2005

Universalismo e diritti delle donne:
il contributo di Martha Nussbaum (*)

Brunella Casalini

All'attivismo contemporaneo in tema di diritti umani corrisponde spesso sul piano della teoria un atteggiamento rinunciatario. L'appello al consenso, al fatto che i diritti umani dovrebbero considerarsi ormai generalmente accettati, stante l'ampio numero di paesi che hanno ratificato le principali convenzioni internazionali, si rivela una sorta d'escamotage per evitare la questione della loro giustificazione sul piano filosofico (1). Molti segnali, tuttavia, dovrebbero suggerire la debolezza di questa posizione: le numerose violazioni di fatto dei trattati da parte degli stessi paesi firmatari, la sfida all'universalismo che viene sia dai teorici del multiculturalismo, sia dai sostenitori dei c.d. Asian Values.

Il bisogno di argomenti e ragioni che rafforzino quanto sancito da carte e convenzioni emerge in particolar modo qualora si prenda in considerazione la questione dei diritti delle donne quali diritti umani fondamentali. L'impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti delle donne è stato sancito dalla Cedaw (2), la convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata nel 1979 ed entrata in vigore nel 1981. La quarta conferenza ONU sulle donne, tenutasi a Pechino nel settembre del 1995, ha ribadito, facendone "quasi uno slogan", quanto già affermato a Vienna nel 1993, ovvero che i diritti delle donne devono considerarsi "diritti umani fondamentali" (3). Un ulteriore importante strumento sul piano giuridico-applicativo è stato ottenuto con l'adozione del Protocollo opzionale, entrato in vigore nel dicembre 2000, attraverso il quale gli stati membri firmatari riconoscono a singole donne e a gruppi di donne la possibilità di far ricorso al Comitato Cedaw per denunciare eventuali violazioni dei diritti stabiliti dalla convenzione (4).

L'efficacia di questi strumenti rimane, però, limitata. Vincoli procedurali e di budget continuano ad ostacolare l'operato del Comitato Cedaw, molto più di quanto non accada ad altri analoghi organismi delle Nazioni Unite. A differenza del Comitato sui diritti umani e del Comitato sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, fino all'adozione del Protocollo opzionale, il Comitato Cedaw non poteva ricevere petizioni di singoli individui o gruppi. D'altra parte, si deve ricordare che la Cedaw, pur essendo stata ratificata ad oggi da 168 stati membri dell'ONU (con l'eccezione, degna di nota, degli Stati Uniti d'America), è stata recepita con un alto numero di riserve. Molti stati hanno ratificato la Cedaw riservandosi di tener conto nella sua applicazione delle esigenze derivanti dall'esistenza di tradizioni locali culturali e religiose in tensione con i principi affermati dalla convenzione. Se pochi sono i paesi islamici che hanno ratificato la convenzione, quei pochi hanno accettato con la riserva di dare comunque priorità ai principi stabiliti dalla Sharia (5).

Susan Moller Okin ha sostenuto che a fronte dell'attuale situazione "delle religioni e delle culture mondiali l'attribuzione di valore a culture e religioni indipendente dal loro contenuto e delle pratiche ammesse al loro interno è probabilmente un contributo a giustificare la violazione, a ostacolare e a trascurare i diritti della donna" (6). Secondo la Okin, alla domanda "Is Multiculturalism bad for Women?" (7) la risposta dovrebbe essere che nello stato attuale riconoscere diritti ad alcuni gruppi in relazione alle loro tradizioni culturali e religiose rischia di legittimare le condizioni di subordinazione e dominio in cui le donne si trovano all'interno della maggior parte delle religioni e delle culture tradizionali. La preoccupazione della Okin è condivisa da Martha Nussbaum (sebbene le due autrici assumano posizioni per altri versi distanti (8)). Anche per Nussbaum il relativismo culturale è pericolosamente vicino ad una convergenza con le posizioni razziste e sessiste di numerose tradizioni locali. Per rispondere alle sfide e ai pericoli del relativismo è necessario, secondo Nussbaum, recuperare una qualche forma di essenzialismo. In particolare, come vedremo, essa ricorre ad una peculiare interpretazione dell'essenzialismo aristotelico, discostandosi da altre versioni contemporanee dell'aristotelismo (9) - come quella di MacIntyre -, che tendono piuttosto a mettere in luce il carattere olistico della teoria aristotelica del bene e a declinarla in senso relativistico, sostenendo che gli unici criteri appropriati del bene sono locali, ovvero interni alle pratiche di ogni singola società (10).

1. In Women and Human Development. The Capabilities Approach (11), Martha Nussbaum si confronta con questi problemi a partire dall'analisi della situazione delle donne in uno specifico paese in via di sviluppo: l'India. Frutto della sua attività di consulente presso l'United Nations University's World Institute for Development Economics Research e di due intensi viaggi di studio in India nel marzo del 1997 e nel dicembre del 1998, questo lavoro si muove lungo tre binari: quello filosofico-politico, quello giuridico-comparativo, e, infine, quello narrativo. Il racconto della storia di due donne indiane, Vasanti e Jayamma, che accompagna i diversi capitoli del libro, ha l'intento di ampliare il nostro orizzonte immaginativo e di accrescere le nostre capacità empatetiche di comprensione dell'alterità. Esso risponde all'idea - enunciata anche in altre opere della Nussbaum - che l'immaginazione letteraria sia "una componente essenziale di una posizione etica che ci chiede di preoccuparci del bene di altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra" (12). Come se si trattasse di stralci di un romanzo, le vite di Vasanti e Jayamma mostrano il possibile, ciò che può accadere in una vita umana: quanto di essa è frutto di scelta, quanto invece dipende dalle circostanze materiali, sociali e culturali in cui una vita è vissuta. Il racconto dei percorsi così diversi di queste due donne, collocate l'una "nella frangia povera della piccola borghesia" e l'altra "al fondo della scala economica", sottolinea la necessità di mantenere distinta la vita separata di ognuno, di tener conto della qualità della vita individuale.

E' questo della separatezza delle persone, insieme all'elemento della qualità della vita, uno dei punti qualificanti l'approccio delle capacità che Nussbaum sceglie per affrontare la questione della donna nei paesi in via di sviluppo. Elaborato nei primi anni ottanta da Amartya Sen nell'ambito dell'analisi economica - l'approccio delle capacità misura la qualità della vita, assumendo come parametro non le preferenze espresse o il reddito pro capite, ma la valutazione di ciò che le persone sono realmente in grado di fare o di essere, in aree della vita ritenute essenziali. Alla base di quest'approccio è una disamina dei limiti delle prospettive utilitariste e welfariste. Nussbaum e Sen criticano l'idea di persona che è presupposta da queste teorie, ovvero quella di un contenitore di utilità, la cui individualità non conta più di quanto possa contare nel calcolo del consumo nazionale di petrolio la distinzione tra i singoli barili o serbatoi (13). Essi, inoltre, sottolineano gli errori in cui si può incorrere nella valutazione della qualità della vita prendendo per buone le preferenze espresse, senza tener conto del fenomeno delle c.d. "preferenze adattive". Proprio durante ricerche condotte sulle condizioni di vita delle donne nei paesi in via di sviluppo, Sen si è reso conto che spesso donne in condizioni di estrema povertà e disagio non sono in grado di manifestare insoddisfazione e sofferenza, perché fatalisticamente piegate all'accettazione del loro destino. Da qui l'idea che solo con un approccio volto a misurare non l'opulenza o l'utilità, ma ciò che queste donne potevano effettivamente fare o essere, ovvero le loro capacità effettive di funzionamento, nelle situazioni in cui si trovavano a vivere, fosse possibile giungere ad un confronto significativo sulle reali condizioni economiche di diversi paesi.

Un ulteriore pregio dell'approccio delle capacità, rispetto alle concezioni centrate sulle risorse e sul reddito pro-capite, consiste, secondo Nussbaum, nel porre chiaramente in evidenza il fatto che la ricchezza deve essere concepita solo come un mezzo in vista del fine del pieno funzionamento umano, e non come un fine in sé. E' questo un punto che accomuna la sua posizione a quella di altri neo-aristotelici, come Green, Barker e Maritain: "Tutti questi pensatori - scrive - hanno trovato in Aristotele l'idea che fine ultimo della politica è sostenere una ricca 'pluralità di attività umane vitali', per usare una frase di Marx, e che queste attività sono distinte le une dalle altre e ciascuna avente valore in sé. La ricchezza è un mezzo per l'attività umana e l'attività umana non dovrebbe mai essere valutata solo dalla sua tendenza a produrre ricchezza" (14).

Riprendendo il capability approach di Sen, in Women and Human Development Martha Nussbaum intende farne un uso in parte diverso e, sicuramente, più ambizioso. Suo intento è, infatti, - scrive - "superare l'uso meramente comparativo" ed elaborare una lista universalistica (aperta e rivedibile) di capacità umane fondamentali che possa essere proposta come "base per l'elaborazione di principi costituzionali fondamentali", che dovrebbero essere rispettati dai governi di tutte le nazioni, e poter essere rivendicati da tutti i cittadini, perché possa dirsi garantito il minimo essenziale per il rispetto della dignità umana (15). La lista di capacità che Nussbaum propone è una lista di capacità individuali (nel senso che è implicito in essa il principio della persona come fine), ognuna delle quali presuppone l'idea di una soglia di livello minimo, ovvero un livello al di sotto del quale i cittadini non sono in grado di giungere a un vero funzionamento umano.

2. Vale qui la pena soffermarsi sul tipo di fondazione che Nussbaum invoca a sostegno di questa lista di capacità, che comprende: vita, salute, integrità fisica, sentimenti, ragion pratica, appartenenza, essere in grado di vivere con le altre specie avendone cura, gioco, controllo del proprio ambiente sia politico che materiale. Nussbaum afferma, in questo e in altri scritti, che la sua lista di capacità si fonda su una visione essenzialista dell'essere umano. Qui e altrove ella, però, precisa che il suo essenzialismo prescinde da una qualsiasi concezione metafisica della natura, o da un resoconto "esternista" dell'essenza umana (16). Per visione "esternista" in etica s'intende una visione che assuma la possibilità di "uno sguardo da nessun luogo", la visione dell'occhio di Dio, ovvero una visione che prescinde totalmente dalle nostre speranze, dalle nostre paure, e dalle nostre credenze. Il punto di partenza della Nussbaum è, invece, "internista": esso muove da un'indagine dichiaratamente valutativa relativa alle nostre intuizioni su ciò che conta nelle nostre vite umane, e non viene dedotta né da una qualche teologia naturale né da una qualsiasi fonte non morale (17). Attraverso l'appello al concetto di essere umano è possibile, secondo Nussbaum, giungere all'individuazione di alcuni "provisional fixed points" non negoziabili nei nostri giudizi, che possiamo testare alla luce di diverse teorie, per verificare se le teorie sono in grado di rispondere ad essi o se i principi devono essere riformati.

Ai fini della giustificazione del loro approccio, sia Nussbaum sia Sen fanno ricorso alla procedura rawlsiana dell'equilibrio riflessivo. Questa procedura viene applicata in un ambito esplicitamente politico ricercando un accordo tra persone che hanno concezioni comprensive diverse. A differenza di Sen, tuttavia Nussbaum ritiene che attraverso tale procedura, sottoponendo i punti fissi intuitivi circa cosa significhi vivere una vita autenticamente umana al test di diverse concezioni morali, sia possibile giungere ad un resoconto normativo oggettivo dei funzionamenti umani fondamentali (18). Seguendo Aristotele l'autrice di Women and Human Capabilities sostiene la possibilità di individuare un'unica lista di funzionamenti umani, seppure storico-empirica e sempre aperta a successive revisioni. Per Sen, che non ha mai fornito una lista delle capacità, la strada intrapresa dalla Nussbaum potrebbe non essere inconsistente con il suo approccio, ma, in ogni caso, non è ad esso necessaria. Egli, d'altra parte, non ha nascosto le sue perplessità per la concezione "overspecified" di natura umana che la posizione della Nussbaum implica, e ha sempre preferito un approccio generale ad un approccio valutativo completo (19). Alla domanda perché fermarsi ad un approccio generale? Sen risponde che "...la motivazione sottostante ha a che fare con il riconoscimento del fatto che un accordo sull'usabilità dell'approccio delle capacità - un accordo sulla valutazione dello spazio degli object-values - non ha bisogno di presupporre un accordo su come l'esercizio valutativo può essere completato. E' possibile essere in disaccordo sia sulle basi esatte sui cui si fonda la determinazione dei pesi relativi, sia sui pesi relativi effettivi scelti, persino quando c'è un accordo ponderato sulla natura generale degli object-values (in questo caso, funzionamenti personali e capacità). Il fatto che l'approccio delle capacità sia consistente con diverse teorie sostantive non dovrebbe essere una fonte di imbarazzo". L'approccio delle capacità di Sen non ha bisogno "di un previo accordo sui valori relativi dei diversi funzionamenti e delle diverse capacità, o su una specifica procedura per decidere di questi valori relativi" (20), esso funziona anche in assenza di un accordo su un qualche visione comprensiva. In questo senso, Sen rimane più vicino alla teoria di Rawls (21), sebbene - come vedremo - anche Nussbaum guardi a Rawls come ad un interlocutore privilegiato e confessi che nei suoi ultimi lavori è divenuta sempre più forte l'influenza di Kant e Rawls sul suo pensiero. Nussbaum sposa, in particolare, l'idea rawlsiana di un liberalismo politico e non comprensivo, ovvero di un liberalismo che parte dall'accettazione dell'esistenza di una pluralità di dottrine comprensive ragionevoli e chiede ai propri cittadini un'adesione politica, e non "metafisica", ai principi che sorreggono le istituzioni politiche fondamentali, principi tra i quali deve collocarsi in primo luogo il principio dell'eguaglianza dei cittadini. A differenza del liberalismo comprensivo - di un John Stuart Mill o di un Joseph Raz -, il liberalismo politico non attribuisce allo stato il compito di favorire la formazione di cittadini autonomi, e non si pronuncia sul fatto se vite autonome debbano, o no, considerarsi migliori di "vite gerarchicamente ordinate" (22).

3. In Women and Human Capabilities, la lista delle capacità è intesa come una sorta di rielaborazione critica dell'elenco dei "beni principali" proposto da Rawls in A Theory of Justice: "Possiamo considerare l'elenco delle capacità - scrive Nussbaum - come una lista di opportunità di funzionamento, in modo che sia sempre razionale volerle indipendentemente da quello che si vuole". Come già sostenuto da Sen - il limite dell'approccio rawlsiano consisterebbe nel misurare chi sta peggio e chi sta meglio in base alla risorse disponibili. Ciò potrebbe funzionare, per Nussbaum (e Sen), se gli individui fossero sostanzialmente simili, ma nella realtà gli individui presentano forti variazioni sia dal punto di vista delle risorse di cui possono avere bisogno sia della loro capacità di trasformare risorse in funzionamenti. L'enfasi sulla ricchezza e sul reddito presente nella lista dei beni principali di Rawls non tiene sufficientemente conto del fatto che le circostanze sono un elemento spesso determinante per la qualità della vita. Se anche le donne indiane potessero godere dello stesso reddito degli uomini le loro opportunità e la loro effettiva libertà sarebbero ancora fortemente condizionate dalle circostanze in cui si trovano a vivere e dalla posizione di svantaggio dalla quale si trovano a dover partire. Una teoria della giustizia, per Nussbaum, deve tener conto non solo delle libertà negative e dei beni primari ma anche delle effettive libertà positive di ottenere certi funzionamenti. D'accordo su questo punto con Sen, l'autrice afferma che "i criteri generali basati sull'utilità e sulle risorse risultano insensibili alle variazioni contestuali, al modo in cui le circostanze formano le preferenze e le capacità degli individui di trasformare risorse in attività umana significativa" (23).

Il passaggio dal linguaggio delle risorse a quello delle capacità, non è tuttavia l'unica variazione significativa introdotta in Women and Human Capabilities rispetto alla concezione di Rawls. Se quest'ultimo, infatti, ha sostenuto che la sua teoria della giustizia nasce all'interno della tradizione politica occidentale, Nussbaum considera la sua lista delle capacità come risultato di una comunicazione in cui "l'orizzonte di comunicabilità" non è fissato da un ethos condiviso, ma dal genere umano" (24). La lista è concepita in modo che su di essa possano risultare convergenti le nostre intuizioni ponderate su quelle "funzioni che sono particolarmente essenziali per la vita umana, nel senso che la loro presenza o assenza è contrassegno caratteristico della presenza o assenza della vita umana" e sull'idea che possa darsi un modo particolarmente umano, e non meramente animale, di assolvere a queste funzioni. Nussbaum ritiene che la possibilità di questo consenso universale abbia trovato una qualche forma di conferma nelle discussioni svolte durante numerose occasioni di incontro multiculturale, in seguito alle quali la lista è stata affinata, rivista e ampliata. Se Rawls, infine, pensa di poter proporre un elenco di beni che prescinda da una qualche concezione del bene, Nussbaum afferma che non è possibile fare a meno di una qualche idea di autentico funzionamento umano, e che Rawls stesso in qualche misura è costretto a presupporla quando parla della società come impresa cooperativa e del valore della scelta autonoma.

4. Vediamo meglio quali sono le idee che informano la lista delle capacità formulata dalla Nussbaum. Essa - si legge in Women and Human Development - non costituisce "una teoria della giustizia completa, ma ci dà la base per determinare un minimo sociale accettabile in varie aree" (25). Parte integrante della visione neo-aristotelica che ispira la lista delle capacità, insieme all'idea kantiana dell'inviolabilità della persona, è l'importanza centrale attribuita alla socialità e alla ragion pratica, come funzionamenti che sostengono tutti gli altri rendendo il loro conseguimento pienamente umano. Con l'accento particolare posto su tali voci della lista, Nussbaum sembra voler accentuare la possibilità dell'approccio delle capacità di presentarsi come alternativa plausibile a quella visione individualistica delle libertà e dei diritti che pare essere più forte in occidente che in altre culture, e alla quale - a suo avviso erroneamente - è stata ridotta la tradizione liberale occidentale.

L'elenco è una lista di capacità combinate: esso considera il fatto che tutte le capacità interne (dal sapere parlare, al sapere giocare, alle capacità procreative, ecc..) hanno bisogno di un ambiente circostante che ne favorisca lo sviluppo. Esso insiste cioè sulla "duplice importanza delle circostanze materiali e sociali, sia nella formazione delle capacità interne, sia nella loro espressione una volta formate ..." (26)

Un aspetto importante dell'approccio della Nussbaum è dato dalla distinzione tra capacità e funzionamenti. Lo stato dovrebbe impegnarsi nella promozione delle capacità, non nel richiedere ai propri cittadini particolari funzionamenti. "Quando si tratta di cittadini adulti, la capacità non il funzionamento, è la meta politica appropriata" (27). Questa distinzione è necessaria se si vuol rispettare il valore della ragion pratica nelle scelte individuali, e non cadere in forme di paternalismo poco rispettose del pluralismo. Il pluralismo è qui salvaguardato dal fatto che la promozione della lista delle capacità è aperta a funzionamenti relativistici. Una volta articolata tale differenziazione, tuttavia, l'autrice è costretta a reintrodurre tutta una serie di casi e circostanze in cui pare quanto meno discutibile che lo stato possa accontentarsi di promuovere capacità senza richiedere specifici funzionamenti. Sia il fatto che alcune scelte possono ridurre o comportare una rinuncia permanente a determinate capacità (come nel caso della mutilazione genitale femminile), sia la considerazione che per incoraggiare la formazione di alcune capacità possa essere talvolta utile esigere certi funzionamenti mostrano la difficoltà di eliminare del tutto alcune forme di "paternalismo". I limiti entro cui tale azione paternalistica è ammissibile dovrebbero essere lasciati - secondo Nussbaum - "ai processi democratici di ciascuna nazione" (28). L'accusa di paternalismo spesso rivolta alle teorie universaliste è una delle difficoltà con cui l'autrice si confronta più seriamente sul piano teorico nel corso di Women e Human Development - come vedremo sia dalla sua analisi del ruolo delle preferenze nella giustificazione di scelte politiche fondamentali sia dal suo tentativo di rispondere alle sfide del relativismo. Non c'è dubbio, tuttavia, che prendendo in considerazione i casi in cui lo stato non può accontentarsi di garantire capacità, Nussbaum si trovi almeno parzialmente in contraddizione con la sua opzione per un "liberalismo politico" e non "comprensivo". Ciò emerge chiaramente quando scrive: "Se aspiriamo a produrre adulti che abbiano tutte le capacità elencate, ciò comporterà spesso richiedere certi tipi di funzionamento nei bambini, poiché, come ho sostenuto, è spesso necessario esercitare una funzione nell'infanzia per produrre una capacità adulta matura" e, ancora, quando sostiene che in base a questo interesse sembra legittimo richiedere l'istruzione primaria e secondaria, nonché esigere che i genitori garantiscano la salute, l'integrità fisica e il benessere emotivo dei loro figli, e prevenire e punire eventuali abusi o negligenze in tal senso. D'altra parte l'obbligo dello stato di garantire la lista completa delle capacità, indipendentemente dai funzionamenti che un individuo può decidere o meno di perseguire, non implica forse come valore di fondo il fatto che le opzioni di vita, anche quella di rinunciare ad un insieme di capacità, sono giustificate solo se sono autonome? Detto in altri termini, l'autonomia rimane un valore fondamentale all'interno del liberalismo della Nussbaum, anche se esso consente che la si possa giocare per sottomettersi ad una vita ordinata gerarchicamente, in quanto quella subordinazione rimane accettabile solo se avviene in un contesto che garantisce la scelta, il che presuppone non solo un insieme di capacità, ma anche un individuo in grado di scegliere (29).

5. L'elaborazione di norme universali che trascendano barriere culturali, religiose di razza e di genere è - come abbiamo visto - una questione strategica urgente, secondo Nussbaum, nella prospettiva del femminismo internazionale, e più in generale dal punto di vista di un governo della globalizzazione, che sappia imporre "vincoli alle scelte utilitaristiche che le nazioni possono fare" (30). Una prospettiva universalista, tuttavia, non può oggi evitare un confronto con le sfide e gli argomenti dei sostenitori del relativismo e del multiculturalismo. L'argomento meno serio e più debole nei confronti dell'universalismo è costituito, secondo Nussbaum, dall'accusa di occidentalizzazione. La scelta del punto di vista delle donne in un paese come l'India, che è la più grande democrazia al mondo, e che gode di un sistema costituzionale che riconosce sul piano formale l'eguaglianza dei diritti civili e politici delle donne, offre alla Nussbaum una posizione particolarmente favorevole contro quanti sono pronti al sospetto di fronte al linguaggio universalistico in materia di giustizia e diritti umani. Nussbaum non nasconde la sua irritazione nei confronti di quegli occidentali che per "senso di colpa" o per cattiva informazione si ostinano a voler considerare tutti i mali di un paese come l'India e delle donne indiane come un portato della colonizzazione e dell'Occidente: "chi sostiene che le donne erano tutte felici in India prima che le idee occidentali venissero a turbarle non merita attenzione, perché ignora - scrive - enormi lembi di realtà, tra cui il movimento indigeno per l'educazione femminile, per l'abolizione della purdah, per la partecipazione politica delle donne, che si sono rafforzati nel corso dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, sia nella tradizione indù sia nella tradizione musulmana, in qualche modo precedendo il movimento femminista britannico e statunitense. Allo stesso modo si rivela fuori della realtà chi oggi neghi che le idee di libertà politica, uguaglianza sessuale e non discriminazione siano idee indiane ..." (31). La vera sfida che l'universalismo deve affrontare e prendere sul serio è rappresentata per Nussbaum dalla possibilità di proporre criteri universali che riescano ad essere abbastanza flessibili e sensibili verso la complessità di tradizioni diverse e di contesti quotidiani complessi.

Una prospettiva universalista deve rispondere ad almeno tre argomenti più seri dell'accusa di occidentalizzazione. Il primo argomento è relativo al problema della diversità culturale. L'universalismo, secondo i teorici del multiculturalismo, nel valutare attraverso criteri universali la condizione delle donne indiane non è in grado di rispettare quella tradizione di deferenza, di modestia femminile, di castità e di obbedienza che sarebbe propria del patrimonio culturale indiano. Nussbaum non intende negare che sia importante per una donna indiana poter scegliere di mantenersi fedele a questi valori, essa sottolinea, tuttavia, da un lato la necessità di verificare se esistano le condizioni per cui si possa a ragione parlare di scelta, dall'altro l'opportunità di riconoscere che sono esistite nella storia indiana anche voci femminili che hanno parlato della sofferenza e del dolore prodotto nelle donne indiane da una tradizione che le riduceva in una condizione di totale isolamento e impotenza. Perché - si chiede Nussbaum - dovremmo considerare la tradizione trasmessa da guide religiose e culturali maschili come più pure e rappresentative dei valori indiani delle voci di protesta che si sono alzate nella storia contro quella tradizione? Nel valutare una tradizione, prima di lamentare la sua eventuale estinzione, secondo Nussbaum, dovremmo poter disporre di criteri per dire se essa contenga pratiche lesive nei confronti delle persone e se la sua scomparsa non costituisca l'unica via per evitare un danno alla dignità umana.

L'argomento della diversità culturale viene declinato spesso in termini relativistici: ovvero viene tradotto nell'idea per cui ogni cultura dovrebbe trovare al suo interno i propri principi guida, come se ogni cultura fosse un'isola priva di comunicazioni con l'esterno. Contro questa posizione Nussbaum ci invita non solo a guardare al carattere aperto e pluralistico di ogni cultura, compresa la cultura indiana - un invito già presente in Laicismo indiano di Amartya Sen -, ma anche a considerare gli esiti autodistruttivi dello stesso relativismo: "nel chiederci di sottometterci a norme locali, ci chiede di osservare norme che sono nella maggioranza dei casi non relativistiche. Gran parte delle tradizioni locali si considerano assolutamente, e non relativamente, vere: quindi nel chiederci di seguire l'elemento locale, il relativismo ci chiede di non seguire il relativismo" (32).

L'obiezione più seria contro l'universalismo è rappresentata per l'autrice dall'accusa di paternalismo. Si tratta di un'obiezione seria perché ci invita a rispettare il principio della libertà di scelta individuale. Su questo specifico problema la posizione della Nussbaum è articolata. In primo luogo, la sua risposta consiste nell'osservare che non esiste un'incompatibilità di fondo tra universalismo e riconoscimento della libertà di scelta individuale, nella misura in cui quest'ultimo presuppone la condivisione di almeno un principio universale: "il valore di poter pensare e scegliere per proprio conto". Quando si passa dal piano della teoria al piano della politica la questione si complica. Nussbaum tiene qui distinta la questione dell'imposizione di norme universali da parte di istituzioni sovranazionali da quella della loro imposizione da parte di istituzionali nazionali democratiche.

Ogni stato nazionale democratico ha nei confronti dei suoi cittadini un atteggiamento paternalistico, nella misura in cui, per esempio, impedisce loro di fare quello che vorrebbero per evitare che possano ledere altri. E' in sostanza possibile, secondo l'autrice, accettare certe forme di paternalismo e rifiutarne altre: "il paternalismo non ci piace, proprio perché c'è qualcos'altro che ci piace, la libertà di scelta di qualcuno nelle questioni fondamentali. E' perfettamente coerente rifiutare alcune forme di paternalismo, e sostenerne altre che riconoscono questi valori centrali, su una base egualitaria" (33). Uno stato democratico, impegnato a garantire non solo l'eguaglianza formale delle donne nel godimento dei diritti civili e politici, ma anche la loro effettiva capacità di partecipazione e di scelta, dovrà necessariamente adottare una serie di misure redistributive che interferiranno nelle scelte di alcuni, e quindi in questo senso configurerà una forma anche ampia di paternalismo, che sarà giustificata nella misura in cui sarà volta a riconoscere in modo più egualitario la libertà di scelta di ognuno nelle questioni fondamentali.

Diversa è la posizione della Nussbaum quando si tratta di prendere in considerazione il ruolo delle istituzioni internazionali in vista di un maggiore rispetto di principi universali su scala globale. Tutta la riflessione condotta in Women and Human Development sembra mossa in proposito da una certa cautela. La ragione principale addotta a giustificazione di questa posizione è costituita dalla necessità di tener presente le scarse credenziali democratiche delle attuali istituzioni internazionali. La Nussbaum non s'impegna in una valutazione delle conseguenze che potrebbero derivare dall'applicazione del suo approccio delle capacità sul piano del diritto internazionale. Charlesworth ha osservato che si potrebbe, per esempio, pensare di utilizzare l'approccio delle capacità per valutare l'ammissibilità delle riserve presentate da alcuni degli stati firmatari della Cedaw, considerando se l'effetto del loro richiamo alla tradizione e alle culture locali è tale da ridurre la possibilità delle donne di vivere una vita autenticamente umana (34). Nussbaum, però, pur non negando che l'approccio delle capacità possa essere utile per valutare i principi su cui si fonda il diritto internazionale, sembra piuttosto restia a prenderne in considerazione un'applicazione vincolante, nella misura in cui ciò può entrare in tensione con la volontà espressa degli stati, in particolare qualora si tratti di democrazie costituzionali come nel caso dell'India (35). In sostanza, se l'osservazione di Charlesworth mira ad un'utilizzazione dell'approccio delle capacità volto a limitare le pretese delle sovranità nazionali (per esempio col giudicare inammissibili alcune riserve nei confronti delle convenzioni internazionali), la Nussbaum non pare disposta ad andare in quella direzione (36).

Il fatto - ammesso dalla stessa Nussbaum - che la realizzazione di una politica che assuma come principi guida la sua lista delle capacità richiede non solo una cooperazione sul piano internazionale, ma anche una qualche forma di politica redistributiva tra paesi ricchi e paesi poveri, fa pensare che sarebbe stata necessaria da parte dell'autrice una più articolata riflessione sulle istituzioni internazionali, sulla possibilità effettiva di riformarle e di renderle rappresentative, così da legittimare un loro più efficace impegno a difesa delle violazioni dei più fondamentali diritti umani. In tutto il testo, alla fiducia nel ruolo delle NGO, nel miglioramento delle condizioni di alcune donne in paesi come l'India, corrisponde una sottile diffidenza verso un ruolo più attivo di pressione da parte delle organizzazioni internazionali e sembra mancare un rilievo adeguato sugli effetti di ricorsi sul piano giudiziale alle convenzioni internazionali, la cui funzione pare invece limitata dall'autrice al piano della persuasione. Come valuterebbe Nussbaum la possibilità del ricorso da parte di singole individue o di gruppi di donne al Comitato della Cedaw aperta dall'introduzione del Protocollo opzionale, per il momento ratificato da poco più di una decina di paesi? Se è vero che il linguaggio delle capacità copre più o meno lo stesso spazio del linguaggio dei diritti umani - come evidenzia l'autrice stessa -, mi pare che esso sia sostanzialmente più debole dal punto di vista della possibilità per i singoli di rivendicare pretese legittime. Il vantaggio che esso presenta di uscire dall'interminabile dibattito sul carattere esclusivamente "occidentale" o no dei diritti lascia tutto sommato più problemi aperti di quanti riesce a risolverne (37).

6. Ho sottolineato inizialmente l'importanza che ha per l'approccio fondato sulle capacità la critica alle concezioni welfariste e il rilievo posto sul fenomeno delle c.d. preferenze adattive o distorte. Se l'approccio welfarista è mosso dalla preoccupazione di rispettare le scelte e le preferenze espresse dalla gente, ci si può chiedere in che misura l'approccio delle capacità finisca per optare per una forma di platonismo, ovvero per una visione in cui l'urgenza di vedere salvaguardati alcuni principi universali di giustizia legittimi passa sopra a quello che la gente può pensare dei cambiamenti che si sono introdotti (38). Il femminismo internazionale è spesso accusato proprio di voler imporre a donne che hanno loro tradizioni e costumi principi ad esse estranei. Per giungere alla formulazione di un'alternativa credibile tanto al platonismo che al welfarismo la Nussbaum si impegna in una disamina del ruolo delle preferenze nelle scelte pubbliche, al fine di valutare quando è giusto tenerne conto e quando è necessario sottoporle ad un vaglio critico-razionale. La sua argomentazione prende le mosse dall'esame delle ragioni che hanno indotto gli economisti utilitaristi ad introdurre delle correzioni al welfarismo soggettivista che vanno dalla considerazione dell'errore cognitivo alla distinzione tra bisogni razionali e irrazionali. Autori come Harsanyi e Brandt hanno tentato di risolvere questi problemi introducendo l'idea di una procedura di creazione e valutazione delle preferenze che in modi diversi comporta il riferimento all'idea di "una comunità di uguali, noncuranti del potere e dell'autorità, privi di invidia e di paura, ispirati dalla consapevolezza del posto che occupano nella gerarchia sociale". Questa direzione proceduralista è stata perfezionata da Rawls e Habermas, creando un "modello kantiano ideale di comunità morale, introducendo vincoli sull'informazione e sulle procedure" (39). Forme di proceduralismo, come quelle di Habermas e Rawls, sono per Nussbaum "moralmente cariche" e tali da convergere in ultima analisi con un approccio, quale quello da lei scelto, che parte dall'individuazione di un insieme di mete sociali fondamentali.

Nella sua ricca analisi delle concezioni welfariste, Nussbaum considera anche la critica di Elster al meccanismo delle preferenze adattive, da quest'ultimo illustrato mediante l'esempio "della volpe e dell'uva acerba". Elster, osserva Nussbaum, sembra sospettoso verso ogni forma di preferenza adattiva. Eppure si dovrebbe ammettere che esistono forme di adeguamento dei desideri alla realtà che sono necessarie e salutari, perché scoraggiano le persone dal perseguimento di desideri irrealizzabili. Il punto è qui di nuovo stabilire dei criteri in base ai quali individuare questi casi. Per poterlo fare si ha bisogno, secondo Nussbaum, di qualcosa che la teoria di Elster non offre: una teoria dei beni fondamentali e una teoria della giustizia, ovvero una teoria normativa. Una volta affermato che è necessaria una teoria del valore intrinseco, lo scivolamento verso il platonismo, ovvero verso una concezione filosofica che fa riferimento a valori eterni, che prescindono totalmente da desideri e preferenze, sembrerebbe breve. Nussbaum, tuttavia, trova questa mossa non convincente, in quanto disconosce il fatto che "il desiderio è una parte intelligente dell'essere umano": "le emozioni, i desideri e gli appetiti di un essere umano sono tutte parti umanamente significative della sua personalità, degne di rispetto in quanto tali" (40). Nella teoria formulata in Women and Human Development i desideri giocano un ruolo duplice, epistemico e giustificativo, nel tentativo di giungere ad un equilibrio riflessivo. La lista delle capacità trova un sostegno nel suo essere stata frutto di un reale confronto interculturale nel contesto di incontri con colleghi di altri paesi, in condizioni di informazione adeguata e che favorivano una discussione critica. Essa trova inoltre il conforto di situazioni in cui donne che hanno potuto godere del raggiungimento di determinate capacità hanno dimostrato di non essere propense a rinunciarvi per tornare a forme di vita tradizionali, nonostante questa scelta fosse loro lasciata aperta. Ciò lascia sperare, secondo Nussbaum, nella possibilità nel lungo periodo di un consenso convergente tra un proceduralismo informato e una teoria dei beni sostanziali, consenso che rappresenta un requisito essenziale per la stabilità. Tale consenso dovrebbe dipendere da quanto in prospettiva sarà possibile educare gli uomini "in modo da sostenere concezioni politiche che trattino le donne come eguali" (41).

L'idea che si possa giungere ad una convergenza sulla lista di capacità proposta dalla Nussbaum sembra ottimistica, soprattutto per quanto concerne alcune voci della lista. Si consideri la terza capacità elencata: l'integrità fisica. Questa capacità viene descritta come "Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all'altro; di considerare inviolabili i confini del proprio corpo, cioè di poter essere protetti contro le aggressioni, compresa l'aggressione sessuale, l'abuso sessuale infantile e la violenza domestica; avere la possibilità di godere del piacere sessuale e di scelta in campo riproduttivo". L'estensione di questa capacità fino a coprire la possibilità di godere di piacere sessuale e della libertà di scelta in campo riproduttivo difficilmente potrebbe raccogliere una qualche forma di consenso, come dimostra la conferenza di Pechino del 1995 dove queste questioni hanno incontrato la decisa opposizione dei paesi cattolici e islamici (42).

7. L'affermazione dell'eguaglianza sessuale trova nel mondo contemporaneo due terreni significativi di tensione e conflitto: la famiglia e la libertà religiosa. Nel terzo capitolo Nussbaum affronta il problema del ruolo della religione cercando di delineare una posizione alternativa tanto all'umanesimo femminista secolare quanto al femminismo tradizionalista. Se le femministe umaniste - tra le quali può collocarsi Susan Moller Okin - dimostrano la tendenza a vedere tutte le religioni come intrinsecamente patriarcali, le tradizionaliste considerano solo la comunità tradizionale e religiosa come capace di fornire una guida tale da dare un senso concreto al futuro delle donne. Entrambe queste posizioni, secondo Nussbaum, finiscono per commettere lo stesso errore: non prendono sul serio il dilemma rappresentato dalla tensione tra riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti e libertà di religione. Le femministe secolari hanno, comunque, a differenza delle tradizionaliste, il merito di lottare per una causa giusta: quella del pieno riconoscimento dell'eguaglianza delle donne nel godimento dei diritti.

L'approccio delle capacità riconosce nella religione una fondamentale area espressiva dell'essere umano. A differenza dell'umanesimo secolare esso, inoltre, è attento al pluralismo interno alle diverse religioni e tradizioni. Liquidando tutte le religioni come patriarcali, infatti, secondo la Nussbaum l'umanesimo secolare femminista si preclude il dialogo con quelle donne che stanno cercando di operare una revisione di diverse prospettive religiose e che potrebbero divenire sue potenziali alleate. Credo sia questo un punto importante: troppo poco infatti sono conosciuti in Occidente i lavori di donne come Neera Nawaz - citata dalla Nussbaum -, ma altri nomi potrebbero essere ricordati - penso, per esempio, a Fatema Mernissi - che rileggendo la tradizione religiosa stanno tentando di farne emergere un quadro meno ostile all'universo femminile e tale da non offrire giustificazione alle attuali derive fondamentaliste.

Come riconoscere il diritto delle donne al godimento della lista delle capacità umane fondamentali spesso messe in pericolo dalle tradizioni culturali e religiose, rispettando al tempo stesso il pluralismo religioso? Nell'affrontare questo dilemma Nussbaum si avvale di alcuni principi guida: 1. le capacità religiose devono intendersi sempre come capacità individuali, e non come capacità di gruppi; 2. il rispetto che lo stato deve alle diverse religioni viene meno quando una pratica religiosa lede le capacità fondamentali. In termini giuridici il rispetto di questi principi guida potrebbe tradursi, secondo Nussbaum, in qualcosa di simile al Religious Freedom Restauration Act, una legge statunitense del 1993 - successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'Amerca - che stabiliva l'inammissibilità d'interferenze dello stato nelle pratiche religiose a meno che tali interferenze non fossero giustificate da un interesse generale imprescindibile, non promuovibile con mezzi meno restrittivi. Un'impostazione di questo tipo non consente allo stato di sindacare, per esempio, sulla scelta dei cattolici di non ordinare sacerdoti di sesso femminile, finché le donne sono libere di uscire dalla chiesa cattolica, qualora lo vogliano.

L'applicazione di questa legislazione ad un caso come quello dell'India deve, tuttavia, tener conto di una situazione ben più complessa e difficile, in quanto in questo paese vaste aree del diritto civile sono monopolio delle principali religioni. L'esistenza di sistemi separati di diritto privato, secondo Nussbaum, non costituisce in sé un problema, sebbene sia critica da un punto di vista dell'approccio delle capacità in quanto profila un sistema di incertezza giuridica in cui è facile che i cittadini vengano trattati diversamente a seconda delle religione a cui appartengono. Le tensioni esistenti tra musulmani e indù suggeriscono all'autrice una via più prudente e gradualista della secolarizzazione completa del diritto privato. La via indicata è quella dell'imposizione di vincoli giudiziari e legislativi che spingano i codici religiosi ad un maggior rispetto delle garanzie sia in materia di eguaglianza sessuale sia di effettiva di libertà da parte dei singoli di abbandonare un'appartenenza religiosa. Parte della strategia gradualista, suggerita dalla Nussbaum, consiste anche nell'invito all'apertura di un dibattito sulle convenzioni in materia di diritti delle donne alle quali l'India ha aderito, in vista di un adeguamento dei sistemi legali religiosi.

Visto che la famiglia è stata ed è in molti casi il luogo in cui storicamente si è riprodotta la subordinazione della donna, e considerato il fatto che i codici religiosi regolano in primo luogo il diritto familiare, limitando spesso severamente i diritti delle donne, ci si può chiedere se - contrariamente a quanto sostenuto dalla Nussbaum - non possa sussistere in queste materie un interesse imprescindibile dello stato ad imporre un codice civile uniforme e quindi a porre dei limiti all'esistenza di sistemi legali religiosi separati, sebbene questo ponga dei limiti al pluralismo religioso. L'insistenza della Nussbaum sul fatto che l'appartenenza della donna ad un certo gruppo o ad una certa cultura non dovrebbe essere considerata vincolante per lei, a meno che non è stata lei stessa a farla propria, avendo a disposizione tutte le proprie capacità, pone infiniti problemi finché la donna non ha garanzie di effettiva eguaglianza e libertà in uno spazio fondamentale come quello della famiglia.

L'interrogativo sollevato sopra si rafforza con la lettura del quarto capitolo, dove proprio sulla famiglia si concentra l'analisi. Qui Nussbaum riprende temi comuni alla critica femminista sulla concezione tradizionale della famiglia, sostenendo: 1. che la famiglia non può considerarsi un'istituzione naturale; 2. che essa in quanto modellata dalle leggi dello stato non può considerarsi una sfera "privata"; 3. che l'inclinazione delle donne alla cura non è un dato naturale, ma frutto del particolare processo di socializzazione cui le donne sono sottoposte, processo in cui hanno un ruolo cruciale le tradizioni e le leggi. La famiglia in quanto luogo degli affetti e delle cure ha un ruolo importante nella formazione delle capacità umane, essa però - come dimostra proprio la storia delle donne - può anche costituire un grave impedimento al loro pieno sviluppo. Questo problema pone la questione se la famiglia, in quanto struttura fondamentale della società, debba essere soggetta e regolata da criteri di giustizia. E' questa l'obiezione che molte femministe hanno sollevato contro la posizione assegnata alla famiglia all'interno di una teoria della giustizia di Rawls, con la quale la stessa Nussbaum si confronta lungamente. Due paiono i limiti principali della proposta rawlsiana, anche nell'articolazione che essa riceve in The Idea of Public Reason Revisited: 1. Rawls continua a pensare alla famiglia come ad un'istituzione naturale; 2. egli non si misura fino in fondo con la differenza che sussiste tra un'istituzione come la famiglia e organizzazioni quali chiese, università, ecc. Se nella famiglia sembra riproporsi la tensione, già vista analizzando la religione, tra il valore intrinseco delle capacità espressive e affettive consentite dallo spazio delle relazioni familiari e il principio della capacità individuale, la famiglia presenta un tratto peculiare e distintivo rispetto alla religione: essa non esiste senza il sostegno della legge e quindi senza lo Stato. "Non serve - scrive Nussbaum - far pressione affinché lo stato possa controllare la famiglia dall'esterno, nello stesso modo in cui controlla una università privata, a causa del tipo di rapporto che lo stato ha col matrimonio, e anche a causa della diffusa influenza della famiglia sulle sorti e sulle libertà dei cittadini. La famiglia appartiene semplicemente alla struttura fondamentale della società, e i principi di equità basati sulle capacità le dovrebbero essere applicati direttamente come parte di quella struttura, entro i limiti posti da altre capacità, specialmente quelle riguardanti le libertà personali (associative, di decoro, di scelta) dei cittadini. Affermato che la famiglia non è un'istituzione prepolitica, e che la politica ha un ruolo costitutivo nel determinarne la forma, si apre lo spazio per concepirla in termini più ampi di quelli classici, costituiti dalla famiglia eterosessuale, nucleare. Altre forme di relazioni possono assolvere quei bisogni affettivi a cui risponde anche la famiglia. I collettivi di donne, come la Self-Employed Women's Association (SEWA), in contesti come l'India, dove la famiglia è spesso luogo di oppressione, potrebbero costituire delle forme di relazioni affettive degne del sostegno di uno stato che non dovrebbe dare per scontati i gruppi tradizionali. Nussbaum sostiene l'efficacia delle associazioni femminili, facendo appello tra l'altro anche al fatto che tra le donne indiane sarebbe molto più diffuso l'ideale della solidarietà femminile che quello dell'amore romantico. Non è certo mia intenzione disconoscere l'importanza di un'apertura verso una concezione della famiglia che vada al di là dell'idea della famiglia eterosessuale, mi pare tuttavia che la Nussbaum sia in qualche misura costretta a guardare in questa direzione proprio per la sua cautela nei confronti di una riforma del codice civile che sottragga il diritto familiare al monopolio che su di esso esercitano attualmente in India le principali tradizioni religiose.


Note

*. Nota su M. Nussbaum, Women and Human Development. The Capabilities Approach, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2000; tr. it. Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 370.

1. Cfr. M. Freeman, The Philosophical Foundations of Human Rights, "Human Rights Quarterly", 16 (1994), pp. 491-514.

2. L'acronimo CEDAW sta per Convention for the Elimination of all Forms of Discrimination Against Women.

3. Cfr. C. Scoppa, I diritti delle donne sono diritti umani, in S. Bartoloni (a c. di), A volto scoperto. Donne e diritti umani, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 69-82.

4. Le Nazioni Unite dispongono attualmente di due organismi responsabili in materia di diritti delle donne: la Commissione sullo status delle donne, creata nel 1947 e la Commissione per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne che ha il compito di monitorare il rispetto della Cedaw da parte degli stati firmatari ed è composta da 23 esperti indipendenti in rappresentanza delle diverse aree geografiche. Cfr. U. A. O'Hare, Ending the 'Ghettoisation': The Right of Individual Petition to the Women's Convention, "Web Journal of Current Legal Issues", 5 (1997).

5. Cfr. H. Charlesworth, Martha Nussbaum's Feminist Internationalism, "Ethics", 111 (October 2000), p. 67.

6. S. M. Okin, Un conflitto sui diritti fondamentali, "Filosofia e questioni pubbliche", III, 1 (1997), p. 6. Cfr. l'utile Susan Moller Okin: una scheda informativa.

7. S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, a c. di J. Cohen, M. Howard e M. C. Nussbaum, Princeton University press, Princeton 1999. Per una traduzione italiana del saggio introduttivo della Okin a cura di M. C. Pievatolo cfr. Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?.

8. V. M. Nussbaum, A Plea for Difficulty, in S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, cit. e la risposta di Okin, ivi.

9. G. Zanetti, Introduzione, in M. Nussbaum, La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 9-31 e V. Gessa-Koroutschka, Dimensioni della moralità. Etica e politica nella filosofia tedesca contemporanea, Liguori, Napoli 1999, pp. 79-92.

10. Cfr. M. Nussbaum, Non-Relative Virtues: An Aristotelian Approach, in A. Sen e M. Nussbaum (a c. di), The Quality of Life, Clarendon Press, Oxford 1993, p. 243.

11. Quest'opera della Nussbaum è stata oggetto già di una notevole attenzione, v.: Symposium on Martha Nussbaum's Political Philosophy, "Ethics", 11 (October 2000, pp. 5-140 e Assessing Martha Nussbaum's Latest Version of the Human Capabilities Approach, "Ideas NewsLetter", June 2001.

12. M. Nussbaum, Poetic Justice. The Literary Imagination and Public Life, Beacon Press, Boston 1995; tr. it. Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Feltrinelli, Milano 1996, p. 17.

13. Ivi, p. 34.

14. M. Nussbaum, Aristotle, Politics, and Human Capabilities: A Response to Antony, Arneson, Charlseworth, and Mulgan, "Ethics", 111 (October 2000), p. 106.

15. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 26.

16. Per un'analisi critica dell'essenzialismo proposto da Nussbaum, cfr. L. M. Antony, Natures and Norms, in "Ethics", 111 (October) 2000, pp. 8-36.

17. Nussbaum attribuisce questa stessa teoria ad Aristotele, cfr. ivi, p. 96.

18. Sulle differenze tra la teoria di Nussbaum e quella di Sen, cfr. ivi, pp. 24-29 e D. A. Crocker, Functioning and Capability. The Foundation of Sen's and Nussbaum's Development Ethic, "Political Theory", 20, 4 (1992), pp. 584-612.

19. Cfr. A. Sen, Capability and Well-Being, in A. Sen e M. Nussbaum, The Quality of Life, cit., pp. 46-49.

20. Ivi, pp. 47-48.

21. Cfr. Crocker, op. cit., pp. 797-799.

22. Cfr. su questo punto v., in particolare, M. Nussbaum, A Plea for Difficulty, in S. Moller Okin, op. cit., pp. 108-111.

23. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 89.

24. Cfr. V. Gessa-Kurotschka, op. cit., p. 83.

25. M. Nussbaum, Diventare persone, cit, p. 94.

26. Ivi, p. 104.

27. Ivi, p. 105.

28. Ivi, p. 114.

29. Mi sembra di poter riarticolare così la critica che Okin rivolge a Nussbaum, cfr. S. M. Okin, Reply, in S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, cit., p. 129. In A. Phillips, Feminism and Liberalism Revisited: Has Martha Nussbau, Got it Right? ("Constellations", 8, 2, 2001, pp. 249-266), Phillips contrappone ad un femminismo liberale fondato sull'autonomia un femminismo centrato sull'idea di eguaglianza.

30. Ivi, p. 46.

31. Ivi, pp. 58-59.

32. Ivi, p. 68.

33. Ivi, p. 75.

34. H. Charlesworth, op. cit., pp. 70-71.

35. Cfr. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 123.

36. In risposta alle osservazioni di Charlesworth, Nussbaum riprende un caso già proposto in Women and Human Development (ivi, p. 249). Ricorda, cioè, il ricorso alla Corte Suprema indiana da parte di un gruppo di attivisti che nel 1987 chiesero un pronunciamento sul mancato adempimento da parte dello stato indiano degli obblighi derivanti dalla Cedaw, denunciando, in particolare, l'urgenza di una legge sulla violenza sessuale. In quella circostanza la sentenza della Corte riconobbe l'obbligo dell'India di mantenere gli impegni presi con la firma della Cedaw, sollecitando il legislatore a promuovere una legge contro la violenza sessuale. Nussbaum cita questo esempio come un "eccellente paradigma di combinazione tra pressione sopranazionale e sovranità statale". La Cedaw infatti, pur svolgendo una funzione positiva di pressione, lascia il ruolo di agente del cambiamento alle istituzioni democratiche nazionali, ovvero non risulta in grado da sola di limitare la sovranità nazionale. Cfr. M. Nussbaum, Aristotle, Politics and Human Capabilities, cit., pp. 133-134. Dal momento che lo stato indiano ha dichiarato, firmando la convenzione con riserva, di essere disposto ad adempiere ad alcuni fondamentali articoli della Cedaw (in particolare gli articoli 5 (a) e 16, comma 1) nei limiti consentiti dalla sua politica di rispetto verso le singole comunità culturali e religiose, lo stesso effetto persuasivo della convenzione rischia di essere pressoché nullo. Per questo, mi pare, che il punto sollevato da Charlesworth rimanga importante e la risposta della Nussbaum non sufficientemente adeguata.

37. Sul rapporto tra linguaggio dei diritti e linguaggio delle capacità - aspetto che appare ancora non sufficientemente sviluppato nella sua formulazione attuale - v. ivi, pp. 115-120.

38. Cfr. ivi, pp. 149-150.

39. Ivi, p. 167.

40. Ivi, p. 187.

41. Ivi, p. 199.

42. Cfr. H. Charlseworth, cit., p. 71.