare a piene mani da fonti critiche americane. Ma quello che è importante in questo libro sono soprattutto, come detto, i dati e i fatti ricordati uno dopo l'altro. Per esempio quelli riguardanti l'11 settembre. Che cosa sappiamo, in effetti, della strage delle torri gemelle - al di là delle propagandistiche affermazioni del presidente Bush? "E' stato [proprio] Osama Bin Laden? Chi se no?" - così recita il titolo di uno dei capitoli più avvincenti del libro. L'Autore non propone soluzioni semplici, ma inanella indizi, problemi, domande, spunti di riflessione, particolari inquietanti; e giunge così, per quanto concerne le responsabilità dell'11 settembre, ad una conclusione ragionevole, per quanto radicalmente alternativa rispetto a quella della propaganda planetaria: "un identikit collettivo potrebbe essere questo: ottimi conoscitori dell'Occidente, altrettanto ottimi analisti della disperazione sociale del Sud del mondo, manipolatori brillanti del fanatismo religioso islamico, molto ricchi, frequentatori dei più esclusivi circoli finanziari, abili gestori dell'insider trading, con accesso a informazioni riservate di carattere politico, diplomatico, militare" (p. 99). Certamente, Osama Bin Laden è un personaggio che possiede molte di queste caratteristiche, dunque può essere tranquillamente considerato uno degli ideatori dell'attentato terroristico alle Twin Towers; altrettanto certamente egli non è l'unico responsabile, né la sua formazione, Al Qaeda, può essere considerata la sola forza impiegata nell'organizzazione dell'attentato - assieme ad essa vanno certamente presi in considerazione pezzi deviati dei servizi segreti, soprattutto americani e israeliani, che attorno all'11 settembre hanno compiuto operazioni quantomeno sospette, come ricorda Chiesa. Anche per questo, la logica della guerra infinita non è riducibile a quella, meramente difensiva, della lotta contro il terrorismo islamico.

Ma se quello della lotta al terrorismo non è motivo sufficiente a spiegare la strategia della guerra infinita, perché questa guerra? Quali sono i veri motivi che spingono gli Stati Uniti (e l'Inghilterra) a considerare oggi la guerra contro l'Iraq un obiettivo assolutamente necessario e indiscutibile della loro politica estera? "Il vero punto all'ordine del giorno - scrive Chiesa - è un nuovo ordine mondiale la cui agenda sia interamente, totalmente definita dall'Impero. I veri obiettivi di questa guerra sono più vasti e lontani [rispetto al dittatore Saddam Hussein]. Sono tre: la Cina, l'Europa e la Russia. Ci si prepara a creare le condizioni perché tutti e tre questi potenziali antagonisti reali siano sottomessi o ridimensionati o distanziati al punto da rendere impossibile una loro eventuale rincorsa" (p. 159). La vera posta in palio della guerra infinita è la costruzione di un'egemonia politica ed economica planetaria. Niente di nuovo sotto il sole della storia, si potrebbe dire: per quanto questa guerra sembri diversa da tutte le precedenti - ci suggerisce l'Autore - in fondo la logica che la governa è la stessa di sempre: quella propria di una politica di potenza.

L'ultima annotazione vorrei rivolgerla ad un problema apparentemente secondario, al quale, invece, giustamente Chiesa dedica un intero capitolo, dal titolo L'Impero penale; la questione è quella delle ripercussioni che la guerra infinita ha sullo stato di diritto americano (ma anche inglese, europeo, etc.) e sulle regole fondamentali del diritto internazionale. Un elemento su tutti: il 13 novembre 2001 l'"imperatore" Bush emana un'ordinanza con la quale vengono istituiti tribunali militari speciali con le seguenti caratteristiche: "potranno giudicare soltanto cittadini stranieri che abbiano preso parte, o cooperato, o anche soltanto coperto, atti terroristici contro gli Stati Uniti o che abbiano gravemente leso gli interessi politici ed economici statunitensi" (p. 105), potranno ignorare le regole minime del giusto processo (presenza di un avvocato, presunzione d'innocenza, diritto ad appellarsi, habeas corpus), potranno celebrare processi in segreto. "La civiltà giuridica finisce qui. Di fatto equivale a rendere permanente lo stato d'assedio proclamato da Bush subito dopo gli attentati" (p. 110).

Paolo Godani