2005

A. Cantaro, Europa sovrana. La costituzione dell'Unione tra guerra e diritti, prefazione di P. Barcellona, Edizioni Dedalo, Bari 2003, pp. 168, ISBN 88-220-5336-2

Scritto prima che la Convenzione licenziasse il suo «Trattato che istituisce una costituzione per l'Europa», il libro di Cantaro non si interessa tanto di architettura istituzionale, o di particolari norme costituzionali o ancora della differenza fra «vecchi» trattati e «nuova» costituzione (La nuova costituzione europea è, fra le altre cose, il titolo di uno degli ultimi libri dedicati al «caso» Europa, Il Mulino, 2003). L'autore, Jacques Ziller, ha spiegato che l'aggettivo «nuova» si applica alla «costituzione europea» nello stesso modo in cui si attribuisce all'ultimo modello di «Fiat-panda». Come una «panda» esisteva già, così c'era già una «costituzione europea». Anche per l'Europa, quindi, si è trattato solo di produrre nuovi modelli), quanto piuttosto dell'ideologia europea che sottostà alla costruzione costituzionale dell'Europa. Come catalogare, allora, questo volume? Fra quelli appartenenti all'euroscetticismo o all'eurottimismo, fra i sovranisti o gli unionisti, fra i federalisti o i funzionalisti, etc.? In nessuna di queste categorie, apparentemente.

Scrive in proposito Barcellona nella prefazione: «il libro di Cantaro è in controtendenza rispetto alla retorica europeista dei giuristi e dell'establishment intellettuale, che continuano a coniugare l'idea di Europa con il formalismo dei diritti e delle procedure, sino al paradosso di una Costituzione senza Popolo» (p. 7) (La Costituzione senza popolo è il titolo di un altro volume sull'Europa, pubblicato da Enrico Scoditti sempre per le edizioni Dedalo, 2001). Quella di Cantaro è una lettura critica dell'Europa. «L'ostacolo maggiore dell'edificazione di un'Europa autorevole con i suoi popoli e protagonista della scena mondiale s[arebbe] l'Europa stessa» (p. 16): ostacolo da rintracciare nell'ideologia europea, prodotto di un misto di minimalismo sul piano politico e di massimalismo su quello giuridico.

Ideologia che accomunerebbe i militanti sia del partito dell'eurottimismo costituzionale (i c.d. unionisti) sia di quello dell'euroscetticismo (i c.d. sovranisti) (partito, fra l'altro, che non sembra più all'opposizione se si guarda al fallimento - per pochi annunciato, ma non per tutti - dell'ultima Conferenza Intergovernativa): entrambi, infatti, aderirebbero al minimalismo politico, la cui conseguenza è, per i primi, la fede incondizionata nella costruzione dell'Europa attraverso il diritto e i diritti e, per i secondi, la convinzione che l'Europa non si debba dare una Costituzione.

Per minimalismo politico l'a. intende «il progetto di fare dell'Europa una potenza civile, un'entità protagonista dell'ordine globale, senza farne una potenza politica in senso classico, moderno» (p. 17): ovvero anche di costruire un'Europa retta da una Costituzione senza nazione (tema a cui è dedicato il primo capitolo della prima parte, e dove l'interlocutore privilegiato è J. Weiler, convinto sostenitore della bontà, per l'Unione, dell'assenza di qualsiasi «autonomo fattore sociale e culturale di legittimazione, alcuna grandezza collettiva originaria, compiuta, autosufficiente»), senza Stato (cfr. il secondo capitolo, dove l'a., ripercorrendo il passaggio dallo Stato legislativo, o di diritto, allo Stato costituzionale, dialoga con i sostenitori della «separabilità della Costituzione dallo Stato») senza popolo (terzo capitolo, in cui a fare da protagonista è la ormai celebre diatriba fra J. Habermas e D. Grimm, autorevole oppositore dell'idea di Costituzione europea). Quel che accomunerebbe i sostenitori dei «senza» sarebbe la necessità di «sollecitare nell'immaginario collettivo l'esistenza di un potere pubblico europeo senza i classici fondamenti di legittimazione sociali e culturali (la nazione), politici e istituzionali (lo Stato), democratici (il popolo) del costituzionalismo moderno» (p. 57).

Una nuova dottrina della costituzione, dunque, che assume come base di partenza, fondata su dati normativi di ricostruzione dell'intreccio tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario, il multilvel constitutionalism, che raffigura «la Costituzione come catena di legittimazioni, come integrazione tra diversi livelli di governo e tra una molteplicità di istituzioni portatrici tutte di poteri sovrani da esercitarsi in forme condivise e nel rispetto della diversità degli ordinamenti» (p. 63). Un «nuovo costituzionalismo europeo» alla ricerca di un rinnovamento dei concetti e del lessico dello jus publicum europaeum (p. 60), che però rimuoverebbe dal proprio orizzonte il fondamento di legittimazione della costruzione europea. La carenza legittimante non sarebbe colmata, secondo l'a., dal carattere magico della parola «costituzione» (p. 64) né dalla finzione giuridico-filosofica di un «contrat social européen» (p. 62), dal momento che «una costituzione vive come mito fondativo e come mito ordinante quando c'è un mito politico e giuridico che la sostiene» (p. 64).

La seconda parte del volume è dedicata al trionfo del massimalismo giuridico che, secondo l'a., rappresenta il tentativo, da parte degli eurottimisti, di riempire il vuoto lasciato dal minimalismo politico e di presentare «una sorta di antidoto all'opacità istituzionale e alla politicizzazione debole» (p. 20). Il nuovo costituzionalismo rintraccia, in luoghi diversi dalle grandezze di ordine collettivo e dalle entità esplicitamente politico-istituzionali (p. 19), i fondamenti di legittimazione dell'Europa: essi si ritrovano tra «i Trattati che danno vita ad una comunità di valori, i Trattati come Costituzione, i diritti fondamentali come diritti dotati di forza costituente, le tradizioni costituzionali comuni come vissuto e storia comune dell'Europa» (p. 72). La sovranità sarebbe così trasferita all'ordinamento e l'identità etico-politica sarebbe conferita al processo di integrazione europea dai diritti fondamentali: il Trattato costituzionale, come la Grundnorm kelseniana, (pre)suppone allora il problema della legittimazione, lasciandolo però insoluto (pp. 85-86).

La conseguenza di una Costituzione che non esprime alcuna sovranità né nazionale né europea è quella di essere un ordine «che oggettivamente produce comunità deboli, a basso tasso di identità e di efficacia decisionale» (p. 20): dimostrazione di tale conseguenza è stato l'atteggiamento europeo di fronte al conflitto iracheno, che avrebbe dato prova, secondo Cantaro, solo dell'impotenza europea e della sua debole e precaria identità politica. L'Unione, insomma, come ritiene anche l'economista francese Jean-Paul Fitoussi (autore di un altro libro sull'Europa, Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell'Europa, Il Mulino, 2003), avrebbe progressivamente svuotato le sedi della sovranità nazionale, senza però sostituirvi una sovranità europea. E sarebbe proprio l'assenza di sovranità, di un centro decisionale e sovrano, a nuocere «all'obiettivo dell'Europa di pensarsi, finalmente, come una compiuta entità geopolitica, geoeconomica, geoculturale» (p. 162) e a rendere impossibile la creazione di un nuovo attore politico che sia realmente sovrano a livello mondiale, in quanto capace di una sua lettura del mondo globale e quindi di un disegno politico corrispondente al bisogno di un nuovo ordine mondiale. Perché l'Europa sia protagonista del proprio presente e del proprio futuro (p. 22), secondo Cantaro, andrebbe messa al centro la madre di tutte le questioni (p. 166): quella, cioè, della sovranità europea. Andrebbe quindi a tutti i costi salvato il principio della sovranità anche oltre lo Stato.

Preferiamo la "politica dell'im-potenza" teorizzata da Étienne Balibar come perno della antistrategia europea nei confronti degli Stati Uniti (L'Europe, l'Amérique, la guerre. Réflexion sur la médiation européenne, La Découverte, 2003); ma soprattutto preferiamo pensare che se vogliamo l'Europa non possiamo volerla come un nuovo Stato e come una nuova nazione. La critiche all'Unione europea non possono assumere come proprio punto di vista la nostalgia per lo Stato nazione; ma neanche possono riproporre a livello europeo, attraverso la domestic analogy, parole d'ordine identitarie come popolo, Stato o nazione. La protezione del principio di sovranità, come se fosse una specie animale in estinzione di cui bisogna a tutti i costi salvare almeno un esemplare, non può essere il problema fondamentale attorno a cui verificare la consistenza politica dell'Europa, pena il ricadere inevitabilmente nella categoria dei c.d. sovranisti, attraverso cui si era tentato di muovere una critica all'Europa. La dissoluzione della sovranità nazionale, infatti, dovrebbe portare con sé l'estinzione del concetto stesso di sovranità.

Costanza Margiotta