2009

A.A. An-Na'im, Toward an Islamic Reformation: Civil Liberties, Human Rights and International Law, Syracuse University Press, Syracuse 1990, trad. it. Per una riforma dell'Islam, Laterza, Roma-Bari 2009

Abdullahi AhmedAn-Na'im appartiene a pieno titolo alla corrente dell'Islam riformista e può essere considerato uno dei riformatori oggi più noti e più discussi per la radicalità e il rigore argomentativo delle sue posizioni revisionistiche. An-Na'im è di origini sudanesi e negli anni settanta del secolo scorso ha fatto parte del gruppo riformista islamico - i Fratelli repubblicani sudanesi - fondato dal maestro (Ustadh) Mahmoud Mohamed Taha. Nel periodo della lotta nazionalista, esplosa in Sudan alla fine della Seconda guerra mondiale, Taha aveva tentato di organizzare un movimento politico alternativo ai partiti nazionalisti, guidati da leader islamici tradizionalisti e/o fondamentalisti.

Nel periodo dell'insegnamento come professore di giurisprudenza nell'Università di Khartoum, An-Na'im era diventato un rilevante portavoce delle idee di Taha. Ma nei primi anni ottanta An-Na'im fu arrestato assieme al maestro Taha e a un folto gruppo di suoi collaboratori, per volontà del governo sudanese di Ja'far Numayry. Salito al potere con un colpo di Stato nel 1969, il presidente Numayry si era impegnato, a partire dal 1983, in una campagna di totale islamizzazione del Sudan. Dopo circa due anni di carcere An-Na'im venne liberato, mentre il suo maestro, per volontà di Numayry, venne incriminato per apostasia (ridda) e giustiziato pubblicamente nel gennaio del 1985. Scioltosi il movimento dei Fratelli repubblicani - molti dei suoi membri erano stati nuovamente arrestati e processati - An-Na'im si trasferì all'estero impegnandosi in un'intensa attività intellettuale in numerosi paesi occidentali, africani e asiatici, in particolare in Turchia, India e Indonesia.

An-Na'im è uno studioso di fama internazionale, apprezzato in particolare per i suoi studi sul rapporto fra Islam e costituzionalismo, sulle strutture statali dei paesi islamici e africani, oltre che per le sue ricerche sui diritti umani in una prospettiva interculturale. Oggi vive negli Stati Uniti ed è docente di discipline giuridiche alla Emory Law School di Atlanta. I suoi libri - pubblicati in inglese, francese, arabo, persiano, russo, turco, bengalese, urdu e bahasa (Indonesia) - hanno sollevato nel mondo islamico ampie discussioni, soprattutto per l'ampiezza e la profondità del suo progetto riformista. Ciò che incontra resistenza presso gli ulama e i giuristi (fuqaha) tradizionalisti è in particolare la sua propensione ad accogliere i trattati e le convenzioni internazionali che riguardano il diritto penale, e in generale i diritti umani, come acquisizioni politiche e giuridiche di valore universale, tali che anche i paesi islamici dovrebbero accoglierle senza avanzare, come spesso accade, ampie riserve formali. Per la maggioranza delle scuole islamiche contemporanee l'accettazione della dottrina dei diritti umani così come è formulata nei documenti internazionali, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, avrebbe l'effetto di diluire la religione islamica sino a renderla irriconoscibile. L'apertura a valori "universali" diversi da quelli predicati dal Profeta sarebbe in sostanza un escamotage diplomatico per rifiutare l'Islam e convertirsi alla modernità occidentale.

Ciò che caratterizza il profilo intellettuale di An-Na'im è piuttosto la sua adesione sincera alla fede islamica, ciò che non gli impedisce un approccio molto critico nei confronti dell'integralismo coranico e del tentativo fondamentalista di ripristinare i dogmi normativi dell'Islam medievale. Ciò che secondo An-Na'im non può essere accettato è in particolare l'assunzione della Shari'a e del fiqh (la giurisprudenza dei giuristi musulmani) come verità rivelate e non come espressioni contingenti di una vicenda che va analizzata con libertà critica e con una razionalità storiografica rigorosa, anche se non laica o secolarizzata.

An-Na'im ritiene che la pretesa degli Stati islamici contemporanei di qualificarsi come tali imponendo la Shari'a e il fiqh ai propri cittadini merita di essere severamente criticata non in nome dei valori occidentali, ma sulla base di una attenta rilettura del Corano e della Sunna che non rifiuti pregiudizialmente i contributi del costituzionalismo e del rule of law occidentale. Reinterpretare i testi sacri non significa abbandonare o alterare il messaggio spirituale e morale del Profeta, néaderire ad alcuna forma di secolarismo È indubbio che i legislatori dei paesi islamici, riconosce An-Na'im, debbano riconoscere il carattere rivelato del Corano e della Sunna e il valore autentico e incomparabile della fede islamica, ma non per questo essi devono sentirsi vincolati ad applicare alla lettera le prescrizioni elaborate da una tradizione giuridico-istituzionale millenaria nella forma della Shari'a. Se è vero che la Shari'a è una costruzione umana e non una legge divina, essa non può essere assunta come un sistema normativo eternamente invariante e vincolante, cui si deve una assoluta, ripetitiva obbedienza (taqlid).

Una volta accertato che la Shari'a è il risultato di unaantica interpretazione normativa del Corano e della Sunna da parte di singoli giuristi/giudici privi di una particolare autorità religiosa, nulla oggi dovrebbe impedire la ricerca di nuove metodologie esegetiche. L'esito principale di questa ricerca innovativa dovrebbe consistere in una decisiva apertura del diritto pubblico islamico ad alcuni aspetti fondamentali della modernità politica e giuridica, in particolare al diritto penale proprio degli Stati democratici, al diritto internazionale e alla dottrina dei diritti umani nel contesto di un moderno costituzionalismo.

Ciò che preme ad An-Na'im è indicare, sulla scorta delle tesi di Mahmoud Mohamed Taha, una "metodologia evolutiva" che si giovi del principio del naskh tutte le volte in cui, ai fini del rinnovamento del diritto pubblico islamico, risulti utile e fattibile abrogare determinati passaggi del Corano e della Sunna e sostituirli con altri pertinenti passaggi dei testi sacri. Emerge a questo punto l'architrave metodologico che sostiene l'intera costruzione teorica del "riformismo islamico" sia di Taha che di An-Na'im. I testi sacri, essi affermano, devono essere analizzati e compresi entro il loro contesto storico: questo approccio consente di accertare che il Corano e la Sunna presentano due livelli molto diversi del messaggio islamico, corrispondenti alle due fasi della vita di Maometto: il periodo della Mecca e quello di Medina.

Come è noto, si ritiene che Maometto abbia iniziato a ricevere rivelazioni divine a partire dal 610 d.c. e che la reazione della comunità meccana sia stata estremamente ostile al suo messaggio, cosicché nel 622 egli è stato costretto a rifugiarsi a Medina assieme a un gruppo di seguaci e di "Compagni". La migrazione (hijra) segna un notevole cambiamento nella vita di Maometto, sia per l'aumento del numero dei fedeli, sia per la costituzione del primo governo musulmano, sia infine per i nuovi contenuti del suo messaggio profetico. Per quanto riguarda il periodo meccano, il Corano e la Sunna contengono quasi esclusivamente precetti religiosi e morali mentre nel periodo medinese prevalgono nettamente le norme politiche e giuridiche. La spiegazione ovvia - sostengono Taha e An-Na'im - è che a Medina Maometto doveva rispondere ai concreti bisogni politici e sociali della nuova comunità, sviluppando nuove istituzioni e applicando nuove regole.

An-Na'im, in particolare, sostiene che si è trattato non solo di una transizione dalle tematiche etico-teologiche a quelle politiche e giuridiche, ma anche di un profondo cambiamento del significato e delle implicazioni teoriche del Corano e della Sunna. In realtà nei suoi dieci anni di vita dopo la hijra, Maometto si è comportato assai meno come un profeta impegnato a diffondere un messaggio spirituale che non come un leader politico che si proponeva di consolidare la comunità musulmana e di difenderla dai suoi nemici anche con le armi. L'esperienza politica lo ha costretto a mettere realisticamente fra parentesi la prospettiva profetica rinviandone l'applicazione al futuro e a fare i conti nell'immediato con la durezza dei rapporti politici e militari di un contesto storico del tutto imprevisto. Basti pensare alla rapidissima espansione del suo potere a partire dalla città-Stato di Medina fino alla conquista di una larga parte dell'Arabia. Come è noto, solo poche decine di anni dopo la morte del Profeta l'Islam sarebbe diventato un vasto impero, esteso dall'India settentrionale alla Spagna meridionale.

Tutto questo aiuta a spiegare perché esistono notevoli incongruenze, anche su temi molto delicati, fra enunciati meccani ed enunciati medinesi. E spiega anche perché in molti casi la Shari'asi richiama a passi del Corano e della Sunna del periodo medinese e trascura i passi tematicamente analoghi, risalenti al periodo meccano. Questo rende del tutto evidente la continuità fra la concreta esperienza della comunità musulmana di Medina, guidata da Maometto e dai suoi "Compagni", la struttura politica e giuridica del califfato e lo sviluppo storico della Shari'a. Molto meno evidente è il rapporto fra la Shari'a e i valori morali e spirituali caratteristici della predicazione profetica di Maometto alla Mecca e largamente presenti nel Corano e nella Sunna.

L'operazione esegetica nella quale An-Na'im si impegna sulla base di questa "metodologia evolutiva" è mostrare che il riferimento a passi del Corano e della Sunna del periodo meccano e l'abbandono, secondo il principio del naskh, dei passi del Corano e della Sunna del periodo medinese tematicamente corrispondenti, può essere molto fecondo. Può consentire per un verso di riscoprire i valori profondi del messaggio profetico di Maometto e per un altro verso di rendere il diritto pubblico islamico compatibile con i canoni moderni del costituzionalismo, della giustizia penale, del diritto internazionale e dei diritti umani. Secondo An-Na'im si tratta di una esigenza urgente e cruciale, in presenza di una crescente richiesta di identità oggi emergente all'interno del mondo islamico: questa richiesta tende, per ragioni storiche molto complesse, ad assumere le forme dell'integralismo e del ritorno ai canoni tradizionali della Shari'a. Queste rivendicazioni conservatrici - sostiene An-Na'im - non devono essere assecondate e occorre invece restituire dignità e vitalità al pensiero politico e giuridico islamico partendo da una versione del diritto pubblico sharaitico profondamente rinnovata.

Negli ultimi capitoli di Toward an Islamic Reformation An-Na'im si impegna a mostrare, con ampi riferimenti filologici al Corano, alla Sunna e alla Shari'a e sulla base di argomentazioni politiche e giuridiche molto lucide, che una serie di temi caratteristici della Shari'a possono e devono essere aggiornati. Gli assiomi generali che stanno alla base di questa difficile impresa esegetica sono quelli che secondo Mahmoud Mohamed Taha sono al centro del messaggio spirituale dell'Islam: l'eguale dignità di tutti gli esseri umani indipendentemente dalle loro differenze antropologiche, culturali e religiose; l'assoluta eguaglianza dei diritti delle donne rispetto a quelli degli uomini; la non discriminazione politica e giuridica delle minoranze non mussulmane; la totale libertà di scelta religiosa (ismah) da parte di tutti gli uomini, testimoniata personalmente da Maometto con la sua pacifica predicazione alla Mecca; il divieto di diffondere l'Islam con la forza delle armi.

I valori islamici della giustizia, dell'eguaglianza e della dignità di tutti gli esseri umani, sostiene An-Na'im, oggi esigono l'abbandono di una lunga serie di prescrizioni della Shari'a. La tecnica del naskh va anzitutto applicata a tutti i passi medinesi del Corano e della Sunna che disciplinano il matrimonio, il divorzio e l'eredità sulla base del principio discriminatorio del qawama, e cioè della protezione autoritaria che gli uomini hanno il dovere e il diritto di esercitare nei confronti delle donne, essendo il loro status sociale di rango superiore rispetto a quello femminile. Secondo la Shari'a gli uomini hanno persino il potere di percuotere "leggermente" le proprie mogli se le giudicano sregolate e disobbedienti (nashidh).

Un intervento abrogativo - sottolinea An-Na'im - non è mai stato deciso neppure nei confronti dell'istituto della schiavitù, che resta tuttora formalmente legale sulla base della Shari'a. La schiavitù è stata esplicitamente riconosciuta e regolata dal Corano e dalla Sunna ed è stata praticata a Medina sia da Maometto, sia dai suoi "Compagni". Secondo An-Na'im questa lacuna normativa è grave perché ancora oggi legittima di fatto trattamenti molto prossimi alla schiavitù, o addirittura incoraggia la pratica segreta della schiavitù, come è avvenuto e tuttora avviene in Sudan per opera di tribù musulmane.

Un'altra grave lacuna normativa della Shari'a, secondo An-Na'im, è l'assenza di qualsiasi riferimento ad istituzioni politiche che in qualche modo si richiamino - o possano essere accostate - al costituzionalismo occidentale e alla connessa dottrina dei diritti umani, oltre che ai documenti internazionali che hanno attribuito ai diritti umani un valore universale. Pur non considerando lo Stato costituzionale come un modello che debba essere necessariamente fatto proprio dai paesi islamici, An-Na'im lo considera un contributo teorico-politico di valore universale e che non può essere perciò trascurato dal mondo islamico, come non è stato trascurato dalla maggioranza dei paesi del mondo. La Shari'a ignora totalmente lo Stato costituzionale perché assume come modello di valore assoluto il regime politico affermatosi a Medina dopo la morte di Maometto, e cioè il califfato. Il Califfo è il "successore" (Khalifat) del Profeta e l'erede del suo supremo potere politico in quanto guida della comunità musulmana. La vaghezza delle regole procedurali previste dalla Shari'a per la nomina del Califfo ha consentito la degenerazione del califfato in una rigida monarchia ereditaria, nella quale la totalità dei poteri è stata concentrata nelle mani del Califfo. Lo stesso importante istituto della shura (consultazione) che impegnava il Califfo a consultare l'intera comunità musulmana sugli affari di Stato, non ha esercitato alcuna effettiva influenza sull'esercizio del potere califfale. La Shari'a non prescriveva una specifica procedura per la shura, né impegnava il Califfo a tener conto dei suoi risultati, essendo egli tenuto ad eseguire la volontà di Allah, non quella dei suoi sudditi.

La vita e la libertà sono per An-Na'im i diritti umani fondamentali che le costituzioni nazionali e l'ordinamento giuridico internazionale, a partire dalla Carta delle Nazioni Unite, oggi impongono come valori universali e che i paesi islamici dovrebbero riconoscere come tali. Ancora una volta la Shari'a dovrebbe essere radicalmente rivista poiché, richiamandosi anche in questo caso all'esperienza di Medina, essa autorizza i musulmani a usare la forza - la celebre jihad - contro gli infedeli, sia per difendersi dai loro attacchi, sia per fare loro guerra ai fini della diffusione dell'Islam. La pace è sostanzialmente esclusa dalla Shari'a ed è al contrario previsto un permanente stato di guerra - anche se non sempre, necessariamente, di guerra attiva - fra dar al-Islam, i territori dominati dai musulmani, e dar al-harb, l'area del mondo non ancora sotto il controllo islamico. Anche in questo caso la tecnica interpretativa del naskh dovrebbe essere utilizzata per far prevalere i passi del Corano e della Sunna che proclamano il valore della concordia e dei rapporti pacifici fra i popoli e che non autorizzano minimamente i musulmani a usare la violenza contro i non mussulmani per diffondere la fede in Allah.

Il riformismo radicale di An-Na'im si configura come un alternativa sia al modernismo post-musulmano, sia alle posizioni fondamentaliste che oggi tendono a egemonizzare il mondo islamico. Non si tratta né di un tentativo di archiviare il pensiero islamico tradizionale per aderire senza riserve alla modernità occidentale, né, tanto meno, di una velleitaria proposta integralista. An-Na'im raccomanda una nuova comprensione dei testi sacri e una profonda riforma della legge islamica e delle concezioni politiche tradizionali, di origine califfale. L'importanza del suo contributo intellettuale sta nel suo tentativo di dare vita una corrente di pensiero fortemente innovativo all'interno del mondo islamico. Altrettanto rilevante è la sua esplicita proposta di dialogo fra l'Islam e la modernità occidentale alla ricerca di un'intesa su alcuni essenziali temi giuridici e politici che renda possibile la comprensione reciproca e quindi la pace. Sarebbe molto grave se la sua voce non venisse ascoltata - nel mondo islamico, in Europa, negli Stati Uniti - e se il suo ottimismo venisse cinicamente irriso e squalificato.

Danilo Zolo