2005

A. Algostino, L'ambigua universalità dei diritti. Diritti occidentali o diritti della persona umana?, Jovene, Napoli 2005, pp. 504, ISBN 88-243-1549-6

Nel dibattito contemporaneo intorno ai diritti umani sembrano esistere due aree di discussione in cui viene in causa il problema dell'universalità dei diritti: da una parte la questione del loro riconoscimento internazionale, in rapporto, per esempio, ai cosiddetti valori asiatici; dall'altra, le tematiche connesse all'implementazione dei diritti umani in relazione alle minoranze culturali interne agli stati occidentali, che si esprime nel conflitto latente tra diritti e pratiche tradizionali. Il dato comune a entrambi i casi consiste nella difficoltà di modulare il contenuto e il 'formato' delle norme che stabiliscono i diritti umani in maniera tale da ottenere una formulazione realmente universale dei diritti umani, capace cioè di ricomprendere un insieme di valori, principi e regole d'azione ugualmente accettabili da parte di individui appartenenti a culture diverse. Proprio questo nodo problematico costituisce l'oggetto dell'indagine condotta da Alessandra Algostino in L'ambigua universalità dei diritti: determinare se sia possibile individuare un nucleo comune, transculturale, di regole di condotta su cui 'fondare' la validità universale dell'attuale catalogo dei diritti umani. La ricerca si articola complessivamente in due parti: la prima è dedicata a una ricostruzione storica e teorica della nozione di diritti dell'uomo - "diritti della persona umana" nella dizione prediletta dall'autrice; la seconda invece affronta più direttamente la questione della presunta universalità dei diritti, andando a toccare i profili connessi alla dimensione imperialistica del sistema dei diritti umani.

Come detto, i primi tre capitoli di L'ambigua universalità dei diritti sono dedicati a una messa a punto storico-teorica del concetto di diritti dell'uomo. In particolare il primo capitolo propone un lungo excursus attraverso la genesi della nozione. L'assunto iniziale è che "prima del XVIII secolo difficilmente si incontrano formulazioni dei diritti dell'uomo, così come si è oggi abituati a concepirli, ovvero nel senso di attribuzione di posizioni giuridiche soggettive in capo a ciascuna persona umana" (pag. 18). Infatti, da un lato le prescrizioni contenute nei grandi testi religiosi appaiono connotate dalla preminenza della figura deontologica del dovere, dall'altro le carte dei diritti dell'epoca premoderna, come la Magna Charta Libertatum, attribuiscono la titolarità delle posizioni soggettive che enunciano soltanto ad alcune categorie di individui. Ne segue che le vicende politiche e soprattutto teoriche antecedenti alle Dichiarazioni americane e francese della fine del settecento configurano una sorta di "preistoria dei diritti di libertà". In questo contesto Algostino ripercorre rapidamente la concezioni dei diritti di Grozio, Vitoria, Las Casas, Hobbes e Locke, soffermandosi infine sulle Dichiarazioni rivoluzionarie per sottolinearne, da un lato la diretta filiazione dal giusnaturalismo moderno, dall'altro il nesso che, per contrasto, esse istituiscono fra i diritti e la legge dello stato. A questo punto, tuttavia, l'itinerario storico, un po' sorprendentemente, si interrompe, lasciando inesplorata la traiettoria politica e istituzionale che i diritti dell'uomo hanno percorso negli ultimi due secoli. Vero è che una parte significativa di quel dibattito viene recuperata nei due capitoli successivi attraverso l'esame delle teorie sui fondamenti dei diritti umani e delle obiezioni mosse dai "critici dei diritti dell'uomo". Tuttavia, anche tenendo conto di queste integrazioni, sarebbe stato forse più opportuno concentrare l'esposizione nel capitolo iniziale.

L'intento di Algostino nel secondo capitolo sembra essere quello di elaborare una classificazione dei fondamenti dei diritti dell'uomo che organizzi le diverse teorie in relazione al rapporto che ciascuna di esse istituisce tra asserzioni fattuali e presupposti indimostrati - rapporto tra "vedo" e "credo" nella terminologia di Algostino. In questo modo, dopo aver preliminarmente respinto le definizioni meramente formali, del genere di quella proposta da Luigi Ferrajoli, incapaci di esplicitare il contenuto del catalogo dei diritti, vengono passate in rassegna quattro diverse strategie fondazionali: neogiusnaturalismo, storicismo - Algostino denomina storicismo la tesi in base alla quale i diritti umani si fondano sul consensus omnium gentium che storicamente si è formato intorno a essi -, positivismo e razionalismo. Algostino si serve di questa tassonomia - che in certi punti appare un po' forzata, soprattutto per quanto riguarda alcune esclusioni (Finnis, Gewirth, Hart e Sen) e semplificazioni (Habermas e Rawls) - per evidenziare quali principi a priori, quali postulati non dimostrabili siano presupposti da ciascuno dei tentativi di fondazione presi in esame. La conclusione complessiva è che nessuna teoria sul fondamento dei diritti dell'uomo appare completamente convincente, dal momento che tutte devono fare riferimento ad alcune assunzioni che devono essere "credute" senza essere altrimenti provabili. Tuttavia, dal momento che alcune teorie assumono dei presupposti più deboli e più facilmente condivisibili, anche ponendosi nell'ottica dei sostenitori delle altre teorie, è possibile accordare ad esse una sorta di preferenza. In particolare, l'opzione di Algostino è in favore di una declinazione della teoria del consenso che procede da una "concezione ottimista nei prodotti della storia e nella possibilità di individuare delle convergenze all'interno delle molteplici forme di vita umana" (p. 198). In altre parole, si tratta di riconoscere che i diritti umani possono essere fondati sulla constatazione di un'espansione, "lineare» e «convergente", nel corso delle vicende storiche, delle garanzie poste a tutela dell'integrità umana.

Non mi soffermerò sul breve terzo capitolo, dedicato all'esame delle posizioni di alcuni dei "critici dei diritti dell'uomo", da Burke, a Marx, a Bobbio, per passare direttamente ad analizzare i quattro capitoli che compongono la seconda parte del volume. I primi due capitoli, in particolare, presentano il nucleo centrale della tesi sostenuta da Algostino. Il primo - a mio avviso la sezione più interessante e più originale dell'intero lavoro - offre un'analisi comparativa della Dichiarazione Universale del 1948 e delle dichiarazioni 'continentali' sudamericane, africane, islamiche e asiatiche. L'obbiettivo è quello di valutare se, a partire dal confronto di questi documenti, sia possibile individuare un contenuto comune che possa avallare l'universalità dei diritti. A questo interrogativo Algostino risponde affermativamente, seppure con alcuni distinguo, sostenendo che "le dichiarazioni continentali sui diritti umani possono consentire di configurare dei diritti universali" (p. 297, corsivo dell'autore). Ciò significa che l'universalismo è possibile a patto che si accetti di limitarlo a un insieme ristretto di valori o di principi transculturali, che si concretizzano in prescrizioni potenzialmente diverse all'interno delle varie culture. L'uniformità e la condivisione è pensabile solo in relazione ad alcuni principi generali, che tuttavia possono tradursi in formulazioni differenti del catalogo dei diritti - appoggiandosi eventualmente a fondamenti o legittimazioni diverse - nel momento in cui vengono calati in uno specifico 'humus' culturale.

Questa posizione - denominata "universalismo situato" - viene ulteriormente articolata e difesa nel capitolo successivo attraverso l'esame delle teorie intorno al rapporto tra diritti umani e differenza culturale. In particolare, Algostino sostiene che la proposta dell'universalismo situato si colloca a metà strada fra la tesi - attribuita a Sen - dell'omogeneità culturale, che nega l'esistenza di differenze culturali significative, e quella - esemplificata da Huntington - dello scontro, che enfatizza invece l'incompatibilità delle assunzioni di valore che caratterizzano le diverse culture e il potenziale polemogeno insito nel loro confronto. Sembra dunque che emerga da queste considerazioni un quadro sostanzialmente ottimistico riguardo alle prospettive di universalizzare il catalogo dei diritti dell'uomo. Per contro, tuttavia, il volume si chiude con una rassegna di alcuni degli ostacoli che si oppongono a un apprezzamento positivo della dimensione universale e inclusiva dei diritti: la connotazione imperialistica dei diritti dell'uomo, messa in luce dall'ideologia dell'intervento umanitario; il rapporto tra diritti umani e cittadinanza nazionale; le difficoltà connesse alla conciliazione dei diritti con il rispetto delle identità tradizionali nell'Europa multiculturale.

In definitiva, L'ambigua universalità dei diritti propone sicuramente una panoramica ampia e articolata dei problemi connessi alla riflessione sull'universalità dei diritti umani, colmando un vuoto percepibile nel panorama editoriale italiano. Naturalmente non tutte le tesi sostenute dall'autore appaiono ugualmente condivisibili. In particolare, la tesi dell'universalismo situato, con cui Algostino tenta di risolvere l'impasse tra diritti universali e differenza culturale, non mi sembra completamente convincente. La proposta di ricercare un nucleo di principi essenziali e invarianti comune alle diverse dichiarazioni dei diritti, infatti, appare criticabile sia da un punto di vista epistemologico, perché postula l'esistenza di una dicotomia tra forma e contenuto scarsamente plausibile, sia da un punto di vista politico, dal momento che sembra riposare sull'idea di una considerazione unilaterale e tutto sommato paternalistica delle culture altre. L'esito complessivo è un certo irenismo, percepibile anche nella tesi secondo la quale i diritti possono essere fondati sull'esistenza di un consenso convergente e globale intorno a essi, che contrasta con le pagine dei due capitoli finali, in cui vengono lucidamente riconosciute le zone d'ombra della situazione attuale dei diritti umani. Da segnalare, infine, la ricca bibliografia - anche se composta quasi esclusivamente da lavori scritti o tradotti in italiano - che completa il volume.

Leonardo Marchettoni