2005

A. Alesina, E. Spolaore, The Size of Nations, The Mit Press, Cambridge (Ma) 2003, pp. x + 261, ISBN 0-262-01204-9

Alberto Alesina insegna Economics and Government a Harvard ed è uno degli economisti italiani maggiormente reputati. Diamo qui brevemente conto di un suo recente volume, scritto insieme a Enrico Spolaore, in quanto alcune analisi e implicazioni possono interessare anche lo studioso di sistemi politici e giuridici globali.

L'estensione degli Stati nazionali dipende, secondo gli autori, da un trade-off fondamentale fra i benefici della grandezza e i costi dell'eterogeneità. I vantaggi riguardano: a) un onere procapite minore per la produzione di beni pubblici - quando l'allargamento nazionale comporta una maggiore popolazione attiva -, poiché importanti voci di costo sono, per questi beni, indipendenti dal numero dei contribuenti; b) una maggiore potenza militare, e quindi una migliore protezione da aggressioni straniere; c) una superiore produttività, dato che la vastità del mercato interno - quando i confini nazionali rendono imperfetto il libero commercio mondiale - favorisce la specializzazione; d) forme di compensazione nei riguardi di regioni arretrate o vulnerabili; e) forme di redistribuzione tra gruppi e individui. I costi - a parte quelli di amministrazione e congestione, che spesso ma non sempre crescono all'aumentare del territorio - riguardano invece l'eterogeneità di preferenze, culture e linguaggi nella popolazione. Quando le politiche non possono o non vogliono essere delegate al livello locale, l'eterogeneità rende difficile la ricerca del consenso, necessaria in ogni tipo di regime politico, e rafforza la prospettiva di conflitti violenti.

La natura del trade-off dipende da molte forze economiche e istituzionali. Ricordiamone alcune. i) I regimi politici. Le dittature propendono per Stati più vasti, al fine di poter estrarre rendite maggiori dai propri sudditi. Proprio in quanto si oppongono alle tendenze accentratrici delle autocrazie, i movimenti separatistici si presentano spesso come propugnatori della democrazia. Idealmente, se l'intero pianeta fosse democratico, dovremmo pervenire al numero ottimale di paesi, calcolato in base al rapporto tra benefici della grandezza e costi dell'eterogeneità. Ma i processi reali divergono: può così ad esempio succedere che una regione, non ricevendo la compensazione di risorse che le spetterebbe se la democrazia nazionale funzionasse nell'"interesse generale", valuta opportuno staccarsi, rinunciando alle economie di scala proprie di un paese più grande. ii) Pace e guerra. Poiché le spese di difesa militare, nelle quali le economie di scala incidono molto, gravano in maggiore misura sui paesi piccoli, questi sono incentivati a formare coalizioni. Più il mondo appare privo di contrapposizioni tra grandi potenze, meno queste coalizioni servono, più forte è la spinta al separatismo politico: dunque un mondo pacifico tende a organizzarsi in Stati più piccoli e numerosi, così come di converso tali Stati piccoli e numerosi hanno maggiore convenienza a evitare grandi guerre. Peraltro, ciò resta valido fino a una soglia critica: quanto più si frazionano le nazioni, tanti più sono i confini che ognuna deve garantire; ciò finisce per aumentare, oltrepassata una certa soglia, la probabilità di scontri bellici localizzati. iii) Apertura commerciale. L'integrazione economica internazionale è correlata alla dimensione delle nazioni. Se vi sono barriere commerciali, l'ampiezza del mercato coincide con quella del paese. Se ogni barriera cade, per ognuno il mercato è il mondo intero: da ciò il maggior favore "di principio" verso il libero scambio da parte dei paesi piccoli. Più il pianeta è commercialmente integrato, in minor grado i vantaggi delle economie di scala dipendono dai confini nazionali, e maggiore diventa la spinta all'indipendenza di territori aventi ciascuno preferenze (relativamente) omogenee ma diverse tra loro. Inoltre, al crescere della quantità di piccole economie tra loro integrate, aumenta l'esigenza di istituzioni sovranazionali dedite a preservare i mercati e a coordinare le politiche, mentre, come indica la teoria delle aree valutarie ottimali, si riduce il numero delle monete. Queste considerazioni spiegano la duplice valenza di un unico trend, il quale per un verso sollecita coagulazioni continentali in varie parti del mondo, ma per l'altro le realizza non tanto da parte di Regno Unito, Italia o Spagna, bensì da parte di Scozia, Nord Italia o Catalogna. iv) Livelli di centralizzazione del governo. Un'autocrazia propende verso un sistema centralizzato nel quale, trascurando l'eterogeneità dei sudditi, può uniformare i beni pubblici offerti, per ridurne i costi e accrescere la propria rendita. Se però l'eterogeneità è troppo forte, sale anche il pericolo d'insubordinazione nelle varie aree del paese. Conviene allora avviare una decentralizzazione che conferisca al cittadino la scelta tra diverse giurisdizioni. In tal modo inizia altresì a ridursi il potere monopolistico del Leviatano, stabilendo una relazione positiva tra decentralizzazione e democratizzazione.

Questi pochi cenni non danno conto dei brillanti modelli formali coi quali gli autori supportano i loro argomenti. Ovviamente nessuno di tali modelli è in grado di "dimostrare" una tesi, né di giustificare un nesso causale; essi si limitano a illustrare con rigore entro quali assunzioni un asserto è valido. Si possono nondimeno individuare alcune proposizioni forti - sostenute così dall'analisi ragionata, come dalla modellizzazione, come dai riscontri storico-empirici (a cui il libro consacra alcuni densi capitoli) - che sembrano costituire il "cuore" dell'opera e il "messaggio" di fondo che gli autori ci trasmettono: 1) l'integrazione economica e il separatismo politico procedono congiuntamente, quindi l'avanzare della globalizzazione sta portando ed è destinato a portare ulteriormente verso un maggiore numero di piccoli Stati; 2) l'integrazione economica richiede alcuni cruciali beni pubblici sovranazionali, ma essi sono producibili e finanziabili consensualmente a misura che afferiscono a governi di livello relativamente decentralizzato, ossia quanto più riguardano giurisdizioni territoriali limitate e flessibili; 3) l'integrazione economica, la democratizzazione e la riduzione delle guerre sono associate alla formazione di Stati piccoli.

Nicolò Bellanca