2011

D. Boucher, The Limits of Ethics in International Relations: Natural Law, Natural Rights, and Human Rights in Transition, Oxford University Press, Oxford 2009, ISBN 978-0199203529

Sin dal titolo l'ultimo volume di David Boucher, professore di filosofia politica e di relazioni internazionali presso l'Università di Cardiff e già autore di Political Theories of International Relations (Oxford, Oxford University Press, 1998), si segnala per l'importante tentativo di investigare il tema dei diritti umani da una prospettiva storica che li connetta tematicamente alle tradizioni della legge di natura e dei diritti naturali. Questo approccio ha il pregio di legare la visione attuale dei diritti umani come limiti di natura etica alla capacità di agire degli Stati sullo scenario internazionale a una consolidata tradizione che indica nella legge naturale un argine contro l'arbitrio del potere statuale. Tuttavia, Boucher ritiene che un'ascendenza lineare della nozione di diritti umani rispetto a quelle di diritti naturali e di legge di natura non sia sostenibile. Al contrario, mentre queste due ultime nozioni sono più legate di quanto generalmente non si ritenga, il successo contemporaneo del concetto di diritti umani è la conseguenza di una sua trasformazione che si è consumata in tempi piuttosto recenti.

Nei primi due capitoli Boucher delinea una ricostruzione puntuale, anche se non particolarmente originale, delle origini classiche, romane e medievali della nozione di legge naturale, dando risalto sia alla elaborazione dello stoicismo, sia alla trattazione da parte dei giuristi romani, passando poi a esaminare le teorie della legge di natura, delle origini della proprietà e della guerra giusta di Agostino di Ippona e di Tommaso d'Aquino. L'aspetto più stimolante di questa trattazione è il tentativo di confrontare l'elaborazione della dottrina cristiana della legge di natura con l'atteggiamento predominante verso il mondo ebreo e musulmano (pp. 62-67). Da segnalare, un curioso refuso che fonde i nomi degli storici e filosofi del diritto Michel Villey e Brian Tierney in un inedito Michel Tilley (p. 55) e una ripetuta instabilità nella grafia di "ius", scritto a volte con la j e a volte con la i (pp. 56ss.).

I capitoli terzo e quarto si propongono di evidenziare il passaggio dalle teorie della legge naturale alle teorie dei diritti naturali. Boucher connette questo passaggio a due fattori principali: la costituzione dello Stato moderno e la scoperta del Nuovo Mondo. Mentre le teorie classiche e medievali della legge di natura avevano enfatizzato soprattutto la dimensione oggettiva del diritto, a partire dalla fine del medioevo si manifesta una nuova attenzione per la dimensione soggettiva. Il primo passaggio della ricostruzione di Boucher consiste però nel sottolineare la continuità degli autori della prima modernità - Grozio, Pufendorf, Locke - con l'impostazione teologica medievale. Da questo punto di vista, le letture tradizionali, che evidenziano la secolarizzazione del discorso etico-politico da parte di questi autori risultano sostanzialmente fuorvianti, dal momento che le premesse teologiche della riflessione di questi autori non vengono mai eluse.

Boucher sembra ipotizzare che il linguaggio unitario dello ius naturale abbia subito un processo composito di specializzazione e autonomizzazione secondo due vettori. Da una parte, si colloca la genesi del diritto internazionale moderno, che procede dall'ambiguità mai risolta tra ius naturale e ius gentium. Dall'altra, l'enucleazione del linguaggio dei diritti soggettivi che risale, come Boucher ricorda, al lavoro dei glossatori e dei canonisti dell'undicesimo e del dodicesimo secolo ma che vive una fase cruciale nel dibattito sulla colonizzazione del Nuovo Mondo del sedicesimo e del diciassettesimo secolo. A questo proposito, l'autore cerca di restituire la complessità e la stratificazione di motivi presenti in questo dibattito analizzando non solo le giustificazioni della Conquista alla luce delle teorie precedenti sulla guerra giusta e la discussione sulla titolarità, da parte dei nativi, dei diritti di proprietà sul Nuovo Mondo, ma anche la rilevanza contemporanea del dibattito risultante dalle rivendicazioni dei nativi delle terre sottratte con la forza ai loro avi.

Il quinto capitolo è imperniato sulla distinzione fra tradizione descrittiva e prescrittiva dei diritti naturali. Boucher sostiene che, mentre la seconda è alla base delle teorie dei diritti naturali di autori come Locke, che appaiono più legate di quanto comunemente si ritenga alle origini teologiche delle teorie classiche della legge naturale, la prima, che rimanda alla nozione di legge di natura di Hobbes e, prima di lui, a quella dei giuristi romani, dà avvio a un filone autonomo e secolarizzato di riflessione sui diritti soggettivi che include, tra i suoi sviluppi, Spencer e, nella seconda metà del ventesimo secolo, Nozick e Gauthier.

Nel sesto capitolo Boucher analizza la posizione critica di autori come Hume, Rousseau e Burke, mentre nel settimo ricostruisce l'impatto del dibattito intorno ai diritti naturali sulla pratica della schiavitù, rilevando come, in molti casi, almeno fino al diciottesimo secolo, convinti assertori della tesi secondo cui gli uomini sono dotati di diritti innati si siano schierati a favore della causa schiavista. Boucher conduce una disamina molto accurata delle giustificazioni addotte a sostegno della schiavitù, osservando come autori ostili al linguaggio dei diritti naturali come Burke e Rousseau si mostrino più critici della pratica schiavista di molti sostenitori dei diritti.

L'ottavo capitolo presenta una rapida rassegna delle posizioni di Bentham, Marx e Tocqueville e si sofferma sul ruolo di Hegel e dei filosofi idealisti inglesi nella storia del concetto di diritti umani. Particolarmente interessante è la sezione dedicata alla ricostruzione del contributo dei filosofi idealisti inglesi - soprattutto Thomas Hill Green e David George Ritchie - alla formazione della concezione contemporanea dei diritti umani. Boucher mette in risalto l'importanza del ruolo degli idealisti nel distacco dalla concezione tradizionale dei diritti, incentrata sulla nozione di legge di natura, per sostituire a essa una nozione basata sul riconoscimento intersoggettivo e sul perseguimento del bene comune, e la complessa relazione che la loro riflessione intrattiene con gli orientamenti utilitaristi ed evoluzionisti, con il dibattito sulla schiavitù e con la riflessione internazionalista.

Nell'ottica di Boucher gli idealisti inglesi detengono un ruolo centrale: la loro enfasi sul ruolo del riconoscimento intersoggettivo risulta cruciale per operare la rottura rispetto al modello tradizionale dei diritti di natura. Al suo posto, gli idealisti sostituiscono una precisa teoria metafisica della persona. Non appena anche quest'ultima verrà abbandonata, si realizzeranno le condizioni che preludono all'antifondazionalismo contemporaneo. E proprio alle caratteristiche generali della riflessione novecentesca sui diritti umani sono dedicati i restanti capitoli. Nel nono capitolo, in coerenza con l'impostazione già adottata, Boucher sottolinea la distanza dalle teorie dei diritti naturali e l'eminente carattere politico della concezione novecentesca dei diritti umani. A questo fine si sofferma brevemente sul sistema internazionale dei diritti umani, sviluppatosi a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, sulle caratteristiche del neogiusnaturalismo di autori come Finnis, sul legame tra diritti e cittadinanza presente nella riflessione di Hannah Arendt. Infine, la seconda parte del capitolo è dedicata a un confronto tra Collingwood e Rorty.

La morale che Boucher trae dalla ricognizione condotta nel nono capitolo è che l'approccio contemporaneo ai diritti si distacca dalla tradizione giusnaturalista perché è contrassegnato da un marcato antifondazionalismo. Mentre le teorie dei diritti naturali cercavano di legare il possesso dei diritti alla posizione di una natura umana invariante nel tempo e nello spazio e razionale, la Dichiarazione universale ha inaugurato una nuova stagione nella quale i diritti umani emergono come strumenti introdotti in maniera convenzionale dalla collettività per garantire alcuni valori di cui si riconosce il carattere fondamentale. Ciò comporta che la concezione contemporanea dei diritti attribuisca maggiore rilievo al riconoscimento intersoggettivo - in continuità con la riflessione idealista e neoidealista - di quanto non facesse la tradizione del giusnaturalismo. Su queste basi, Boucher analizza alcune delle principale teorie "costitutive" o "convenzionaliste" dei diritti umani, sia nell'ambito disciplinare degli studi internazionalistici (Vincent, Donnelly, Krasner, Frost), sia in quello della filosofia politica e del diritto (Walzer, Taylor, Martin), per poi concentrarsi sull'interpretazione di Rawls come teorico "costruttivista" (constitutive theorist) dei diritti.

Il decimo capitolo si sofferma sullo statuto internazionale dei diritti umani per sostenere la tesi che il riconoscimento e la tutela dei diritti attraverso l'esperienza dei tribunali internazionali sono avanzati soprattutto attraverso lo strumento della consuetudine. Infine, l'ultimo capitolo è dedicato all'esame delle ragioni che motivano l'insoddisfazione da parte di alcune teoriche femministe per l'idioma dei diritti umani, accusato di inadeguatezza a proteggere le specificità del mondo femminile.

Il lavoro di Boucher rappresenta una valida ricostruzione della storia dei diritti umani. La sua maggiore originalità risiede nell'enfasi sul carattere politico e sociale della concezione contemporanea dei diritti e nel riconoscimento del ruolo che i filosofi idealisti inglesi hanno giocato nel passaggio dalle teorie di matrice giusnaturalistica alla concezione contemporanea. Sotto questo profilo il lavoro di Boucher risulta senz'altro pregevole, anche se da un diverso punto di vista la contrapposizione che egli istituisce tra le teorie razionaliste del giusnaturalismo moderno e premoderno e le teorie "convenzionaliste" contemporanee risulta un po' forzata. Si tratta del fatto che all'interno della riflessione sui diritti naturali si possono riconoscere, sin dai primi albori, motivi solidaristici e lato sensu "comunitari" (contributi essenziali in questa direzione sono venuti soprattutto da Brian Tierney). Inoltre, lungo tutta la storia dei diritti naturali prima e dei diritti umani poi si riscontra un intrecciarsi di aperture solidaristiche e di chiusure individualistiche, cosicché la creazione di una contrapposizione troppo netta tra una concezione moderna, razionalista, fondazionalista e individualista, e una concezione contemporanea, incentrata sul riconoscimento sociale, convenzionalista e solidaristica, sembra arbitraria. Al contrario, proprio lo scenario contemporaneo, con la compresenza di autori radicalmente differenti nella loro impostazione come, fra gli altri, Nozick, Dworkin, Rawls, Habermas, Finnis, Nussbaum e Sen, sembra confermare l'intrinseco pluralismo che si annida nella teoria dei diritti. Senza dimenticare che l'espansione globale dell'idioma dei diritti sta comportando conseguenze profonde sulla stessa possibilità di immaginare una teoria unitaria dei diritti umani.

Leonardo Marchettoni