2006

B.A. Ackerly, Political Theory and Feminist Social Criticism, Cambridge University Press, Cambridge 2000, pp. 234

Dall'esperienza sul campo affianco di donne del terzo mondo, operanti in diverse organizzazioni non governative, quali Save the Children in Bangladesh e Self-Employed Women's Association (SEWA) in India, la Ackerly trae in questo lavoro importanti implicazioni teoriche che toccano questioni cruciali per la filosofia politica contemporanea e offrono al contempo un contributo al dibattito sulla teoria della critica sociale, sulla teoria della democrazia deliberativa, sul rapporto tra relativismo e universalismo. L'autrice stessa considera il proprio contributo teorico un distillato dell'esperienza dell'attivismo delle donne del terzo mondo, dove l'espressione "terzo mondo" è scelta con l'intento preciso di evitare tanto le valutazioni negative implicite in etichette alternative quali "paesi meno sviluppati" o "sottosviluppati", quanto per ricordare che le attiviste femministe del terzo mondo sono oggi alla ricerca di una "terza via", così come lo erano i leader del terzo mondo negli anni cinquanta (cfr. pp. 15-16).

Il lavoro della Ackerly, che rappresenta un esempio riuscito di come sia possibile coniugare osservazione e teoria sociale, è un tentativo di esplicitare le premesse e i principi che animano la prassi delle donne operanti in tante organizzazioni non governative in una larga parte del mondo contemporaneo. Tale prassi si articola, secondo la Ackerly, intorno a tre momenti: a) la deliberazione come processo di indagine, b) l'analisi scettica (skeptical inquiry) dei valori, delle pratiche e delle consuetudini sociali condivise, al fine di rivelarne le eventuali implicazioni inegualitarie, e, infine, c) l'individuazione di una lista di criteri guida universali. La lista di principi che la Ackerly propone (cfr. pp. 114-116) si ispira alla list of capabilities della Nussbaum e risponde in parte alle stesse esigenze: sfuggire all'inazione del relativismo e dare mordente alla critica sociale. Essa, tuttavia, per evitare il rischio di essenzialismo in cui incorre la Nussbaum, non viene avanzata come tale da fornire da sola una valida metologia critica: è necessario, da un lato, utilizzarla nell'indagine deliberativa per verificarne le interpretazioni locali e, dall'altro, sottoporla a scrutinio critico per "assicurarsi che le interpretazioni locali della lista non perpetuino o acuiscano le diseguaglianze esistenti, e siano anzi in grado di metterle in discussione" (p. 111). La specificazione dei caratteri propri di ciascuno di questi momenti della sua teoria critica impegna la Ackerly in un'interessante e lucida disamina delle teorie della democrazia deliberativa, nelle molte versioni oggi presenti nella letteratura contemporanea, e delle teorie della critica sociale proposte rispettivamente da Martha Nussbaum e da Michael Walzer.

Il metodo proposto dalle attiviste del terzo mondo presenta come primo elemento innovativo la compresenza di momento deliberativo e momento della critica sociale. Nell'adozione dell'approccio deliberativo la prassi femminista rivela i limiti delle teorie della democrazia deliberativa, o almeno di alcune sue formulazioni. Optando per una deliberazione "ragionata", piuttosto che una deliberazione ampiamente informata, le teorie della democrazia deliberativa rivelano una tendenza esclusiva e potenzialmente elitista. In contesti dove sono presenti forti diseguaglianze, assai lontani dalle condizioni ideali dell'argomentazione richieste da molte teorie della democrazia deliberativa, le attiviste femministe hanno mostrato l'importanza di una deliberazione volta, più che al raggiungimento dell'accordo, all'acquisizione di conoscenza. Ciò che è significante nella fase deliberativa è la raccolta di fatti e la diffusione della loro conoscenza, la scoperta di preferenze e identità, la crescita individuale e comunitaria e il processo di apprendimento. Ciò che è rilevante è l'inclusività del processo deliberativo: "Quanto si dice e come si dice deve essere meno importante per una teoria della democrazia deliberativa del fatto che uno sia ascoltato, capito e considerato" (p. 55). Il discorso "irragionevole" deve essere accolto nella conversazione e ascoltato anche se viola quelle che si ritengono le regole comunemente accettate del rispetto. Solo così si potrà dare accesso al momento deliberativo anche a voci silenziose o inascoltate (cfr. ivi).

Se la fase dell'indagine deliberativa deve unirsi al momento della critica sociale, il modello di critica che soccorre la prassi delle attiviste femministe ha caratteristiche particolari. In primo luogo, esso non limita il mestiere di critico sociale ai soli intellettuali organici: tutti sono o possono essere critici sociali, capaci attraverso la critica di innescare il cambiamento, anche se alcuni di essi alcuni saranno critici organici o interni, altri critici esterni, altri ancora critici multisituati, ovvero persone la cui prospettiva critica è maturata dall'esperienza di un continuo muoversi tra contesti diversi. L'accademia non ha il monopolio della critica sociale, altre e diverse sfere pubbliche possono avere un ruolo fondamentale. Le teorie della critica sociale proposte da Martha Nussbaum e da Michael Walzer presentano per la Ackerly limiti evidenti, ma opposti. Per Walzer il critico sociale deve individuare le pratiche e i significati sociali condivisi all'interno di una comunità per valutarne la coerenza interna e le eventuali incongruenze o contraddizioni. Il critico sociale walzeriano è schizofrenicamente diviso tra il suo ruolo di interprete dei significati sociali condivisi e il suo ruolo di critico dell'oppressione sociale. Martha Nussbaum sfugge al relativismo di Walzer e individua una lista di criteri universali che ritiene dovrebbero trovare condivisione tra tutti gli esseri umani se desiderano vivere una vita pienamente umana. La lista della Nussbaum, secondo la Ackerly, è priva degli strumenti per interpretare situazioni specifiche e rischia di proporre come universali i pregiudizi liberali dell'interprete e critico sociale. In effetti, potremmo dire che se per la Ackerly la teoria sembra farsi soprattutto nella prassi critica, per la Nussbaum, la prassi appare piuttosto l'esito di una teoria.

L'approccio delle attiviste femministe del terzo mondo unisce la sensibilità relativista per le particolarità e le differenze locali con la necessità, presente nelle visioni universaliste, di individuare una lista di criteri che consentano una prospettiva critica. La Ackerly analizza diversi tentativi in questa direzione: nel capitolo quarto prende in considerazione, in particolare, le liste di criteri universalisti avanzate dalle attiviste per i diritti umani che si riconoscono nella Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (1979), e chiedono il riconoscimento internazionale delle violazioni dei diritti umani delle donne; nel capitolo quinto vengono invece analizzate le proposte di Patricia Hill Collins, dell'associazione Women Living Under Muslim Laws e del Development Alternatives for Women in a New Era, che hanno articolato liste di principi universali basati su bisogni locali, attraverso l'esperienza di una critica multisituata, mediante un lavoro di valutazione di costumi e tradizioni religiose e culturali locali cui hanno partecipato donne di diverse estrazioni sociali, e di diverso livello culturale: attiviste, avvocate, intellettuali.

Brunella Casalini

Altre recensioni:

  • Roxanne L. Euben, Review Essay on Mandany and Ackerly, "Political Theory", 29, 6 (Dec. 2001).
  • Tracy Pintchman, Reviewed Work: B. A. Ackerly, Political Theory and Feminist Social Criticism, Cambridge University Press, New York 2000, "The Journal of Asian Studies", 60, 4 (Nov., 2001), pp. 1117-1118
  • Fiona Robinson, Reviewed Work: B. A. Ackerly, Political Theory and Feminist Social Criticism, Cambridge: Cambridge University Press, 2000, "Feminist Theory", August, 2001, pp. 253-255.
  • Iris Marion Young, Reviewed Work: B. A. Ackerly, Political Theory and Feminist Social Criticism, Cambridge University Press, New York 2000, "American Political Science Review", 95, 3 (2001), p. 713.