2006

M. Cacciari, Geo-filosofia dell'Europa, Adelphi, Milano 1994, pp. 170, ISBN 88-459-1753-3

Nel corso del XX secolo numerosi importanti intellettuali hanno sviluppato analisi e riflessioni attorno all'idea di Europa, destate certamente dalle vicende epocali di questa fase storica: totalitarismi, crisi della razionalità, unificazione politica. Si possono immediatamente ricordare, a vario titolo, pensatori come Edmund Husserl, Martin Heidegger, Carl Schmitt, Hans Georg Gadamer, Edgar Morin, sino ai più recenti Jürgen Habermas e Jacques Derrida, per tacere di svariata saggistica storica, sociologica e politologica accompagnatasi agli allargamenti dell'Unione europea dell'ultimo ventennio.

Non stupisce, dunque, che uno dei maggiori filosofi italiani, abbia avvertito la necessità di affrontare tale tema in un libro di notevole erudizione. Massimo Cacciari, infatti, con il suo stile, rappresenta molto emblematicamente un'icona di quella che può definirsi "filosofia oracolare".

La geo-filosofia dell'Europa, intrapresa da Cacciari, parte da un tempo remoto, in cui il mare era il monstrum sconosciuto in quel continuum di massa geografica, illimitata ed indistinta, che fu l'origine comune di Europa e Asia. Qui le città erano porti, passaggi attraverso cui incontrarsi senza doversi conoscere. Solo dopo questa fase il mare diventò simbolo dello sradicamento dall'oikos comune. La Ionia greca - la cavalla dorica di Eschilo ne "I Persiani" - affermò la propria individuazione, separandosi dalla cavalla persiana, poiché non sopportava il giogo di Serse. Il testo introduce il lettore a un linguaggio simbolico, di parole "classiche", "antiche", di figure retoriche. L'Europa nasce dal suo rapporto problematico con l'Asia: se è possibile considerare come una forma di Hybris (dismisura) la tendenza dell'Asia a rifiutare ogni connessione, altrettanto irriducibile Hybris fu quella d'Europa di non riconoscersi come parte. La prova dell'origine unica di Europa ed Asia risiede nel concetto di Stàsis, inteso come guerra interiore tra le due parti.

Cacciari osserva le aporie del farsi d'Europa, attraverso il pensiero della Krisis. La Stàsis di Europa e Asia, infatti, non è riconducibile a un Uno immobile. Essa coincide con "l'incessante duello tra Bìa e Kratos, inimicizia ed amicizia, tra furor e pudor, tra Thymòs e Nòos" (p. 103). Dalla Stàsis ha origine sia la necessità del primo Agòn, ossia distinguersi, darsi un'identità per non dissolversi nell'illimitato, sia quella del secondo Agòn, ossia tentare e ritentare l'armonia tra illimitato e limitante, tra identità e differenze.

La libertà greca nasce da questa inimicizia. Ma affinché tale libertà non si trasformi in Hybris violenta e autodstruttiva, è necessario che essa ricordi il Logos comune (tra sé e l'Asia) e fondi il Nomos (la misurazione, la legge) sulla Stàsis.

E' la Stàsis, perciò, che porrà alla filosofia, intesa dall'autore come sapere in evoluzione, senza dimora, ossia "sapere à-oikos, d'Europa" (p. 103), l'elaborazione del problema di "'armonizzare' amore e divisione, affinità ed abbandono" (ibidem). Il Nomos soltanto è possibilità di eleutherìa, ossia di unità armonica dei Distinti. L'Armonia, dunque, contiene Dissidio. Questa è l'aporia fondamentale su cui il filosofo riflette e su cui il pensiero d'Europa si è ripetutamente costituito e disgregato.

E' a partire da tali concetti fondamentali di Stàsis e Nomos che Cacciari delinea la questione della polis greca. Essa è costituita di elementi eterogenei che devono conservare la loro diversità. "È un complesso di proprietà e di virtù specifiche, non una famiglia di uomini tutti buoni" (p. 30). Per tali ragioni il filosofo veneziano ricorda che nel pensiero di Platone, primo filosofo della polis, non esiste alcuna Utopia di costituire l'idea unitaria dello Stato sano, che era presente soltanto nel tempo degli Dei. Il governo degli uomini è già "naturalmente" in guerra. Ritorna la dimensione di Stàsis interna, cui si aggiunge ora la Pòlemos esterna, intorno cui ruota la costruzione della polis.

La polis si regge su Dike(giustizia) e sul discorso politico per riportare a Dike il molteplice degli interessi e delle passioni di ciò che ancora non è polis.

Nella fase storica in cui Atene sposta la propria potenza sul mare, sradica la necessità di Dike fondata sul Nomos, propria della città "terranea". Sarà questa la nuova filosofia greca e sarà questa la filosofia dell'Europa. L'Europa si lega morfologicamente alla filosofia del mare. Cacciari, a tal proposito, ripercorre Il Nomos della terra (Adelphi, Milano, 1991) di Schmitt, che in quel testo esplorava i passaggi della dissoluzione progressiva dell'ordine terrestre dell'Europa, dovuta alla conquista dei mari e dei cieli. Lungo questo processo, dice Cacciari, "naufraga l'idea liberale della conversione dello Stato in un insieme di rapporti giuridici formali (...), poiché è fallita l'idea-utopia della possibile neutralizzazione del Politico rispetto alle dimensioni amministrative e soprattutto economiche" (p. 125). E, allora, la domanda se l'Europa sia in grado di pensare come ethos comune il conflitto dei distinti, cerca risposta al di là del pensiero di Schmitt, oltre il destino dello Stato moderno. L'unica strada percorribile per il nuovo farsi d'Europa sta, secondo l'autore, nel portare a fondo tutte le rappresentazioni dell'Occidente, compierle: sta nella categoria del tramonto. "L'Occidente compie davvero la sua storia quando pone a problema il proprio occidente" (p. 157) e "l'Europa non ha immaginato la pace che al culmine di questa guerra interiore, di questa distruzione in noi di ogni difesa, riparo, consolazione" (p. 158).

Quella di Cacciari è un'interpretazione densa di suggestioni (che in questo scritto solo parzialmente e introduttivamente affrontiamo), dalla cui articolata terminologia si apprende molto e che non è mai banale leggere e rileggere.

E' un libro che suscita un certo timore di fronte alla complessità di questioni quasi mistiche legate all'Europa e al suo pensarsi. E' un libro nel quale sembra di intravedere l'arcano delle tradizioni che si svelano solo a chi, come Cacciari, le ricerca con profondità e inquietudine; ma che, forse, proprio per questo, spinge a cercarne la conoscenza con umiltà e accortezza semantica, ricordando al lettore l'eccedenza, mai compiutamente colmabile, che la cultura mostra dinanzi all'umana coscienza.

Francesco Giacomantonio