2005

Replica

Pubblichiamo volentieri, con il consenso dell'autore, la replica di Marco Tarchi alla recensione dedicata da Nicola Casanova al suo volume Contro l'americanismo.

1. Trovo curioso che alcuni di coloro che hanno discusso il libro, come Casanova - ma, tanto per citarne un altro, aggiungo Giorgio Galli -, rilevino che escludo dal mio approccio di analisi questo o quell'ambito: l'economia americana, la società americana, la psicologia americana ecc. I testi che compongono "Contro l'americanismo" sono stati scritti con un obiettivo dichiarato ed evidente: sottolineare la dimensione metapolitica dell'azione egemonica che gli Stati Uniti d'America stanno conducendo nel mondo e mettere in luce la strategia di conquista delle coscienze che ad essa è sottesa (e ne costituisce una componente di grande rilievo). Ne consegue che vi ho privilegiato la sottolineatura delle manipolazioni intellettuali e comunicative svolta sia dalle fonti Usa, sia da quanti spendono le proprie risorse in questi campi per favorire il disegno statunitense. Il libro non è né pretende di essere un'analisi delle tendenze (sociali, culturali, economiche, politiche in senso stretto) in atto negli Usa. Ma è, anche se l'editore pensa che definirlo così serva a venderne più copie (mah...), tutt'altro che un pamphlet.

2. Non sono "probabilmente" sostenitore "di un modello policentrico nel quale grandi unità politiche trovino un equilibrio nel rispetto delle specificità culturali". Lo sono certamente e convintamente, e mi sembra di averne dato ampia testimonianza anche nel libro.

3. Me la prendo con le tesi di Fukuyama, ma anche con chi le ha travisate e liquidate, quasi che F. avesse presupposto l'estinzione immediata dei conflitti in ogni parte del mondo (l'ho sentito dire e l'ho letto in infinite occasioni). Non è così; quel che egli intendeva per "fine della Storia" era la produzione, da parte del genere umano, del miglior modello possibile di organizzazione politica della società: l'insuperabile modello liberale, che avrebbe finito per imporsi prima o poi, con un metodo o con un altro, in tutto il mondo. E' questa filosofia quella che sottende l'azione che gli Usa stanno conducendo, militarmente e intellettualmente, oggi nel mondo. Un'azione che certamente non si arresterà all'amministrazione Bush, ma proseguirà in altre forme e con molti altri alleati e sostenitori. Ed è contro questa filosofia della storia che io, da antideterminista convinto e da critico di molti aspetti del modello liberale, mi schiero. Se "Contro l'americanismo" avesse una circolazione ampia - del che dubito, perché l'ambiente che speravo volesse e potesse sostenerne la diffusione mi pare psicologicamente demotivato e rassegnato a svolgere il ruolo di puro spettatore degli eventi -, le argomentazioni che vi sono racchiuse, credo, potrebbero aiutare a reagire all'accettazione passiva del "fukuyamismo" che da oltre un decennio sta facilitando il compito dei fautori del nuovo Impero.

4. Non so se gli Usa si trasformeranno nel nemico comune degli europei. Mi limito ad affermare che mai, nella storia, si è creata un'unità politica di grandi dimensioni per via di aggregazione volontaria di unità più piccole, senza che il movente di questa fusione fosse il timore di un nemico comune che andava affrontato insieme. Per l'Unione Europea, credo, il problema si riproporrà. E non dubito che molti le additeranno come nemico comune l'Islam, fondamentalista o meno. Io penso, diversamente da questi molti, che il mondo islamico non abbia alcun desiderio di una "controcrociata" antieuropea, e che se l'Europa non avallasse le politiche statunitensi che a quel mondo sono fortemente ostili, la convivenza fra europei e arabo-musulmani sarebbe pacifica. Constato anche che, da tempo, gli Usa considerano l'Europa una sgradevole concorrente e aprono contenziosi nei suoi riguardi. Per ora, niente di più: non si puniscono i sudditi finché non si ribellano. Il futuro? E' nella mani di Dio...

5. Nel libro non offro alcuna legittimità al terrorismo. Sostengo, argomentando, che quelli che vengono spacciati per atti di terrorismo sono, nella grande maggioranza dei casi (e cioè non in tutti), episodi di una guerra non convenzionale e asimmetrica, motivati dalla sproporzione enorme di armamento dei contendenti. Sono due approcci totalmente diversi, come è ovvio.

6. Criticando la "democrazia da esportazione", non dimentico affatto il tema del libero mandato. Lascio intendere che se ne è abusato allo scopo di rendere la classe dei rappresentanti politici totalmente estranea ad una logica autenticamente democratica. Perché, insisto, o la democrazia è, per ridirla con Sartori, "governo di opinione", o non è. E' un regime liberale, sostenuto da un'ideologia e da un apparato massmediale che ne garantiscono l'autoriproduzione. E quindi è, appunto, un'altra cosa. Affermarlo, non significa "liquidare con due parole" il tema, ma contestarne una lettura prevalente e, in molti casi, interessata e faziosa.

7. Non ho mai apprezzato il "realismo politico" oltre un certo limite, perché so bene che spesso volge in cinismo autogiustificativo. E mi chiedo perché, la "sospensione delle regole democratiche" nei rapporti internazionali debba essere approvata dai sedicenti "realisti" quando è compiuta con l'argomento - o il pretesto - dell'esportazione della democrazia o della tutela (o ristabilimento) dei diritti umani, e condannata in ogni altro caso. Questo non è realismo. E' mistificazione. E utilizzo di mezzi tipicamente autoritari o totalitari, che si imputano agli avversari e si giustificano ai propri fini.

8. Certo che il Progresso è stato anche un'aspirazione liberale. Ma sostenere che il liberalismo e la Destra si identificano sarebbe, immagino che Casanova condivida, una straordinaria falsificazione della realtà. La destra che critico, nella fattispecie (le altre le critico per altri motivi e in altri contesti), è quella che si vorrebbe conservatrice nella mentalità e negli obiettivi ma finisce, senza accorgersene, per aderire al modo di pensare e di agire degli avversari.

9. Come si vede, ai distinguo non sono affatto indifferente. Tutt'altro. Proprio perché, anche quando polemizzo, sul terreno dell'analisi politica (e metapolitica) le scorciatoie del pamplet non mi piacciono. Mi sembra che qualche volta i miei critici non adottino, nell'oppormi le loro lecite controdeduzioni, lo stesso rigore. Peccato.

Marco Tarchi