2005

É. Balibar, Nous citoyens d'Europe? Les frontières, l'État, le peuple, La découverte, Paris 2001

Mai come in questo caso si può dire che il testo è interamente percorribile attraverso il suo titolo. L'interrogazione che accompagna il tema centrale, la cittadinanza europea, ne sospende e ne apre le delimitazione concettuale, i tre termini del sottotitolo specificano puntualmente i luoghi della problematicità del lemma cittadini d'Europa richiamando l'intera genealogia politica dell'Europa e, in ultimo, l'in-vocazione "nous" raccorda il complesso intreccio delle questioni all'attualità, al presente e suona, nello stesso tempo, proprio perché in prima persona plurale, anche come una con-vocazione rivolta a chi legge quanto a chi scrive, nella ricerca di un piano pubblico di ricerca, di enunciazione e di impegno pratico.

Il riferimento in nota (n.2, p.8) a Razza, Nazione, Classe. Le identità ambigue (Roma 1990) a Le frontiere della democrazia (Roma 1992), Droit de cité. culture et politique en démocratie (Paris 1998) e, soprattutto, a La crainte des masses. Politique et philosophie avant et après Marx (Paris 1997) inserisce questi saggi e interventi pubblici, svolti lungo un arco di tempo che va dal 1989 al 2001 in un percorso di impegno intellettuale, culturale e politico verso l'Europe à faire, ma sempre attento alla transizione capitalistica mondiale dagli anni '80 ad oggi, alle forme di dominio e violenza ad essa connesse e alla riflessione teorica sul pensiero politico moderno.

Il testo mostra un'architettura aperta, in movimento intorno e a partire da tali nomi che non hanno uno statuto ermeneutico, ma vengono continuamente associati, nel gioco fra la genealogia dei concetti e la genealogia delle istituzioni, ai nodi concreti del divenire europeo, alla genealogia dell'Europa stessa.

Balibar individua così più che una geo-politica, o una costituzione possibile, o un processo di integrazione dell'Europa, una vera e propria cartografia storica in movimento. Il tema delle frontiere geografiche viene messo alla prova del più ampio tema della scomparsa delle frontiere nella globalizzazione, ma anche delle nuove forme di esclusione-inclusione, nel richiamo al dibattito sulla fortezza Europa e, ugualmente, alla prova di quello delle frontiere storiche e politiche del progetto moderno europeo.

La peculiarità dello sviluppo nazionale all'interno del sistema capitalistico mondiale, che già caratterizzava gli interventi di Balibar nel duetto con Wallerstein in Race, Nation, Classe, attraversa qui l'intera prima sezione dedicata alla crise du communautarisme national, nella quale l'analisi strutturale del Moderno apre la comprensione del fenomeno nazionale e ispira l'ipotesi di un'antropologia della forma nazione, di un homo nationalis insieme e accanto all'homo oeconomicus, basata su un criterio di esclusione analogo al paradigma medicale, nel quale l'identità deriva da e sorregge un criterio di normalità, simultaneamente. L'immigrazione dai paesi ex-coloniali o dai paesi ex-sovietici diviene luogo di un razzismo, di un apartheid europeo, nel quale resta in vigore il dispositivo identità-normalità, nell'ambiguità delle appartenenze coloniali o della più ampia civiltà europeo-cristiana, per fare eco critico alle posizioni à la Huntington.

La crisi del comunitarismo nazionale si dipana con la disarticolazione del nesso fra popolazione, stato e territorio, archeologia economica, giuridica e politica della nazione moderna e base della cittadinanza nazionale, cotésoggettivo e politico-emancipativo della nazionalizzazione delle popolazioni. Il razzismo verso gli immigrati pone, come nel caso dei sans papier, il tema di un droit de cité, ovvero un diritto di cittadinanza fondato sulla residenza e non più sullo jus soli o sullo jus sanguinis. Diritto che libererebbe l'accesso e il transito dall'appartenenza alla comunità nazionale.

Allo stesso modo, nella lettura del testo di Dominique Schnapper, La communauté des citoyens. Sur l'idée moderne de nation (Paris, 1994), Balibar ipotizza una cittadinanza senza comunità, una cittadinanza basata sulla negatività, ovvero, sulla politica come lotta strutturale alle esclusioni, quindi come progressività dell'acquisizione di diritti, piuttosto che sull'appartenenza comunitaria che riduce la cittadinanza a materia della police dello stato-nazione (Rancière).

La cittadinanza senza comunità si oppone alla comunità di destino nella lettura di Herman van Gunsteren, A Theory of Citizenship. Organizing Plurality in Contemporary Democracies (Boulder USA e Oxford UK, 1998), in cui l'ispirazione al tema arendtiano del diritto ad avere diritti si traduce nel concetto di cittadinanza imperfetta come estensione della cittadinanza ad un diritto universale alla politica.

Nella lettura di Balibar tuttavia resta centrale, come lo è la seconda delle tre sezioni del testo, il tema della violenza delle frontiere, o meglio della violenza senza frontiere nella globalizzazione. La trasformazione dei rapporti capitalistici non annulla la caratteristica di violenza e di esclusione propria del capitalismo storico, ma la disloca secondo diverse linee, ovvero secondo diverse frontiere.

Balibar individua così tre problemi: 1) con la dissoluzione della geopolitica dei blocchi propria della transizione postcomunista, la frontiera orientale si spinge più a Est, ma resta alla base di una politica del containment e diviene, quindi, barriera filosofico-culturale perché impedisce l'estensione a Est della tradizione emancipatrice della cittadinanza europea, anche se nella consapevolezza del portato tragico del suo passato; 2) con la globalizzazione muta lo statuto politico delle frontiere. Esse non scompaiono, neanche quelle economiche, come vuole la retorica globalista, ma pongono nel loro dislocamento la necessità di una mondializzazione della politica come attività collettiva, incontro più o meno conflittuale di popolazioni, comunicazione, ovvero la necessità di democratizzare l'istituzione frontaliera stessa; 3) l'Europa ha un rapporto con la violenza strutturale che produce le zones de mort sia al suo interno con la periferizzazione di vaste aree, la disoccupazione, il razzismo e la violenza fascista, sia al suo esterno, nei paesi della destrutturazione sovietica e nei paesi del Sud ex-coloniale. Ciò pone per l'Europa un'alternativa fra la politica della fortezza, progetto sicuritario e un progetto di civiltà transnazionale, basato su cittadinanza transnazionale, diritti dell'uomo e limitazione della sovranità.

L'impossibilità necessaria del progetto europeo nella terza sezione viene affrontata sul piano costituzionale e giuridico-politico, dal crollo del muro di Berlino alla attuale crisi dell'asse franco-tedesco.

Sulla traccia del motto hegeliano Es gibt keinen Staat in Europa Balibar discute l'antinomia fra il progetto moderno europeo e l'Europa stessa attraversando il paradigma moderno della sovranità nella lettura schmittiana di Hobbes, tutta spostata sulla partizione interno-esterno e sulla nascita dello jus publicum europaeum, in cui la sovranità classica sprigiona la potenza politica delle frontiere nella formazione dell'Europa moderna. L'eccezione sovrana gioca una critica del formalismo giuridico in voga nel dibattito teorico e istituzionale sull'Unione e sottolinea il carattere genealogico della sovranità moderna, del suo porre e porsi come frontiera politica che forma lo stato e contiene le masse. Dopo il 'salto pericoloso' dalla sovranità statale alla sovranità popolare, la sovranità assume il progetto emancipativo dell'ugualibertà (v. Le frontiere della democrazia), ma nel quadro nazionale, nell'impossibilità di uno stato europeo e produce, nel dramma franco-tedesco, una dialettica imperiale infraeuropea che terminerà solo nel '45 con le costituzioni nazional-sociali. Alla caduta del muro, dunque, l'Europa è un impossibile perché la storia emancipatrice e progressiva della modernità si è data solo nel quadro nazionale, quindi con il popolo, ma anche con le frontiere e con lo stato. Ma è necessaria, poiché non esiste altro nesso storico e concettuale fra la democrazia di massa e la cittadinanza fondata sui diritti.

La permanenza della sovranità classica nella rilettura di Schmitt, che Balibar ha sostenuto nell'edizione del testo schmittiano su Hobbes e nella polemica recente su Le Monde con Y. C. Zarka anima le tre tesi e la conclusione generale del testo, in base alle quali Balibar apre quattro cantieri della democrazia.

La prima recita che non può esservi alcuna cittadinanza senza progressione di diritti civici (droits civiques) individuali e collettivi, di portata universale in rapporto alla forma più avanzata raggiunta storicamente nel quadro nazionale, contro ogni tesi che vuole le istituzioni europee date prima della loro democratizzazione, in quanto illegittima e destinata allo scacco.

La seconda vuole che non vi sia alcuna limitazione della comunità europea dei cittadini, per disattivare ogni principio di esclusione identitaria, ogni mito sicuritario che fanno dell'Altro un nemico interno ed esterno. Una comunità non estesa a tutto il mondo, situata certo storicamente, ma aperta. In una parola una comunità di accesso alla cittadinanza.

La terza prevede un controllo transnazionale dei poteri pubblici e della sovranità classica, sopravvissuta nella sovranità popolare, ovvero una limitazione della sovranità e una riaffermazione del diritto del popolo, tradizionalmente confuso con la sovranità nazionale.

Così in conclusione per Balibar è possibile la costituzione di un popolo europeo, scartando il modello verticale e organico di una nazione europea.

Queste tesi aprono quattro cantieri della democrazia: 1) democratizzazione ed estensione dello spazio giudiziario europeo; 2) rifondazione della cittadinanza sociale e della partecipazione politica; 3) democratizzazione delle frontiere; 4) invenzione di un regime linguistico fondato sulla disseminazione linguistica delle capacità di traduzione.

Beppe Foglio