2005

W.H. Becker, W.M. McClenahan Jr., The Market, the State, and the Export-Import Bank of the United States, 1934-2000, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pp. 340, ISBN 0-521-81143-0, $80,00

È consuetudine considerare, soprattutto in Europa, la stagione che spazia dalla crisi economica mondiale degli anni Trenta a quella degli anni Settanta come un periodo dell'economia mondiale segnato senza soluzione di continuità da processi di integrazione economica internazionale bilanciati dall'intervento dei poteri pubblici nella sfera economica e in particolare da quelli attivati dalle socialdemocrazie europee al potere durante il lungo secondo dopoguerra. In questo senso il rapporto tra politica ed economia nell'Europa contemporanea è stato letto dalle principali disamine del fordismo-keynesismo (D. Harvey, The Condition of Postmodernity, Cambridge (Ma), 1990). Vicende come quella della banca di stato americana oggetto di questo studio dimostrano al contrario come le radici storiche dell'attuale globalizzazione di mercati, capitali e risorse, costruite sin dagli anni Quaranta attorno ai capisaldi della liberalizzazione degli scambi internazionali e della convertibilità valutaria, abbiano poggiato sull'altra sponda dell'Atlantico su un'intensa attività di promozione di questi processi proprio da parte della mano pubblica e dello stato. Il cui ruolo nella cosiddetta globalizzazione del capitale è dunque stato assai differente rispetto a quello giocato in Europa.

Promossa in occasione del 65º anniversario della Export Import Bank fo the United States, la ricerca di Becker e McClenahan si presenta come caso di studio di una Export Credit Agency di stato come ce ne furono tante nella storia finanziaria dei paesi occidentali del Ventesimo secolo. La peculiarità di questo ente del governo americano fu quella di intrecciare con particolare continuità e ricorrenza le dinamiche proprie della vita di un qualunque gruppo creditizio con legami e interessi internazionali con i problemi e le opzioni di politica estera del proprio paese: il fatto di essere al servizio di uno dei paesi, gli Usa, al centro della politica internazionale del Novecento spiega in gran parte la peculiarità della storia di questa banca di stato. La tesi offerta da questa ricostruzione, commissionata dai vertici della banca, restituisce l'immagine di un istituto operante sui mercati occidentali quando in oscillazione, quando in equilibrio, comunque sempre lungo la linea retta che nelle economie occidentali lega e contrappone stato e mercato. Per gli autori, le tradizionali funzioni di stimolo di un mercato nazionale e i bisogni di politica estera degli Stati Uniti avrebbero determinato nel corso del secolo trascorso la politica del credito estero della Export Credit Agency del governo di Washington. Nata negli anni Trenta per volontà dell'Amministrazione Roosevelt sia per sopperire alla crisi delle banche commerciali determinata dal grande slump economico in atto, sia per favorire i rapporti commerciali con il mondo sovietico, sia, ancora, per sostenere le iniziative di sviluppo economico in America Latina da affiancare alla politica roosveltiana di buon vicinato portata avanti in quel quadrante dello scacchiere internazionale, fin dalla sua nascita l'Ex-Im Bank si sarebbe distinta per questa sua caratteristica di fondo. Nel secondo dopoguerra, le linee di credito ripetutamente aperte nei confronti di molti paesi in bilico tra il blocco occidentale e quello del regime di Mosca, a partire dalla Yugoslavia, seguite dal finanziamento massiccio di aree arretrate del pianeta valutate dagli americani in grado di dar vita a mercati ottimali per i produttori statunitensi, proseguono la doppia linea d'azione, nell'arena politica internazionale e secondo i vincoli del mercato, propria della banca. Negli anni Cinquanta e Sessanta l'attività creditizia dell'Ex-Im Bank sui mercati esteri soffre particolarmente i condizionamenti della politica: promuovendo la circolazione e lo scambio di materiali strategici nell'ambito dei programmi di potenziamento dei sistemi di difesa dell'Occidente a partire dalla fine degli anni Quaranta, i vertici della banca sono costretti ad allentare i rigidi criteri di selezione dei debitori esteri dell'istituto sino ad allora scelti secondo scrupolose valutazioni della capacità di solvenza dei contraenti, mentre nel corso dei due decenni successivi il crescente deficit statale americano aumenta l'opposizione del sistema politico statunitense alle attività di un istituto in massima parte sostenuto dal Tesoro americano.

Tuttavia, nel corso degli anni Settanta, prima la mancata espansione delle esportazioni americane a fronte della svalutazione del dollaro seguita all'abbandono del sistema monetario internazionale di cambi fissi varato alla fine della seconda guerra mondiale a Bretton Woods, quindi la spinta inflazionistica innescata negli Stati Uniti come in tutto l'occidente dalla decisione dei paesi dell'Opec di innalzare il prezzo del petrolio, rende ancor più urgente che nei due decenni passati il bisogno di rianimare tutti gli strumenti di sostegno della bilancia dei pagamenti americana. Con la semplice differenza, rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, che mentre in quel periodo il pericolo proveniva per gli operatori economici americani dalla crescente competizione delle economie europea e giapponese, nel frattempo ristabilitesi e pronte a competere sui mercati occidentali, e quindi dal bisogno di finanziare a condizioni di credito vantaggiose l'export americano, con gli anni Settanta istituti come la Export Import Bank divengono essenziali per finanziare le importazioni degli Usa. Altrimenti detto, con buona pace dei sempiterni obiettivi di pareggio del bilancio e di ortodossia fiscale ampiamente condivisi all'interno del sistema politico americano, il credito estero di stato, di cui l'Ex-Im è esemplare nella politica monetaria statunitense, non finanzia più tanto le entrate per sostenere i margini di attivo della bilancia dei pagamenti americana, quanto piuttosto copre le uscite al fine di evitare di caricare il debito pubblico o il debito estero dei costi crescenti dei pagamenti esteri. Se a questo si aggiunge che la crescente competitività dei mercati europei e giapponese sin dagli anni Cinquanta aveva spinto non solo a sostenere le entrate all'estero ma anche a proteggere i prodotti americani sul mercato interno, si capisce come il problema del sostegno pubblico delle uscite di bilancia dei pagamenti, posto prima dalla crescente penetrazione commerciale delle economie occidentali assistite dal governo americano all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, in seguito dalla lievitazione dei costi di importazione di materie prime essenziali come il greggio, orienti nel tempo la politica creditizia internazionale di un ente come quello studiato dagli autori assai più al servizio della politica commerciale americana che di quella estera. Il che restituisce la storia di una banca sui generis nel panorama finanziario statunitense mossa nel corso dei decenni sempre più dai vincoli del mercato e dai problemi dell'economia americana che non dal calendario della politica estera statunitense.

Se quindi l'equilibrio tra stato e mercato individuato dagli autori vale sicuramente per il primo ventennio di vita della banca, dagli anni Cinquanta in poi la storia di questo istituto può essere considerata una buona cifra sia del declassamento dell'economia americana sulla scena internazionale, passata nel giro di un trentennio dall'egemonia del dollar standard a problemi strutturali nei propri conti esteri, sia di un sistema economico internazionale che a dispetto del declino americano realizza buona parte proprio di quegli obiettivi di liberalizzazione commerciale e multilateralismo degli scambi sempre fonte di ispirazione, nel corso del Novecento, della politica economica internazionale del governo di Washington.

La lezione più generale che la storia dell'Export Credit Agency americana insegna al lettore è quindi la sconfessione dell'idea ampiamente diffusa di una asimmetria tra funzioni di direzione economica e di intervento pubblico dello stato nelle economie occidentali da un lato e capacità di autoregolamentazione e self sufficiency del mercato dall'altro: l'Ex-Im dimostra, limitatamente al terreno dell'export financing, come le risorse e le istituzioni dello stato siano state utilizzate nel tempo anche per sostenere e incentivare interessi e obiettivi del capitalismo privato e dei suoi animal spirits economici, rispetto ai quali la mano pubblica si è dunque posta in modo differente a seconda che si parli di Vecchio Continente o di Stati Uniti.

Simone Selva