2009

E. Brems, Human Rights: Universality and Diversity, Martinus Nijhoff, The Hague 2002, pp. 574, ISBN 90-411-1618-4

In questo imponente lavoro Eva Brems, professore di Diritti Umani presso l'università di Gand, si propone di analizzare il problema dell'universalità dei diritti umani esaminando "le posizioni particolariste non occidentali" e suggerendo "in che modo il sistema internazionale dei diritti umani può far fronte a esse" (p. 1). Questo intento viene perseguito attraverso quattro capitoli. Nel primo Brems fornisce un'indagine preliminare dei diversi significati del termine centrale del lavoro, "universalità". Il secondo capitolo invece è dedicato all'analisi di documenti politici e accademici asiatici, africani e islamici che esprimono posizioni particolariste rispetto ai diritti umani. Nel terzo capitolo viene proposto un framework teorico, incentrato su un principio di "universalità inclusiva", entro il quale inquadrare i discorsi non occidentali intorno ai diritti. Nell'ultima sezione del volume, infine, Brems considera alcune "tecniche legali per l'integrazione della differenza", che dovrebbero indicare in che modo sia possibile rispondere efficacemente alle sfide del particolarismo alla luce del principio di universalità inclusiva.

In molti casi le discussioni sulla presunta universalità dei diritti umani appaiono sterili perché gli autori sembrano avere in mente idee di universalità diverse. Per questo motivo il primo capitolo di Human Rights: Universality and Diversity è costituito da un ampio resoconto dei significati di "universalità" che si incontrano nel dibattito sui diritti umani. Fra le altre Brems prende in esame concezioni di universalità come: 1) applicabilità delle norme rilevanti a tutti gli esseri umani in ogni parte del mondo; 2) universale accettazione da parte degli Stati della Dichiarazione Universale e delle convenzioni internazionali sui diritti umani; 3) origine storica comune; 4) accettabilità da parte di tutti gli individui in termini antropologici o filosofici; 5) universale ricorso empirico allo strumento dei diritti umani per legittimare le proprie rivendicazioni. La conclusione di questa rassegna è che, dal momento che il timore di una diminuzione dell'universalità dei diritti concerne la possibilità di esclusione di alcuni individui dal sistema internazionale per la tutela dei diritti umani, il significato prevalente di "universalità" che è in gioco nel dibattito è il primo, quello che riguarda l'applicabilità delle norme che sanciscono i diritti umani a tutti gli individui in ogni parte del mondo.

Nel lunghissimo secondo capitolo, che rappresenta in un certo senso il "cuore" del libro, Brems prende in esame le concezioni asiatiche, africane e islamiche dei diritti. A questo scopo, vengono presentati nell'ordine: la letteratura sul tema degli Asian values, le Dichiarazioni di Bangkok e di Kuala Lumpur e la Conferenza di Vienna; l'African Charter on Human and People's Rights, l'African Charter on the Rights and Welfare of the Child, il dibattito accademico sui diritti in Africa; la letteratura su diritti e Islam, le dichiarazioni islamiche dei diritti, le riserve di Stati islamici a convenzioni internazionali sui diritti. Lo stile di Brems in queste pagine è oltremodo asciutto: l'autrice si limita per lo più a esporre il contenuto dei testi presentati senza discuterli. La ricerca bibliografica, per contro, è impressionante per la mole dei contributi passati in rassegna. Queste caratteristiche rendono il lavoro di Brems imprescindibile come opera di consultazione ma possono indurre una certa insoddisfazione nel lettore, che forse desidererebbe un testo più stringato e maggiore capacità di evidenziare i punti salienti del discorso.

Il breve terzo capitolo contiene, come si è detto, l'esposizione della proposta di Brems. Brems definisce la propria ricetta per contemperare universalismo dei diritti e particolarità culturali universalità inclusiva. Questa consiste nell'idea secondo la quale "i diritti umani devono accogliere alcune particolarità non occidentali al fine di diventare più inclusivi e, di conseguenza, più universali" (p. 295). Si tratta, come si vede, di una tesi abbastanza semplice e, almeno prima facie, condivisibile. Secondo Brems l'universalità dei diritti non dipende da un consenso attuale intorno a essi né dalla possibilità di una fondazione interculturale, ma dall'universale diffusione della forma statuale e dalla necessità di prevedere rimedi alla sofferenza umana. Nondimeno, una progressiva universalizzazione del discorso intorno ai diritti umani appare un obbiettivo desiderabile, soprattutto in vista di una maggiore osservanza delle norme che enunciano i diritti. A questo scopo, Brems prende in considerazione due distinte tipologie di tecniche rivolte ad assicurare l'integrazione delle particolarità locali nel discorso intorno ai diritti: la trasformazione degli standard relativi ai diritti umani e la loro flessibilità.

L'esame accurato di queste due tecniche costituisce l'oggetto del quarto e conclusivo capitolo. Per quanto riguarda in particolare la flessibilità degli standard relativi ai diritti, Brems si sofferma soprattutto sulla tecnica del margine di apprezzamento. Questa viene tematizzata in primo luogo in rapporto alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, vista come possibile agente di mediazione fra le concezioni asiatica e americana dei diritti dell'uomo. Secondo Brems, infatti, la concezione europea dei diritti umani possiede, in conseguenza del diffuso background socialdemocratico, un'attenzione per la dimensione comunitaria che sarebbe vano ricercare negli Stati Uniti. Per quanto riguarda, invece, le tecniche di trasformazione degli standard relativi ai diritti umani, Brems prende in esame tre distinti strumenti: l'introduzione di doveri, l'incremento dei diritti economici e sociali e l'introduzione di diritti collettivi. I doveri, sostiene Brems, non sono, allo stato attuale, estranei ai testi internazionali in materia di diritti umani, pertanto una loro introduzione non costituirebbe una novità assoluta. Peraltro, l'introduzione di nuove figure di doveri, se potrebbe consentire una maggiore universalità inclusiva degli eventuali diritti cui tali doveri corrispondono, comporterebbe anche il rischio dell'istituzione di una inaccettabile dipendenza fra diritti e doveri - ovvero, il rischio che la titolarità dei diritti sia condizionata all'assolvimento dei doveri (p. 434). I diritti economici e sociali, invece, come pure il discusso "diritto allo sviluppo", sono ormai parte del catalogo riconosciuto dei diritti umani. La loro integrazione non crea problemi particolari, anche se da un punto di vista teorico è vivacemente discusso se il loro status possa essere completamente assimilato a quello dei diritti civili e politici. Brems ritiene che questo genere di problemi possa essere affrontato con successo. Ma sottolinea anche che la previsione di nuove figure di diritti economico-sociali non comporta risultati apprezzabili sul piano della garanzia dei diritti civili e politici. Quindi, da questo punto di vista, la loro portata trasformativa degli standard esistenti non andrebbe enfatizzata. Brems, invece, ritiene che un uso mirato dei diritti collettivi possa rivelarsi provvidenziale per superare l'individualismo insito nei cataloghi tradizionali dei diritti. A questo fine, enfatizza soprattutto l'importanza dei diritti cosiddetti "multiculturali", attribuiti ai membri di una minoranza nazionale per salvaguardarne le specificità tradizionali e culturali. Peraltro, Brems, nel solco del mainstream multiculturalista, sottolinea come l'attribuzione di diritti collettivi debba sempre essere funzionale alla promozione di interessi individuali. Per questa via arriva a conclusioni non troppo dissimili da quelli di un autore come Chandran Kukathas (cfr. C. Kukathas, The Liberal Archipelago: A Theory of Diversity and Freedom, Oxford University Press, Oxford 2003): pratiche controverse come le mutilazioni genitali femminili possono essere tollerate se praticate all'interno di gruppi culturali, a condizione che ai membri dei gruppi stessi sia assicurato il diritto di uscita.

Nel complesso, Human Rights: Universality and Diversity costituisce un testo accurato e rigoroso e un utilissimo strumento di lavoro per quanti si occupino del tema dell'universalità dei diritti umani da una prospettiva giusfilosofica. Il suo limite più evidente consiste nella scarsa originalità delle tesi che l'autore difende. Anche la ricetta dell'universalità inclusiva rappresenta una proposta inizialmente plausibile ma troppo generica per risultare convincente, inquadrata oltretutto in un contesto filosofico-politico abbastanza generico e non molto approfondito. Questi difetti, d'altra parte, riflettono la prevalente formazione giuridico-internazionalistica dell'autore. E infatti, le qualità migliori del testo vanno ricercate nella straordinaria ricchezza e precisione dei riferimenti normativi a trattati e dichiarazioni regionali, che rendono disponibile al filosofo del diritto e della politica un quadro attendibile del substrato normativo che fa da sfondo al dibattito, troppo spesso ideologico e retorico, sull'universalità dei diritti. Da questo punto di vista, il lavoro di Brems è, come dicevo, un punto di riferimento imprescindibile per ancorare la riflessione teorica alla realtà giuridica e politica.

Leonardo Marchettoni