2011

Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e rispetto dei diritti dell'uomo

Pasquale De Sena (*)

Sommario: 1. Premesse e piano dell'indagine. - 2. Violazioni dei diritti dell'uomo e responsabilità internazionale del Fondo monetario e della Banca mondiale. - 3. Obblighi internazionali sanciti dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali (PDESC), e responsabilità degli Stati membri del Fondo e della Banca mondiale. - 4. Attività idonee a promuovere e a controllare il rispetto dei diritti dell'uomo nella prassi del Fondo e della Banca mondiale, ed obblighi derivanti dal PDESC. - 5. Riflessioni conclusive.

Sul ruolo svolto dalle organizzazioni finanziarie internazionali, in particolare dal Fondo monetario e della Banca mondiale, in tema di diritti dell'uomo, molto si è scritto negli ultimi anni, anche nella letteratura di carattere giuridico (1).

Tre sono gli aspetti da sottolineare riguardo al modo in cui l'argomento è stato per lo più esaminato.

In primo luogo, l'attenzione si è concentrata sulla responsabilità direttamente imputabile a siffatte organizzazioni, per violazioni dei diritti dell'uomo riconducibili all'area delle loro attività. Per tal via si è spesso pervenuti a risultati piuttosto ottimistici, tanto per ciò che concerne l'identificazione delle norme internazionali rilevanti, quanto per ciò che attiene, perlomeno in prospettiva, alla possibilità di farle concretamente operare (2).

Per converso, un'enfasi assai minore si è posta sul profilo della responsabilità degli Stati membri delle organizzazioni in esame, malgrado il ruolo centrale da essi rivestito nell'ambito di dette organizzazioni - in particolare dagli Stati «forti» - e le importanti conseguenze tratte da tale circostanza, anche sul piano della configurazione teorica di queste ultime, segnatamente del Fondo (3).

Infine, il problema della responsabilità, sia delle organizzazioni, che degli Stati membri, è stato generalmente affrontato nel contesto di analisi più ampie, volte, cioè, a porre in luce tutti gli strumenti, direttamente o indirettamente idonei ad assicurare il rispetto di diritti dell'uomo internazionalmente previsti. In altri termini, l'accento è caduto su tutte le «pratiche» suscettibili di incidere positivamente al riguardo (4); «pratiche», queste, che insieme alla responsabilità internazionale delle organizzazioni e a quella dei loro Stati membri, sono state genericamente, ed indiscriminatamente, considerate quali fattori convergenti verso il rispetto di tali diritti.

Nel corso di questo lavoro, il rapporto fra istituzioni finanziarie internazionali - segnatamente, Fondo monetario e Banca mondiale - e rispetto dei diritti dell'uomo verrà esaminato seguendo un'impostazione diversa.

Anzitutto, pur senza escludere la problematica della responsabilità diretta di tali organizzazioni, si mostrerà che l'attenzione usualmente dedicata ad essa è, con ogni probabilità, sproporzionata, date le difficoltà che si frappongono, in ampia misura, anche riguardo all'astratta possibilità di azionarla, sia in considerazione delle poche norme effettivamente rilevanti in proposito, sia per ragioni attinenti al profilo dell'attribuzione dell'illecito (par. 2).

Sulla responsabilità degli Stati membri ci si soffermerà subito dopo, dedicando una specifica attenzione all'identificazione degli obblighi ricavabili, per loro, dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite (PDESC), dato il rilievo che detti obblighi assumono - perlomeno in principio - per l'azione del Fondo e della Banca mondiale (par. 3). Si perverrà così a delineare tale forma di responsabilità e a porre in risalto la maggiore consistenza giuridica che essa presenta - se non altro in astratto - rispetto alla responsabilità diretta delle organizzazioni, malgrado gli ostacoli che pure si frappongono alla sua concreta messa in atto.

Proprio a partire dalla evidenziazione di siffatti ostacoli, si passerà poi a considerare la questione del rispetto dei diritti sanciti dal PDESC nell'ambito delle attività idonee a promuovere o a controllare, per l'appunto, il rispetto di detti diritti, tanto nell'ambito del Fondo, che nell'ambito della Banca mondiale (par. 4).

Sulla base delle conclusioni così raggiunte, si proporrà infine qualche riflessione di carattere più generale, sia sul rapporto fra la logica alla base dell'azione del Fondo monetario e della Banca ed i principi generali del PDESC, sia sulle conseguenze atte a scaturirne sul piano degli obblighi derivanti dal Patto stesso, riguardo ai comportamenti degli Stati contraenti nell'ambito di tali organizzazioni (par. 5).

Come si evince dal titolo del lavoro, l'analisi si limiterà al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale, vale a dire alle principali istituzioni finanziarie a livello universale, viste nel quadro della loro azione di sostegno finanziario allo sviluppo. Si tratta di una scelta che, oltre ad essere imposta dai limiti naturali di questo scritto, appare suggerita dalla circostanza che Fondo monetario e Banca mondiale, a differenza di altre organizzazioni economiche internazionali operanti sul piano universale, danno vita (com'è noto) ad attività operative potenzialmente idonee ad implicare violazioni dei diritti dell'uomo (5); e ciò, non solo accordando prestiti o finanziando progetti di per sé suscettibili di incidere sulla condizione degli individui, ma anche, e soprattutto, per l'influenza che esse esercitano sui comportamenti adottati al riguardo dagli Stati, tramite l'uso dello strumento della condizionalità (6).

2. Quali sono le ragioni per cui la responsabilità diretta di Fondo monetario e Banca mondiale non appare - ancor oggi - una garanzia efficace rispetto alle violazioni dei diritti dell'uomo riconducibili all'area di attività di tali organizzazioni?

Al riguardo viene anzitutto in rilievo la difficoltà di identificare le norme internazionali sui diritti dell'uomo effettivamente rilevanti.

Se è vero, infatti, per un verso, che le norme generali, in particolare le norme di jus cogens, si dirigono nei confronti di Fondo monetario e Banca mondiale (7), è pur vero, d'altra parte, che difficilmente le fattispecie oggetto di tali norme sembrano destinate a prodursi, in concreto, quali dirette conseguenze di un comportamento adottato da tali organizzazioni. In altri termini, è piuttosto improbabile che attività poste in essere da queste ultime si traducano in atti di genocidio, di tortura, ovvero in violazioni gravi, massicce e sistematiche dei diritti dell'uomo, rivelandosi dunque idonee a determinare la loro responsabilità sul piano internazionale.

Ugualmente problematico è, del resto, far scaturire tale responsabilità dalla violazione dei principi in tema di diritti umani, cui fa rinvio l'art. 55 della Carta delle Nazioni Unite (8); e ciò, a dispetto di un'opinione piuttosto diffusa, secondo la quale, tanto il Fondo, quanto la Banca mondiale, sarebbero vincolati al rispetto di detti principi, non solo in virtù dell'art. 59 della Carta - per cui «[...] the creation of any new specialised agency requires accomplishment of the purposes set forth in article 55» (9) -, ma anche in base all'art. 56, in virtù del quale «all Members pledge themselves to take joint and separate action in cooperation with the Organization for the achievement of the purposes set forth in Article 55».

Indipendentemente dalla duplice circostanza che l'art. 59 concerne la creazione di istituti specializzati da parte delle Nazioni Unite, e che l'art. 56 si rivolge agli Stati - parti, allo stesso tempo, delle Nazioni Unite e di tali organizzazioni - e non direttamente a queste ultime (10), tracce significative nel senso appena accennato non possono rinvenirsi, né negli Statuti delle due organizzazioni in esame, né nella prassi rilevante.

Per quanto concerne specificamente il Fondo all'inesistenza di disposizioni statutarie rilevanti (11) fanno riscontro le indicazioni ricavabili dall'Accordo di collegamento con le Nazioni Unite, nonché quelle desumibili, più di recente, da un importante parere reso in argomento, nel2002, dal General Counsel dell'organizzazione Gianviti.

Mentre nell'Accordo non compare alcun cenno esplicito all'esigenza di rispettare i principi sui diritti umani cui si fa rinvio nella Carta (12), tale esigenza sembra essere espressamente esclusa nell'opinione in questione (13). Né le risoluzioni in materia dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite - in particolare la Dichiarazione universale sui diritti umani -, né i due Patti - in particolare il PDESC -sono infatti considerati vincolanti per il Fondo, alla luce di un'interpretazione piuttosto restrittiva dell'Accordo stesso (14).

Per quel che attiene poi alla Banca mondiale, un'analoga conclusione scaturisce, sia dal tenore dell'Accordo di collegamento, sia dai lineamenti giuridici dell'azione della Banca in tema di diritti umani, indicati nell'Opinione del General Counsel Danino del 2006 (15).

Sia l'Accordo di collegamento del Fondo, sia quello della Banca, fanno invece esplicito riferimento agli obblighi derivanti per gli Stati membri - e membri, allo stesso tempo, delle Nazioni Unite - dall'art. 48, par. 2 della Carta. È sin troppo facile osservare, però, che tale disposizione si riferisce alle sole decisioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza, imponendo alla Banca di tenerle semplicemente «in due regard» (16), senza che nulla risulti dunque ricavabile, né a proposito dell'efficacia diretta di dette decisioni per le due istituzioni, né - ed ancor meno -riguardo all'efficacia delle risoluzioni dell'Assemblea generale in tema di diritti umani, ovvero, all'efficacia dei due Patti del 1966.

Quanto poi alla recente opinione resa in argomento dal General Counsel della Banca, Danino, neppure l'enfasi da essa posta sul rilievo dei diritti umani nell'azione della Banca si traduce nell'indicazione di veri e propri obblighi giuridici in argomento, direttamente incombenti sulla Banca stessa e, in qualche modo, riconducibili alla Carta delle Nazioni Unite. Pur ammettendosi che «taking into account, where appropriate, human rights issues and members' international human rights obligations does not contravene the Articles' prohibition on political interferences» (17), e pur riconoscendosi che la Banca possa supportare gli Stati membri e cooperare con loro per garantire la realizzazione dei diritti umani (18), l'unico obbligo di cui vi è traccia nel parere è infatti quello di tenere in considerazione («take into consideration») le violazioni dei suddetti diritti, quando esse implichino «an economic impact», oppure una violazione di risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza (19). Lasciando da parte, per ora, la prima delle due ipotesi tracciate (20), sembra evidente che nulla aggiunga la seconda all'obbligo di cui all'art. VI, par. 1, dell'Accordo di collegamento, poc'anzi ricordato; sembra evidente, cioè, che da essa nulla possa ricavarsi, né riguardo alla diretta efficacia di tali risoluzioni nei confronti della Banca (21), né riguardo alla diretta efficacia, nei confronti della Banca stessa, dei principi in tema di diritti umani richiamati dalla Carta, contenuti in risoluzioni dell'Assemblea generale o anche nei due Patti del 1966.

Alla difficoltà di rintracciare norme internazionali sui diritti umani, operanti, direttamente ed effettivamente, nei confronti di Fondo e Banca mondiale (22), si aggiunge poi la difficoltà di attribuire loro, a titolo di illecito, comportamenti idonei a ledere tali diritti.

Una simile possibilità appare, in una certa misura, limitata in partenza, se si considera che le attività tipiche, sia del Fondo che della Banca, consistono nell'erogazione di aiuti finanziari - a Stati (Fondo e Banca) o a soggetti privati (Banca) - generalmente subordinati a clausole di condizionalità. Pur essendo senz'altro suscettibili di incidere sugli indirizzi di governo degli Stati coinvolti, è più improbabile, infatti, che queste attività diano vita ad ipotesi di responsabilità del Fondo monetario o della Banca mondiale per fatti commessi da detti Stati ed implicanti violazioni dei diritti dell'uomo.

In senso contrario rispetto a tali eventualità, depone anzitutto l'assenza di poteri vincolanti nei confronti dei destinatari degli aiuti. Tanto che le clausole di condizionalità siano ricondotte allo schema dell'accordo internazionale - com'è avvenuto per la Banca (23) -, tanto che vengano ricostruite come «sanzioni positive» (24) - frutto di decisioni unilaterali del Fondo (25) -, in esse non sembra esprimersi, perlomeno in principio, alcun potere di «direzione» e di «controllo», finalizzato, da parte di dette organizzazioni, alla commissione di violazione di diritti umani; ne consegue, dunque, che alle attività del Fondo e della Banca la tradizionale ipotesi del «controllo» nella commissione di violazioni dei diritti umani non è facilmente riferibile (26).

Non meno difficile risulta peraltro ipotizzare un ricorso alla fattispecie dell'«aiuto» o dell'«assistenza» nella commissione di tali violazioni. Indipendentemente dalla natura giuridica attribuita all'aiuto finanziario da parte delle istituzioni in esame, resta infatti improbabile che la sua erogazione sia animata dall'intenzione specifica di agevolare la commissione di illeciti in materia, così come richiesto dall'art. 16 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, sul cui modello è fedelmente ricalcato l'art. 13 del Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali (27).

Difficilmente proponibile appare inoltre il ricorso alla figura della responsabilità di un'organizzazione internazionale per comportamenti illeciti degli Stati membri, da essa decisi, autorizzati o raccomandati; figura, questa, appositamente - ed opportunamente - delineata nel progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali (28). Sebbene tale figura, riferendosi ai comportamenti raccomandati da un'organizzazione internazionale, risulti senz'altro applicabile alle clausole di condizionalità (29) - perlomeno ove queste vengano configurate come «sanzioni positive», contenute in decisioni unilaterali di tali organizzazioni (o, comunque, vengano ritenute non vincolanti) -, essa finisce, tuttavia, per rivelarsi inutilizzabile, a causa di una circostanza di carattere generale, idonea a paralizzare, peraltro, anche le ipotesi esaminate in precedenza. Dal momento che queste ipotesi, ed anche quella appena richiamata, sono tutte preordinate ad evitare che le organizzazioni internazionali siano messe in grado di aggirare norme internazionali per loro vincolanti (30) - imponendone, favorendone o inducendone la violazione da parte degli Stati (o di altre organizzazioni) membri - il Progetto stabilisce infatti, quale presupposto della responsabilità di dette organizzazioni, che il fatto illecito venuto in rilievo risulti tale (cioè, illecito), anche laddove sia da esse direttamente commesso (31). È allora evidente che siffatto presupposto è destinato, in gran parte dei casi, a non verificarsi per il Fondo monetario e la Banca mondiale, tenuto conto che tali organizzazioni non sono vincolate da norme internazionali sui diritti umani, eccezion fatta per le pochissime norme generali e di diritto cogente vigenti in materia (32).

Proprio per questo motivo si può dunque essere indotti a concludere che l'ipotesi più significativa in cui la responsabilità di Fondo o Banca mondiale per violazioni di diritti umani risulta concretamente configurabile sia, in ultima analisi, quella della «coercizione» a commettere tali violazioni, esercitata nei confronti di uno Stato membro (o di un'altra organizzazione). Tale ipotesi, in linea con i suoi caratteri di fondo, non richiede che si verifichi la circostanza indicata poco sopra. Inoltre, malgrado il suo effettivo determinarsi sia ritenuto eccezionale nello stesso commento all'art. 15 del Progetto sulla responsabilità delle organizzazioni (33), essa potrebbe rivelarsi riferibile al Fondo e alla Banca, perlomeno nei casi, comunemente definiti di «condizionalità strutturale»; e cioè, in quei casi in cui i comportamenti richiesti dalla Banca non contemplino margini di discrezionalità al fine di ottenere «un prêt essentiel», inducendo così «[...] l'État bénéficiaire à manquer à des obligations envers [...] certains individus», senza lasciargli alcuna alternativa (34).

3. Chiarite le ragioni dello scetticismo circa la responsabilità internazionale di Fondo e Banca mondiale, quale strumento per far fronte a violazioni dei diritti umani riconducibili all'azione di queste organizzazioni, si può dunque passare al profilo della responsabilità degli Stati membri.

Un simile problema richiede una diversa impostazione rispetto a quella sinora seguita, sol che si pensi che la larga maggioranza degli Stati parti del Fondo monetario e della Banca sono parti, ad esempio, sia del PDESC, sia del Patto sui diritti civili e politici (PDCP). Ne consegue che il discorso è destinato ad articolarsi attorno a due questioni di fondo: quali obblighi, discendenti a carico degli Stati parti dagli strumenti indicati, risultano rilevanti, in relazione alle funzioni svolte dalle due istituzioni finanziarie in esame? In che modo, ed entro che limiti, la violazione di questi obblighi, da parte di Fondo monetario e Banca mondiale, può comportare la responsabilità dei loro Stati membri, parti, al tempo stesso, dei suddetti strumenti?

Per ciò che concerne la prima delle due questioni accennate, ci si può riferire al PDESC, che assume qui un'importanza del tutto prevalente, dato lo stretto collegamento esistente fra il godimento dei diritti in esso previsti e le misure richieste dalle clausole di condizionalità economica del Fondo e dalla Banca mondiale; collegamento, quest'ultimo, che non sussiste invece - perlomeno in linea generale - riguardo ai diritti sanciti dal PDCP (35), fatto salvo quel che emerge dalla prassi dell'Inspection Panel della Banca mondiale con particolare riferimento alla questione dei popoli indigeni (36).

A dover essere considerata nel contesto del primo dei due Patti è, naturalmente, l'obbligazione generale, prevista dall'art. 2, par. 1 e delineata nel relativo Commento generale, adottato dal Comitato dei diritti economici, sociali e culturali (CDESC), ad inizio degli anni '90 (37). Tale obbligazione, a differenza di quanto si ricava dall'art. 2 del PDCP, non comporta - com'è noto - un dovere immediato di garantire i diritti enunciati, configurandosi, al contrario, come obbligazione «progressiva» (38). Ebbene, già dal testo della disposizione in esame è agevole ricavare che il dovere degli Stati di procedere alla «progressiva» realizzazione dei diritti in questione, implica che essi (Stati) debbano adoperarsi a tal fine, non solo singolarmente, ma anche nell'ambito di forme di cooperazione internazionale tecnica o economica (39). Siffatta circostanza appare confermata, con specifico riferimento alle istituzioni finanziarie internazionali, in tutti i commenti generali del Comitato dei diritti economici, sociali e culturali riguardanti i diritti sostanziali (40), nonché in quello concernente le misure di assistenza tecnica (41) ed in talune osservazioni conclusive relative a singoli Paesi (42) (43). Al di là di considerazioni più specifiche sui caratteri dell'obbligazione «progressiva» di cui all'art. 2, par. 1 del Patto anche in seno ad altri strumenti rilevanti (44), si può perciò concludere - in linea con la natura di obbligazione di diligenza ad essa attribuibile (45) - che gli Stati parti del Patto stesso debbano adottare i comportamenti necessari affinché le suddette istituzioni contribuiscano a garantire la realizzazione dei diritti individuali, nell'esercizio delle loro attività di finanziamento.

Per ciò che concerne i contenuti concreti di tali comportamenti, ci si può chiedere se all'azione degli Stati in seno al Fondo e alla Banca sia estensibile, mutatis mutandis, l'opinione recentemente avanzata riguardo all'ammontare delle risorse da utilizzare obbligatoriamente per la realizzazione di tale scopo (46); opinione, secondo la quale essi, per eseguire l'obbligazione «progressiva», sarebbero tenuti a raggiungere un «equilibrio ragionevole» fra la porzione di risorse destinate a garantire i diritti previsti e quelle destinate a soddisfare altri «interessi statali primari» (47). Ci si può chiedere, cioè, se l'azione degli Stati nell'ambito di dette organizzazioni, per risultare conforme agli standard di diligenza ricavabili dal Patto, debba anch'essa essere intesa ad ottenere che una porzione «ragionevole» dei finanziamenti erogati venga indirizzata alla garanzia dei diritti previsti, a fronte di quelli indirizzati alla realizzazione di altri scopi.

In assenza di indicazioni specifiche al riguardo nella prassi del CDESC, ed in ragione degli obbiettivi naturalmente economicofinanziari di Fondo e Banca mondiale, è difficile ritenere che un obbligo positivo di tal segno incomba sugli Stati membri, orientandone i comportamenti in relazione a singole operazioni di finanziamento poste in essere da dette istituzioni (48). Quel che sembra invece ipotizzabile, perlomeno in linea di principio, è che tali Stati debbano adoperarsi per indirizzare nel senso indicato le politiche generali del Fondo e della Banca, in particolare le politiche di condizionalità (49). Circostanza, quest'ultima, che non esclude, viceversa, che essi siano tenuti, già oggi, ad usare la diligenza necessaria al fine di evitare che sia l'azione generale di dette istituzioni, sia singole operazioni di finanziamento si ripercuotano negativamente sul livello di realizzazione dei diritti ricavabili dal Patto, ovvero ne implichino un arretramento (50).

Su queste basi - e precisato altresì che indicazioni analoghe non risultano desumibili dal PDCP (51) - può dunque considerarsi il profilo della responsabilità degli Stati, scaturente dalla violazione degli obblighi cui si è appena fatto riferimento.

Una simile responsabilità è, perlomeno in astratto, senz'altro prospettabile, tanto nel contesto delle attività del Fondo, quanto nel contesto delle attività della Banca mondiale. Fermo restando, infatti, che sulla natura giuridica delle operazioni di prestito effettuate da queste organizzazioni non si registra unità di vedute (52), è facile sottolineare che, indipendentemente dalla natura giuridica di tali operazioni, non manca agli Stati membri la possibilità di adoperarsi affinché le clausole di condizionalità siano conformi alle esigenze derivanti dal Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Sia nell'ambito del Fondo, che nell'ambito della Banca, le delibere rilevanti - ivi comprese quelle riguardanti l'elaborazione delle linee guida in tema di condizionalità - vengono adottate, infatti, a maggioranza assoluta, dal Consiglio di amministrazione (rispettivamente, Executive Board e Board of Executive Directors), vale a dire, da un organo collegiale, composto da rappresentanti degli Stati membri - o di gruppi di Stati membri -, funzionante secondo il principio del voto ponderato, in modo del tutto analogo al Consiglio dei governatori (in entrambi i casi, Board of Governors) (53). È in questa sede, di conseguenza, che gli Stati membri sono in grado di indirizzare l'azione delle suddette organizzazioni nel senso di tener conto dell'esigenza della progressiva realizzazione dei diritti enunciati nel Patto, nei termini indicati poco sopra; ed è proprio in assenza di qualsiasi sforzo in tal senso che si verifica una violazione dell'obbligo generale di cui all'art. 2 del Patto, idonea a provocare la responsabilità internazionale di detti Stati.

La soluzione qui delineata trova, del resto, elementi di conferma nello stesso Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, più volte citato in precedenza. Si tratta, in particolare, dell'art. 60, in virtù del quale gli Stati membri di un'organizzazione internazionale sono destinati a veder sorgere la propria responsabilità, qualora mirino ad aggirare un obbligo internazionale, facendo leva sulla circostanza che tale organizzazione «est compétente relativement à l'objet de cette obligation», ed inducendola a compiere un fatto da considerarsi illecito, se da essi (Stati) direttamente posto in essere.

Sebbene questa disposizione appaia ritagliata su una prassi piuttosto eterogenea rispetto all'ipotesi in esame (54), essa risulta ugualmente idonea a ricomprendere tale ipotesi, se si tiene conto del fatto che, omettendo l'adozione di qualsiasi comportamento volto ad ottenere il rispetto dell'obbligazione «progressiva», gli Stati membri fanno sì che Fondo o Banca adottino dei comportamenti che, considerati dal loro punto di vista, sarebbero risultati, per l'appunto, illeciti.

Contro una simile conclusione non sembra possibile far valere né l'argomento che Fondo e Banca mondiale non sono dotati di competenze in tema di diritti economici, sociali e culturali, né la necessità di provare l'esistenza di una precisa intenzione, da parte dello Stato membro, di porre in atto una violazione dell'obbligazione «progressiva» derivante del Patto. Quanto al primo argomento, basta infatti rilevare che il commento all'art.60 fa espressamente - ed opportunamente - salvo il caso degli obblighi derivanti da trattati sui diritti dell'uomo, rispetto al principio per cui la responsabilità dello Stato membro presuppone che l'organizzazione sia competente sull'oggetto dell'obbligo venuto in rilievo (55). Quanto, poi, alla questione dell'atteggiamento soggettivo dello Stato membro, è sempre dal commento che può desumersi che la circostanza realmente necessaria, ai fini della responsabilità di tale Stato, non è tanto l'esistenza di una precisa intenzione «de contrevenir à une obligation internationale», ma, piuttosto, «l'existence d'un lien suffisant» fra il suo comportamento «[...]et celui de l'organisation internationale» (56).

4. Se è vero dunque che l'ipotesi della responsabilità degli Stati membri del Fondo e della Banca per violazioni dei diritti dell'uomo riconducibili all'area di attività di queste organizzazioni, possiede, perlomeno in astratto, una consistenza giuridica maggiore, rispetto a quella della loro diretta responsabilità, è pur vero, tuttavia, che azionare una simile forma di garanzia presenta in concreto ostacoli di non poco conto. Per il PDESC, a spingere a questa considerazione non sono solo il fatto che il Protocollo opzionale del 2008 (57) non sia ancora entrato in vigore, o le perplessità che è lecito nutrire sulla sua ratifica da parte dei più importanti fra i Paesi membri del Fondo o della Banca (58). Quel che induce a dubitare, in ogni caso, che il diritto di ricorso di individui o di gruppi di individui (art. 2) possa costituire uno strumento realmente efficace è, piuttosto, la prevedibile difficoltà di dimostrare l'esistenza di un nesso di causalità fra la pretesa lesione dei diritti previsti e l'omissione, da parte dei suddetti Paesi, della diligenza dovuta nell'ambito della loro azione in seno a tali organizzazioni (59). Proprio per questo - nonché per il carattere spesso generalizzato delle lesioni dei diritti sociali previsti dal Patto (60) - un interesse potenzialmente maggiore sembrerebbe invece destinata ad assumere la possibilità di far valere violazioni di tal genere mediante lo strumento del ricorso interstatale, per la ricevibilità del quale non è prevista, invece, una simile dimostrazione (61).

Tanto le difficoltà appena poste in rilievo, quanto quelle più sopra evidenziate a proposito della responsabilità diretta di Fondo e Banca, richiedono che ci si soffermi ora, brevemente, sugli orientamenti di tali organizzazioni con riguardo alle attività idonee a promuovere e a controllare il rispetto dei diritti dell'uomo.

In merito al primo dei due profili indicati, l'attenzione non può che rivolgersi agli indirizzi assunti, sia nel contesto del Fondo, che nel contesto della Banca, dalle politiche di condizionalità. Pur senza poter esaminare in termini analitici la prassi in cui si traducono siffatte politiche (62), quel che è importante tentare di comprendere, in questa sede, è il significato ad esse complessivamente attribuibile, dal punto di vista della tutela dei diritti sanciti nel Patto.

Per ciò che attiene al Fondo, a venire in rilievo sono, naturalmente, gli sviluppi registratisi al riguardo, a seguito della crisi finanziaria ed economica tuttora in corso. Nell'ambito di tali sviluppi, un aspetto centrale è senz'altro costituito dalla decisione del 24 marzo 2009, in virtù della quale la condizionalità «strutturale» è stata abolita, come criterio di carattere generale per la concessione di prestiti (63), in riforma delle lineeguida del 2002 (64), ed al chiaro scopo di evitare l'imposizione di oneri eccessivi su Paesi a basso reddito richiedenti l'intervento del Fondo, conformemente a quanto emerge dal documento finale della Conferenza delle Nazioni Unite sulla crisi finanziaria globale ed il suo impatto sullo sviluppo (65).

Il rilievo potenzialmente positivo di questa modifica, ai fini della tutela dei diritti sociali previsti dal Patto, in un momento di grave compressione dei medesimi, va tuttavia ridimensionato, in ragione di due ulteriori circostanze, alle quali pure è necessario accennare: si tratta, in primo luogo, dell'adozione, nel corso del 2009, di un nuovo strumento di prestito, la Flexible Credit Line (66);e si tratta, in secondo luogo, dell'effettivo impatto sulla spesa sociale, prodotto sinora da prestiti concessi a Paesi a basso reddito.

Malgrado l'enfasi posta sull'assenza di condizioni e di controlli ex post che caratterizza la Flexible Credit Line, è infatti agevole osservare che gli standard previsti per accedere a tale forma di prestito sono estremamente rigorosi, con la conseguenza che di essa sembrano destinate a beneficiare, in concreto, le economie di Paesi emergenti, o, comunque, di Stati che già soddisfino tali standard (67). A ciò si aggiunga inoltre che l'incremento della spesa sociale, riconducibile all'intervento del Fondo a beneficio di Paesi a basso reddito nel corso del 2009, appare assai modesto - a stare ai pochi dati offerti dallo stesso Fondo (genericamente relativi al «social spending») (68) - se solo lo si rapporta al livello di povertà di alcuni di tali Paesi (69), oltre che, naturalmente, al livello medio della spesa per la protezione sociale nell'ambito dell'Unione europea, rilevabile già prima degli interventi di sostegno imposti dalla crisi (70).

Per quanto si è detto, risulta allora che gli interventi effettuati dal Fondo nel contesto della nuova politica di condizionalità, seppure non hanno importato - perlomeno nella prassi relativa ai Paesi a basso reddito - un arretramento del livello di finanziamento della spesa sociale (71), continuano tuttavia a rivelarsi difformi rispetto agli obblighi derivanti dal Patto, perlomeno sotto due profili significativi.

In primo luogo, vi è da notare che, a fronte dell'eliminazione della condizionalità «strutturale», nella decisione poc'anzi citata non compare alcun accenno all'esigenza di incentivare - se non di vincolare - la destinazione di quote dei prestiti accordati al finanziamento della spesa sociale dei Paesi beneficiari, com'è attestato, d'altra parte, dal livello complessivamente deludente degli effetti prodottisi al riguardo nella prassi cui si è appena fatto riferimento. Si può dunque ipotizzare che, in tal modo, l'obbligo di indirizzare nella direzione indicata le politiche generali di condizionalità del Fondo (72), sia stato sostanzialmente aggirato dagli Stati membri, malgrado, appunto, l'eliminazione della suddetta forma di condizionalità.

Se si considerano, poi, gli effetti obbiettivamente positivi, determinatisi in particolare per i Paesi ad economia emergente, in virtù dell'introduzione della Flexible Credit Line, ciò che ancora risulta ipotizzabile è una violazione del principio di non discriminazione, fissato dal par. 2 dell'art. 2 del Patto. È del tutto lecito presumere, infatti, che la più agevole e maggiore disponibilità di finanziamenti provenienti dal Fondo comporti, per simili Paesi (73), una fetta di risorse destinata alla spesa sociale in favore dei loro cittadini, più consistente rispetto a quella indirizzata al medesimo scopo, in favore dei propri cittadini, da parte di Paesi ai quali l'accesso a siffatta forma di prestito risulti sostanzialmente precluso, per le peggiori condizioni economiche di base. Ne consegue, dal punto di vista del Patto, una cristallizzazione - ed una potenziale accentuazione - di una situazione di disuguaglianza riguardo all'esercizio dei diritti in esso sanciti. Tale situazione, pur riferendosi a (cittadini di) Stati diversi, appare riconducibile all'ampia fattispecie delineata dall'articolo in questione (74), e risulta altresì imputabile all'azione degli Stati membri del Fondo (e parti del Patto stesso), nella misura in cui l'obbligo di impegnarsi per eliminare progressivamente le situazioni di ineguale godimento dei suddetti diritti (75), opera, nei loro confronti, anche per i comportamenti tenuti in quel contesto (76).

A considerazioni simili, seppure non del tutto coincidenti con quelle or ora svolte, si presta poi l'evoluzione più recente della prassi rilevante della Banca mondiale, sia per ciò che riguarda le politiche di condizionalità, sia per ciò che attiene all'esercizio della funzione di controllo, da parte dell'Inspection Panel.

Se si scorrono le pagine del documento del 2009 sull'azione della Banca in tema di prestiti allo sviluppo (77), la prima impressione che se ne riporta è che le linee guida in tema di condizionalità siano notevolmente mutate negli ultimi anni, già prima dello scoppio della crisi economica globale; pur non essendovi traccia di un'esplicita eliminazione della condizionalità «strutturale», l'enfasi posta nella prassi sulla «flessibilità » («flexibility») degli strumenti di prestito (in funzione delle diverse situazioni e delle diverse richieste dei singoli Paesi destinatari) (78), l'accento posto sull'intervento della Banca nella fase di gestione dei finanziamenti («customization») (79), il rilievo attribuito alla valutazione dei risultati («results») (80), costituiscono, infatti, altrettanti indici del mutamento prodottosi.

Approfondendo un po' l'analisi, ci si accorge però che a questo mutamento non ha fatto riscontro neppure qui, in linea con quanto avvenuto nell'ambito del Fondo, l'impegno ad orientare la prassi in tema di condizionalità nel senso di incentivare o vincolare la destinazione di quote dei prestiti accordati al finanziamento della spesa sociale nei Paesi richiedenti.

Quest'ultima circostanza emerge anzitutto dalla descrizione dei principi seguiti nell'approntamento delle clausole di condizionalità ; principi che rivestono natura essenzialmente procedurale, essendo per lo più finalizzati a garantire una costante consultazione con istituzioni o con segmenti della società civile dei suddetti Paesi (81), e non alludendo, viceversa, in alcun modo, all'impegno sostanziale appena ricordato, ricavabile dal PDESC.

Essa (circostanza) non risulta smentita, inoltre, né dal modo di configurarsi dei prestiti accordati per far fronte alle crisi recentemente susseguitesi (dei prezzi del cibo e del petrolio - in un primo momento - del settore finanziario, poi), né dai dati riguardanti l'incidenza delle operazioni effettuate dalla Banca sui settori tipicamente investiti dalla spesa sociale.

Riguardo al primo aspetto, è infatti facile osservare che le suddette operazioni, pur caratterizzandosi per prevalenti finalità di protezione sociale, si prestano ad essere inquadrate come interventi della Banca rispetto a situazioni eccezionali, dovuti, più esattamente, all'esigenza di evitare un drastico deterioramento delle condizioni sociali, tanto in Paesi a basso reddito (82), quanto in Paesi meno disagiati (83). Il che significa, dal punto di vista del Patto, che l'azione così svolta dalla Banca, lungi dall'esprimere un impegno generale degli Stati membri - e parti del Patto stesso - ad orientarne le politiche di prestito in senso favorevole a un incremento del livello di realizzazione dei diritti ivi previsti, risulta, prima facie, in linea con l'esigenza più modesta, di adoperarsi per evitare un arretramento di detto livello.

Passando poi all'incidenza delle operazioni della Banca in materia sociale, l'idoneità dei dati relativi a confermare ciò che sin qui si è detto è, anch'essa, piuttosto evidente. Basti pensare che nel contesto delle operazioni di prestito effettuate dall'Associazione internazionale per lo sviluppo fra il 2001 e il 2009, la percentuale complessiva degli interventi finalizzati allo sviluppo e alla protezione sociale («Social Development and Protection»), nonché allo sviluppo umano («Human Development»), è estremamente bassa (84), se rapportata, ancora una volta, agli indici di povertà di molti dei Paesi beneficiari (85); e basti pensare, altresì, che nelle stesse operazioni di prestito direttamente effettuate dalla Banca, tale percentuale è ancora più bassa (86).

L'orientamento posto in risalto trova poi conferma, sia nel già citato parere del 2006 (87) del General Counsel Danino, sul ruolo dei diritti umani nelle attività della Banca, sia nelle linee generali dell'attività di controllo svolta dall'Inspection Panel della Banca stessa.

Riguardo al parere di Danino, deve infatti ricordarsi che, al di là delle molteplici affermazioni di carattere generale sul rilievo dei diritti dell'uomo - e finanche sull'interdipendenza fra diritti sociali e diritti civili e politici (88) -, in esso si afferma con chiarezza che l'esigenza, per la Banca, di prendere in considerazione nella sua azione «violations and non-fulfillments» dei diritti dell'uomo, va limitata al caso in cui «[...] these have an economic impact», e che, sempre entro questi limiti, dovrebbe mantenersi l'intervento della Banca, anche quando ad essa sia esplicitamente richiesto di sostenere l'adempimento di obblighi in materia, da parte di Paesi destinatari della sua azione (89). Non solo, dunque, non vi è traccia, in questo documento, di un impegno a favorire la destinazione di quote dei prestiti al finanziamento della spesa sociale, ma, a stare alla logica seguita dal General Counsel, ciò sembrerebbe addirittura da escludersi, se non nella misura in cui una simile operazione presenti effetti potenzialmente positivi ai fini dell'azione economica complessivamente condotta dalla Banca. Analogamente, nessun accenno è fatto all'esigenza di evitare un arretramento generalizzato delle condizioni sociali di un Paese richiedente, malgrado l'orientarsi della prassi poc'anzi esaminata in questa direzione, in conformità - perlomeno per grandi linee - alle prescrizioni ricavabili dal PDESC.

Considerazioni in parte diverse devono svolgersi invece riguardo agli orientamenti generali ricavabili dalla prassi concernente la verifica della conformità dell'azione della Banca rispetto alle sue «[...] operational policies and procedures», per via dell'istituzione dell'Inspection Panel.

Non può negarsi infatti che, nell'ambito di tale prassi, gli effetti sociali sfavorevoli atti a scaturire dall'esecuzione di singoli progetti finanziati dalla Banca abbiano trovato frequente considerazione, oltre che nei rapporti investigativi dell'Inspection Panel stesso, anche nelle raccomandazioni con le quali il Board of Executive Directors ha dato seguito al piano d'azione (Action Plan), sottopostogli dal Management della Banca ed elaborato sulla base di detti rapporti (90). Più esattamente, ciò si è verificato, non solo quando a venire in rilievo sia stata la violazione di Operational Policies specificamente volte ad orientare in termini sociali l'azione della Banca (91), ma anche in casi in cui si lamentava la violazione di altre Operational Policies, tra le quali, in particolare, quella relativa al trasferimento involontario di popolazioni (92).

Se questo è vero, è pur vero, tuttavia, che il modo in cui i diritti sociali investiti dai progetti della Banca - fra cui, il diritto al lavoro, il diritto alla salute ed il diritto all'abitazione - sono venuti in rilievo nell'ambito della prassi in questione è, per così dire, puramente negativo. In altri termini, il fatto che siffatti diritti risultino compressi, o possano risultare compressi (93) - a causa del mancato rispetto delle diverse Operational Policies fatte valere nel corso del procedimento - ha indotto il Panel, il Management della Banca, e gli stessi Executive Directors, a raccomandare l'adozione di misure implicanti forme di compensazione per gli individui o i gruppi di individui già danneggiati da un progetto (94), ovvero di misure volte ad evitare il prodursi di una situazione negativa a loro carico, in conseguenza della futura esecuzione del progetto stesso (95).

Quanto appena rilevato è peraltro in linea con i caratteri del procedimento in esame, se si pensa che quest'ultimo, indipendentemente dalle sue possibili evoluzioni in senso «pubblicistico» (96), si presenta, a tutt'oggi, come un meccanismo di controllo, finalizzato alla tutela di interessi imputabili agli individui (o a gruppi di individui) che si appellino al Panel; dunque, come un meccanismo riconducibile, in buona sostanza, al modello dei dispositivi di tutela individuale nel campo dei diritti civili e politici. Né il significato di un simile strumento può esser sottovalutato, se solo si tiene conto della sua tendenza a funzionare in modo sistematico (97), sia pure con la strutturale debolezza rappresentata dall'assenza di una fase di verifica sull'effettiva attuazione delle misure raccomandate dal Panel (98).

Ciò nonostante, se la prassi in questione viene comparata alle politiche di condizionalità della Banca, essa dimostra di non presentare novità particolari, perlomeno sotto il profilo dei suoi caratteri materiali. Il fatto che l'esigenza di tutelare i diritti sociali venuti in rilievo si traduca nell'adozione di misure volte a compensare o a prevenire la loro compressione, appare, insomma, sostanzialmente congruente con la tendenza ad evitare che tali diritti subiscano un arretramento, riscontrabile anche negli orientamenti generali in tema di condizionalità. Tutto ciò che può dirsi - su cui si dovrà tornare - è che, a differenza di quel che abbiamo visto per le politiche di condizionalità, sia del Fondo che della Banca, nell'ambito della prassi in esame, tale tendenza si mostra costante (99).

5. Giunti a tal punto, possono dunque svolgersi alcune, brevi riflessioni conclusive.

Queste ultime, come si è anticipato, non riguarderanno le perplessità sollevate, sia pure con argomenti e per ragioni differenti, tanto con riferimento alla responsabilità diretta di Fondo e Banca mondiale per violazioni dei diritti dell'uomo, quanto con riferimento alla responsabilità degli Stati membri.

Conviene invece soffermarsi ancora sugli orientamenti emergenti dalla prassi del Fondo e della Banca appena esaminata, nella prospettiva dei principi ricavabili dal PDESC.

Ci si può chiedere allora, in primo luogo, quali indicazioni siano ricavabili da detti orientamenti a proposito del rapporto fra la logica di fondo dell'azione svolta in tal modo dal Fondo e dalla Banca e la logica di fondo degli obblighi posti Patto in tema di diritti sociali.

Per dare una risposta al riguardo si potrebbe invocare la circostanza più volte messa in luce; e cioè, che sia nell'ambito della prassi recente del Fondo, sia nella prassi recente della Banca, affiora una tendenza ad evitare che dalle attività di tali organizzazioni finiscano per scaturire effetti sociali negativi, idonei a produrre un arretramento dei diritti sanciti dal PDESC. Considerato che un simile comportamento appare prima facie conforme all'obbligazione «progressiva» di cui all'art. 2, par. 1 del Patto - in base al quale risultano eccezionalmente giustificabili, del resto, anche comportamenti regressivi (100) - potrebbe ipotizzarsi che fra la logica del Patto e la logica di azione delle due istituzioni in esame sia in atto un processo di graduale convergenza, proprio a partire dal contenuto normativo «minimo» dell'obbligazione «progressiva».

Malgrado la tendenza in esame si sia effettivamente manifestata, non sembra, però, che da ciò possa realmente desumersi quanto appena ipotizzato.

A tal riguardo è necessario richiamare due circostanze.

Vi è anzitutto da sottolineare che è un principio generale ricavabile dal Patto, quello per cui gli Stati sono chiamati a preordinare, con regolarità, i loro comportamenti, alla realizzazione e al godimento non discriminatorio dei diritti sanciti, sia pure nei limiti connessi al carattere «progressivo» degli obblighi relativi (101), e mediante una varietà di comportamenti non predeterminabili.

A fronte di tale principio, va ricordato che l'orientamento recente del Fondo e dalla Banca mondiale - volto a prevenire effetti sociali sfavorevoli, idonei a scaturire dai loro interventi e a ripercuotersi negativamente sui diritti contemplati dal PDESC - tende, viceversa, a manifestarsi per lo più in relazione a situazioni eccezionali, talvolta riguardanti Paesi eccezionalmente disagiati (102); situazioni, il cui verificarsi, non va dimenticato, è stato talvolta ricondotto, proprio alla logica economica complessiva dell'azione di tali istituzioni (103).

Se questo è vero, sembra allora che nulla autorizzi a considerare la tendenza in questione come il sintomo di un più ampio processo di graduale allineamento della prassi rilevante del Fondo e della Banca rispetto ai principi di fondo ricavabili dal sistema del Patto, malgrado gli elementi positivi ricavabili - perlomeno per la Banca - dal rilievo assunto da esigenze di carattere sociale nel procedimento di controllo dell'Inspection Panel.

D'altra parte, in senso contrario rispetto ad una simile conclusione possono ancora richiamarsi, sia il fatto che nelle recenti politiche di condizionalità di Fondo e Banca non vi è traccia dell'esigenza di favorire la destinazione di quote dei prestiti al finanziamento della spesa sociale dei Paesi beneficiari, sia il fatto che dette politiche si rivelano talora idonee a produrre effetti discriminatori - in contrasto con l'art. 2, par. 2 del Patto stesso - come si è visto per la Flexible Credit Line. È evidente infatti che, nel rispondere a logiche tipiche dell'azione delle due istituzioni (104), ovvero a specifici bisogni contingenti (105), detti orientamenti mostrano di conciliarsi ben poco, invece, con l'esigenza discendente dal Patto, di adoperarsi con regolarità per la realizzazione e il godimento non discriminatorio dei diritti ivi fissati.

Ciò premesso, ci si può chiedere, infine, quali conseguenze si possano ricavare sul piano della portata degli obblighi specificamente derivanti dal Patto per gli Stati membri del Fondo e della Banca mondiale.

A proposito di questi obblighi - desunti dalla prassi del CDESC - si è già detto più volte, nel corso del lavoro, che essi si riducono sostanzialmente a due categorie, consistendo, per un verso, nel dovere di adoperarsi affinché le politiche generali delle organizzazioni finalizzino una porzione «ragionevole» dei finanziamenti da erogare alla realizzazione dei diritti previsti dal Patto; e, per altro verso, nel dovere di evitare che dagli interventi posti in essere da Fondo o Banca, scaturiscano le condizioni per un arretramento di tali diritti.

Alla luce della prassi sin qui esaminata, è però difficile ritenere che siffatti doveri risultino effettivamente configurabili nel modo appena ricordato. È difficile ritenere, in altri termini, che l'assenza di ogni riferimento all'esigenza di favorire la spesa sociale, sia negli orientamenti del Fondo, che negli orientamenti della Banca, non abbia inciso sull'obbligo riguardante gli indirizzi delle politiche generali delle due organizzazioni. Né è agevole concludere che sulla portata del dovere di evitare «arretramenti» dei diritti sanciti dal Patto, non abbia inciso la circostanza - poc'anzi sottolineata - che l'azione del Fondo e della Banca si sia orientata in tal senso, per lo più in risposta a situazioni eccezionali.

Fermo restando che il CDESC ha ribadito, anche di recente, l'esigenza che gli obblighi del Patto siano rispettati nell'ambito delle attività delle istituzioni finanziarie (106), gli orientamenti di tali istituzioni, non possono, insomma, ritenersi privi di significato; basti ricordare che fra gli Stati parti del PDESC e quelli membri della Banca e del Fondo vi è un'amplissima coincidenza (107), e che il Comitato stesso non è dotato - com'è noto - di una competenza formalmente vincolante ad interpretare il Patto.

Con riferimento al primo dei due obblighi in questione è allora lecito ipotizzare che esso, rivelandosi del tutto privo di effettività riguardo ai comportamenti degli Stati parti del Fondo e della Banca, risulti sostanzialmente caducato, perlomeno in ordine all'azione di sostegno allo sviluppo condotta da queste istituzioni. E ciò, sia che si ritenga che una simile situazione si sia venuta determinando per effetto di un processo consuetudinario ad hoc (108); sia che si ritenga - più verosimilmente - che essa risulti riconducibile all'affermarsi di principi relativi al sostegno allo sviluppo, ricavabili dalla prassi del Fondo e della Banca, ma aventi in realtà una portata di carattere più generale (109).

Una conclusione più articolata si impone invece con riferimento all'obbligo di evitare che le azioni del Fondo e della Banca si ripercuotano negativamente sui diritti sanciti dal Patto.

Se è vero infatti che nel quadro delle attività idonee a promuovere i diritti dell'uomo, poste in essere sia dal Fondo che dalla Banca, a tale esigenza si è risposto solo in presenza di situazioni eccezionali, è pur vero, invece, che nelle attività di controllo condotte nell'ambito del procedimento dell'Inspection Panel, l'obbiettivo di far fronte agli effetti sociali negativi scaturenti dai progetti esaminati (e perciò idonei a produrre un arretramento dei diritti sanciti nel Patto) viene ad assumere rilievo costante. In altri termini, mentre in relazione al primo tipo di attività - ad es., le politiche di condizionalità - gli orientamenti assunti in concreto da Fondo e Banca risultano, malgrado le apparenze, del tutto divergenti rispetto ai principi di fondo ricavabili dal Patto (110), ciò non può dirsi per quanto attiene alle attività di controllo della Banca, nell'ambito delle quali l'esigenza di evitare arretramenti dei diritti previsti tende invece, per quel che si è detto, a trovare spazio con regolarità.

Sembra allora che l'obbligo in questione sia da ritenersi caducato, analogamente a quanto visto poc'anzi (111), solo per ciò che attiene ai comportamenti degli Stati da tenere nell'ambito di attività del Fondo e della Banca, riconducibili, per l'appunto, alla prima delle due categorie in esame.

Per ciò che riguarda il controllo degli effetti sociali negativi atti a scaturire da singoli interventi di finanziamento, le indicazioni ricavabili dalla prassi dell'Inspection Panel vanno invece nel senso che l'obbligo relativo mantenga ancora vigore.


Note

*. Professore ordinario di Diritto internazionale, Università degli Studi di Napoli «Federico II». L'Autore ringrazia la dott.ssa Lara Appicciafuoco per i suggerimenti fornitigli ai fini dell'aggiornamento della prassi.

1. Cfr., in primo luogo, i due volumi di Ghazi, The IMF, the World Bank Group and the Question of Human Rights, Ardsley Park, 2005 (anche per ricche indicazioni bibliografiche: ivi, pp. 312-372) e Darrow, Between Light and Shadow. The World Bank, The International Monetary Fund and International Human Rights Law, Oxford, 2003, nonché Van Genugten, Hunt, Matthews (eds.), World Bank, IMF and Human Rights, Nijmegen, 2003, Skogly, The Human Rights Obligations of the World Bank and the International Monetary Fund, London, 2001 e, già in precedenza, Shihata, La Banque mondiale et les droits de l'homme, in RBDI, 1999, p. 86 ss. e Klein (P.), Les institutions financières internationales et les droits de la personne, ibidem, p. 97 ss.; di recente, in una prospettiva più ampia, ancorché strettamente tecnicogiuridica, v. anche l'intervento di Sorel, Institutions économiques internationales et droits de l'homme: un respect cosmétique en effet miroir, in Ascensio, Flauss (sous la dir. de), La soumission des organisations internationales aux norms relatives aux droits de l'homme, Paris, 2009, p. 35 ss.; per un'analisi sociologica, specificamente relativa alla Banca mondiale, v. Sarfati, Why Culture Matters in International Institutions: The Marginality of Human Rights at the World Bank, in AJIL, 2009, p. 647 ss.; per una valutazione complessiva dell'azione di Fondo monetario e Banca mondiale nel quadro del modello teorico «rawlsiano» della giustizia «egualitaria», v. invece Garcia, Global Justice and the Bretton Woods Institutions, in JIEL, 2007, p. 461 ss., p. 469.

2. Si vedano, in particolare i lavori di Ghazi e Darrow - sui quali si tornerà più volte nel corso di questo scritto - e quello di Skogly, tutti citati alla nota precedente.

3. Si tratta dell'opinione espressa, già al principio degli anni '80, dall'Autore che qui si contribuisce ad onorare, proprio con riferimento al Fondo; opinione, secondo la quale il fatto che tale organizzazione contempli «una partecipazione 'differenziata'» degli Stati membri, riproducendo nell'ambito dei suoi meccanismi «istituzionali» l'assetto delle «forze sociali prevalenti» nella Comunità internazionale - come avviene, per l'appunto (anche per la Banca), tramite il meccanismo del voto ponderato (e le conseguenze ad esso ricollegabili) - comporta che essa possa configurarsi, perlomeno in certi casi, come «un congegno o strumento oggettivo al servizio non solo del gruppo di Stati che ad essa abbiano dato vita, ma della stessa Comunità internazionale» (Picone, Diritto internazionale dell'economia e costituzione economica dell'ordinamento internazionale, in Picone, Sacerdoti (a cura di), Diritto internazionale dell'economia, Milano, 1982, p. 31 ss., pp. 76-79, per i passi riportati). Sulle conseguenze che da questa tesi possono trarsi con specifico riferimento al tema in esame, v. infra, par. 5.

4. Per quanto concerne specificamente la Banca mondiale, si vedano le accurate indicazioni fornite da Ghazi, op. cit., pp. 250-257 (per una rassegna delle Guidelines adottate sino al 2004) e pp. 257-263 (per le pratiche poste in essere dalla Banca, specialmente con riguardo alla partecipazione delle comunità interessate dai progetti di prestito); ivi, p. 272 ss., anche una descrizione delle pratiche seguite dal Fondo, in particolare delle politiche di condizionalità (pp. 273-274); sul punto, sia per il Fondo, che per la Banca, v. anche Darrow, op. cit., rispettivamente, pp. 170-183 e 186-192.

5. Ciò che non avviene invece - notoriamente - per l'OMC: sul punto, anche per qualche cenno, riguardante altri organismi economici internazionali, come l'OCSE (nonché l'ECOSOC e l'UNCTAD), v. Sorel, op. cit., p. 36 ss.

6. Con il termine «condizionalità » (conditionality) si suole indicare sinteticamente un insieme di circostanze differenti, alle quali viene (di regola) subordinata la concessione di prestiti, ovvero il finanziamento di progetti, da parte delle istituzioni finanziarie internazionali. Tradizionalmente le politiche di condizionalità di tali istituzioni si sono caratterizzate per il carattere economico delle misure richieste agli Stati destinatari dell'intervento (per il Fondo, v., in particolare, Denters, Law and Policy of IMF Conditionality, The Hague, 1996). Più di recente - in particolare negli anni '90 - tanto nell'ambito dell'azione esterna dell'Unione europea, tanto nell'ambito della prassi del Fondo e della Banca mondiale, le clausole di condizionalità hanno preso a riguardare, sempre più spesso, aspetti di carattere politico; si tratta, non solo e non tanto dell'esigenza di rispettare i diritti dell'uomo (per il Fondo monetario e la Banca mondiale, v. gli studi di Skogly, Darrow e Ghazi, supra, nota 1), quanto dell'adozione di vere e proprie politiche pubbliche di «buon governo», malgrado il principio di neutralità politica che - perlomeno sulla carta - caratterizza il mandato del Fondo e della Banca mondiale (per il rilievo assunto da tali misure nella politica di condizionalità della Banca mondiale, già agli inizi degli anni '90, v. Shihata (ed.), The World Bank in a Changing World, Selected Essays, Dordrecht, 1991, p. 53 ss., e, più di recente, dello stesso autore, The World Bank Legal Papers, The Hague, 2000, p. 248 ss.; per l'evoluzione della prassi del Fondo nei primi anni di questo decennio v. Dordi, Profili giuridici dell'attività di sostegno del Fondo Monetario Internazionale: le nuove linee-guida sulla condizionalità, in Dir. Comm. Int., 2002, p. 863 ss.). Per un'ampia analisi della questione e per ulteriori, specifici riferimenti bibliografici e documentali, v. Appicciafuoco, Sistemi di condizionalità nella cooperazione multilaterale allo sviluppo, Tesi di dottorato, Roma-Teramo, 2006; per cenni sintetici, v. Viterbo, Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale, in Comba (a cura di), Neoliberismo internazionale e global economic governance, Torino, 2008, p. 189 ss., pp. 212 e 226; sull'evoluzione più recente e sulla nozione di «condizionalità strutturale», v. infra, par. 4.

7. In argomento, le opinioni degli autori cui si è fatto cenno tendono a convergere, sul presupposto della personalità giuridica internazionale di Fondo monetario e Banca mondiale: Ghazi, op. cit., p. 140 ss. e Darrow, op. cit., p. 129 ss., nonché Skogly, op. cit., pp. 80-91; già in precedenza, v., peraltro, Bradlow, The World Bank, the IMF and Human Rights, in Trasnat'l L. & Contemp., 1996, p. 47 ss., p. 63, e Shihata, The World Bank and Human Rights: An Analysis of the Legal Issues and the Record of Achievements, in Denv. J. Int'l L. & Pol'y, 1988, p. 39 ss., p. 47.

8. Tale disposizione, com'è noto, include il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fra gli obbiettivi da promuovere al fine di realizzare la pace fra gli Stati.

9. Darrow, op. cit., p. 129, nonché Skogly, op. cit., p. 99 ss.; sull'art. 59, v. Meng, Article 59, in Simma (ed.), The Charter of the United Nations. A Commentary, II ed., vol. 2, New York, Oxford, 2002, p. 970 s.

10. Dall'art. 56 (sul quale, v. Wolfrum, Article 56, in Simma (ed.), op. cit., p. 942 s.) non è dunque formalmente ricavabile, a carico di Fondo monetario e Banca mondiale, alcun obbligo di rispettare i principi sui diritti umani, richiamati dal precedente art. 55 (non sembra invece preoccuparsi di questa distinzione Ghazi, op. cit., p. 134 s.); altra questione è, naturalmente, la portata precettiva concreta della disposizione (sulla quale, oltre a Ghazi, op. e loc. cit., v. anche Schwelb, The International Court of Justice and the Human Rights Clauses of the Charter, in AJIL, 1972, p. 337 ss., p. 339).

11. Per meglio dire, l'art. X degli Articles of Agreements neppure menziona, specificamente, le Nazioni Unite, limitandosi a prevedere che il Fondo cooperi con «[...] any general international organization and with public international organizations having specialized responsibilities in related fields».

12. Per lo meno per via di una loro diretta efficacia nei confronti del Fondo: v. anche infra in questo paragrafo.

13. Gianviti, Economic, Social and Cultural Rights and the International Monetary Fund, 2002 (disponibile sul sito del Fondo monetario internazionale), pp. 12-13 (per il punto in esame); pubblicato anche in Alston (ed.), Non-State Actors and Human Rights, Oxford, 2005, p.113 ss.

14. V. Gianviti, op. cit., pp. 9-10; sul punto, v. anche i rilievi critici di Darrow, op. cit., p. 137.

15. Legal Opinion on Human Rights and the Work of the World Bank. Senior Vice-President and General Counsel, January, 27, 2006.

16. V. l'art. VI, par. 1 di entrambi gli Accordi di collegamento, i quali fanno identico riferimento alle decisioni adottate dal Consiglio, ai sensi degli artt. 41 e 42 della Carta.

17. Ivi, par. 14.

18. Ibidem, par. 19.

19. Ibidem, par. 20.

20. Sulla cui logica di fondo, v. infra, par. 4; nel medesimo senso, v. anche Shihata, La Banque mondiale, cit., p. 93.

21. Come si è già detto, l'Accordo di collegamento non parla di efficacia diretta; nell'opinione di Danino, si parla, a questo riguardo, di «international obligations relevant to the Bank» (corsivo aggiunto), e non di obblighi direttamente incombenti sulla Banca; a conferma di quest'interpretazione, v. il passo citato alla nota successiva.

22. Per quanto concerne la Banca, tale circostanza si ricollega, del resto, alla visione generale, esplicitata dal General Counsel, riguardo ai ruoli differenti che Banca e Stati sono destinati ad assumere in tema di diritti umani: «[...] it should be clear that the Bank's role is not that of an enforcer of human rights obligations. Enforcement is primarily the responsibility of member countries and of other, non-financial entities such as the United Nations treaty monitoring bodies and regional human rights organizations. Rather, the Bank's role remains one of supportive cooperation with its members in the realization of human rights» (par. 23 dell'opinione).

23. In questo senso, con riferimento alle operazioni di prestito o di garanzia della Banca mondiale a favore di Stati, v. Salmon, Les contrats de la Banque internationale pour la reconstruction et le développement, in AFDI, 1956, p. 635 ss., p. 642.

24. Com'è noto, vengono denominate «sanzioni» o misure «positive» - dal punto di vista giuridico - le misure di incentivazione, nel cui ambito si iscrivono le clausole di condizionalità ; tali misure richiedono, infatti, l'adozione di comportamenti non obbligatori, ancorché necessari per il conseguimento di certi vantaggi. Per un'utilizzazione di questa nozione in relazione al fenomeno della condizionalità delle istituzioni finanziarie internazionali, v., per tutti, Picchio Forlati, The Legal Core of Economic Sanctions, in Picchio Forlati, Sicilianos (sous la dir. de), Les sanctions economiques en droit international, Leiden, Boston, 2004, p. 99 ss., p. 146.

25. Al riguardo, v. Dordi, I diritti economici, sociali e culturali nelle azioni di sostegno del Fondo Monetario Internazionale, in Bestagno (a cura di), I diritti economici, sociali e culturali. Promozione e tutela nella comunità internazionale, Milano, 2009, p. 231 ss., p. 233; per la tesi secondo la quale dalle clausole di condizionalità non deriverebbero obblighi, anche a voler ricostruire come accordi le relative operazioni del Fondo, v. Pistoia, Il ruolo del Fondo monetario internazionale nella crisi economico-finanziaria dell'Argentina, in Orrù, Scianella (a cura di), Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione, Torino, 2004, p. 185 ss., p. 193 e note 35-36.

26. Secondo il commento all'art. 14 del Progetto sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali (Directives et contrôle dans la commission d'un fait internationalement illicite), approvato in prima lettura dalla Commissione del diritto internazionale nel 2009, l'esistenza di decisioni vincolanti, dirette nei confronti degli Stati membri di un'organizzazione - non implicanti margini di discrezionalità esecutiva per questi ultimi - costituirebbe una condizione sufficiente a rendere applicabile la figura del «controllo» (Rapport de la Commission du droit international, 2009, UN Doc. A/64/10 - di seguito Rapport 2009 - p. 14 ss., p. 88, par. 3; v. anche il Troisième rapport sur la responsabilité des organisations internationales, UN Doc. A/CN.4/553, 13 maggio 2005, p. 16 ss., parr. 35-38); è però evidente che tale condizione non ricorre - perlomeno in principio - né se la concessione dell'aiuto viene ricostruita come accordo internazionale (Banca) - ipotesi nella quale l'esistenza di atti unilaterali vincolanti, è evidentemente esclusa in radice - né se le clausole di condizionalità vengono considerate come «sanzioni positive» inserite in atti unilaterali di dette istituzioni (Fondo); e ciò, perché tali clausole, configurandosi, in principio, come oneri a carico dei destinatari, restano comunque sfornite di carattere obbligatorio. Talora, e cioè nel caso di clausole di condizionalità «strutturale» non implicanti margini di discrezionalità (ad es.: la privatizzazione del settore dei servizi pubblici: v. infra, par. 4). può ingenerarsi l'impressione che gli Stati siano «obbligati» a darvi esecuzione; ma ciò dipenderà dalla gravità della situazione in cui versano e dall'assoluta necessità del prestito - non da una pretesa «obbligatorietà » di tali clausole - dovendo dunque ritenersi applicabile la figura della «coercizione» (infra).

27. A differenza dell'ipotesi del «controllo» e «direzione» nella commissione di un illecito da parte di un'organizzazione internazionale (che appare più «ampia» rispetto a quella analoga, delineata nel Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, nella misura in cui è idonea a contemplare anche l'ipotesi del controllo «normativo», vale a dire dell'adozione di atti vincolanti, da parte dell'organizzazione, nei confronti degli Stati membri), l'ipotesi dell'«aiuto» o «assistenza» è del tutto corrispondente a quella tracciata nel commento all'art. 16 del Progetto sulla responsabilità degli Stati, in cui la circostanza che l'assistenza sia specificamente intesa a facilitare l'adozione del comportamento illecito è espressamente indicata quale elemento costitutivo della fattispecie prevista: Projet d'articles sur la responsabilité de l'État pour fait internationalement illicite et commentaires y relatifs (2001), New York, 2005, p. 166, par. 3.

28. Si tratta dell'art. 16 del Progetto sulla responsabilità delle organizzazioni; per il commento relativo, v. Rapport 2009, cit., pp. 90-94; v. anche parr. 39-44 del Troisième Rapport, cit.

29. Al riguardo, non sembra del tutto condivisibile l'affermazione (effettuata da Dordi, I diritti economici, cit., p. 248 s.), secondo la quale il Fondo (ma l'opinione è suscettibile di essere estesa anche alla Banca mondiale) resterebbe escluso, in radice, dall'ambito di applicazione di detta figura di responsabilità, non ricorrendo, nel caso delle azioni di finanziamento poste in essere da quest'organizzazione, il presupposto fissato dallo stesso Troisième rapport, cit.; e cioè, che le raccomandazioni contenute nelle clausole di condizionalità siano «faites en vue de realiser un des objectifs de l'organisation» (ibidem, par. 41). Se è vero, da una parte, che l'atto di concessione del finanziamento ed i suoi effetti positivi estrinseci (ad es., quelli riguardanti la credibilità del Paese destinatario del finanziamento) implicano benefici per gli Stati destinatari, non vi è dubbio, d'altra parte, che i comportamenti raccomandati a tali Stati producano effetti positivi anche per l'organizzazione; e ciò, non solo poiché tali comportamenti costituiscono garanzia della restituzione del prestito (come osserva lo stesso Dordi, ibidem, p. 249), ma anche perché la loro adozione è destinata a far sì che lo sviluppo degli assetti macroeconomici ed istituzionali di detti Stati avvenga in linea con gli indirizzi di fondo dell'organizzazione, concretizzantisi nelle sue politiche di condizionalità ; d'altra parte, che la funzione di «orientare» lo sviluppo dei Paesi più poveri sia divenuta, nel corso del tempo, uno dei compiti principali dell'organizzazione - malgrado l'assenza di appigli testuali espliciti al riguardo, negli Articles of Agreement - è affermazione diffusa (ad es., Carreau, Juillard, Droit international économique, II éd., Paris, 2005, pp. 584 e 599).

30. Al riguardo, v. l'affermazione effettuata nel Troisième Rapport, cit., par. 44.

31. V. infatti la lett. b) degli artt. 13 e 14, citati poc'anzi.

32. Supra, in questo paragrafo.

33. Rapport 2009, cit., loc. cit. supra, par. 2.

34. Si pensi agli effetti negativi derivanti dalla richiesta di liberalizzare un settore in mano pubblica (ad es., i servizi finanziari) per effetto di condizioni dettate dal Fondo, o anche dalla Banca nella sua politica di finanziamenti strutturali (emblematici, per la rigidità delle condizioni strutturali imposte dal Fondo, i casi del Kenia e dell'Etiopia, a fine degli anni '90: Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, 2002, - trad. it. di Globalization and its Discontents, New York, 2002 - p. 23 ss.); per le frasi citate nel testo, cfr. Troisième rapport, cit., par. 28; v. anche Dordi, I diritti economici, cit., p. 247.

35. Sull'incidenza degli orientamenti assunti dell'azione di finanziamento della Banca mondiale sulla dimensione «civile e politica» del diritto all'istruzione, sancito dall'art. 13 del PDESC, sia però consentito di rinviare agli sviluppi contenuti in De Sena, Banca Mondiale, diritto all'istruzione e Patto sui diritti economici, sociali e culturali, in Boschiero, Luzzatto (a cura di), I rapporti economici internazionali e l'evoluzione del loro regime giuridico (Atti del XII Convegno della Società italiana di diritto internazionale), Napoli 2008, p. 123 ss., p. 134 s.

36. Sulla quale, per un'analisi complessiva (anche alla luce delle ragioni dell'intervento della Banca al riguardo), v. Sarfati, The World Bank and the Internalization of Indigenous Rights Norms, in Yale L. J., 2005, p. 1791 ss., nonché Kingsbury, Operational Policies of International Institutions as Part of Law-Making Process; the World Bank and Indigenous Peoples, in Goodwin-Gill, Talmon (eds.), The Reality of International Law. Essays in Honour of Ian Brownlie, Oxford, 1999, p. 323 ss. Sul rilievo della prassi dell'Inspection Panel con specifico riferimento ai diritti sanciti dal PDESC, v. infra, par. 4.

37. Observation générale nº 3: La nature des obligations des États parties (art. 2, par. 1 du Pacte), in Récapitulation des observations générales ou recommandations générales adoptées par les organes créés en vertu d'instruments internationaux relatifs aux droits de l'homme, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), 27 maggio 2008, p. 13 ss.

38. Ibidem, par. 9.

39. «Chacun des Etats parties au présent Pacte s'engage à agir, tant par son effort propre que par l'assistance et la coopération internationales, notamment sur les plans économique et technique, au maximum de ses ressources disponibles, en vue d'assurer progressivement le plein exercice des droits reconnus dans le présent Pacte par tous les moyens appropriés, y compris en particulier l'adoption de mesures législatives» (corsivo aggiunto).

40. Art. 11, par. 1 (diritto ad un'abitazione dignitosa), Observation générale nº 4, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), cit., p. 18 ss., par. 19; art. 11, par. 1 (diritto ad un'alimentazione sufficiente), Observation générale nº 12, ibidem, p. 67 ss., par. 41; art. 14 (piano d'azione per l'istruzione primaria), Observation générale nº 11, ibidem, p. 64 ss., par. 11; art. 13 (diritto all'istruzione), Observation générale nº 13, ibidem, p. 76 ss., par. 56; art. 12 (diritto alla salute), Observation générale nº 14, ibidem, p. 93 ss., par. 39; artt. 11 e 12 (diritto all'acqua), Observation générale nº 15, ibidem, p. 115 ss., par. 36; art. 6 (diritto al lavoro), Observation générale nº 18, ibidem, p. 161 ss., par. 30; art. 9 (diritto alla sicurezza sociale), Consiglio economico e sociale, Observation générale nº 19, UN Doc. E/C.12/GC/19, 4 febbraio 2008, par. 58.

41. Art. 22 (misure di assistenza tecnica), Observation générale nº 2, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), cit., p. 9. ss., par. 9.

42. Si vedano, ad esempio, le Osservazioni conclusive del 23 maggio 2000, riguardanti l'Italia (UN Doc. E/C.12/1/Add. 43, 23 maggio 2000, par. 20) e quelle del 1° dicembre 2000, sul rapporto presentato dal Belgio (UN Doc. E/C.12/1/Add. 54, 1° dicembre 2000, par. 31); sul punto, anche per ulteriori indicazioni, v. ancora Darrow, op. cit., p. 247 s.

43. L'obbligo, per gli Stati parti del Patto, di adoperarsi nel quadro di organizzazioni internazionali affinché queste adottino delibere conformi ai diritti previsti è ribadito anche riguardo all'ipotesi specifica delle sanzioni economiche decise dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Observation générale nº 8, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), cit., p. 53 ss., parr. 11-14.

44. Si veda, per tutti, l'ampia analisi di Pisillo Mazzeschi, Responsabilité de l'État pour violation des obligations positives relatives aux droits de l'homme, in RCADI, 2008, t. 333, p. 175 ss., p. 438 ss.

45. Sul punto, v. ancora Pisillo Mazzeschi, op. cit., che la ricostruisce, come obbligazione «générale et complexe», implicante «un effort prolongé de diligence» (p. 442), pur rilevando che da essa scaturiscono una serie di obbligazioni più specifiche, talora di diligenza, talora di risultato.

46. Ai sensi dell'art. 2 del Patto (testo integrale, supra, nota 39), ogni Stato parte è obbligato infatti ad impegnarsi «au maximum de ses ressources disponibles».

47. Le espressioni fra virgolette sono di Pisillo Mazzeschi, op. cit., p. 467; questa soluzione, che si richiama alla tecnica del bilanciamento fra interessi in conflitto, è senz'altro preferibile ad altre tesi, in particolare a quella proposta da Sepulveda (M.), The Nature of the Obligations under the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, Antwerpen, 2003, p. 332 ss., secondo la quale le risorse da destinare ai diritti umani dovrebbero avere priorità, ai sensi del Patto, rispetto a quelle destinate ad altri scopi; e ciò, non solo (e non tanto) poiché essa appare più realistica e risponde a consolidati orientamenti in materia delle Corti costituzionali nazionali, ma anche perché la logica della proporzionalità fra diritti previsti ed interessi collettivi è una logica tipica, com'è noto, degli stessi strumenti internazionali sui diritti dell'uomo. In linea con tale logica, le risorse da utilizzare per la realizzazione degli scopi del Patto sono, naturalmente, destinate a variare in funzione delle circostanze del caso concreto: ad es., la situazione economica complessiva del Paese destinatario degli aiuti (va peraltro sottolineato che sia nell'Observation générale nº 3, cit., parr. 11-12, sia in gran parte dei commenti generali relativi a singoli diritti, si afferma espressamente che le obbligazioni stabilite dal Patto mantengono intatta la loro forza in periodi di difficoltà economica: v., ad es., sul diritto ad un alloggio dignitoso, l'Observation générale nº 4, cit., par. 11, nonché, in tema di protezione dei portatori di handicap, Observation générale nº 5, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), cit., p. 25 ss., par. 10), il livello generale del rispetto dei diritti fondamentali, il livello di tutela di diritti specifici, ecc.

48. Di un obbligo del genere non vi è traccia, infatti, nei commenti generali cui si è fatto riferimento poco sopra.

49. In tal modo, l'esigenza - implicita nell'obbligazione «progressiva» prevista dal Patto, e ricavabile peraltro anche da altri sistemi di tutela - che gli Stati non restino passivi rispetto alla realizzazione dei diritti in questione (Pisillo Mazzeschi, op. cit., p. 474 ss., anche per i riferimenti ad altri sistemi di tutela), sembra meglio conciliarsi con gli obbiettivi naturalmente economicofinanziari di Fondo e Banca, sui quali richiama l'attenzione Dordi, I diritti economici, cit., p. 241; a proposito dell'effettivo significato assunto da tale obbligazione nella prassi della Banca, v. però quanto si dirà infra, par. 4.

50. È chiaro infatti che questi obblighi esprimono il contenuto minimo, deducibile dell'obbligazione «progressiva» delineata dal PDESC con riferimento all'azione degli Stati nell'ambito di istituzioni finanziarie internazionali (in senso analogo, ma sulla base di diverse considerazioni, v. anche Dordi, op. e loc. cit. alla nota precedente); al riguardo, v. però infra, par. 4.

51. Un obbligo generale di diligenza, da osservare anche nel quadro dell'azione svolta dagli Stati parti in seno ad organizzazioni internazionali, non appare infatti rintracciabile nell'Observation générale nº 31 del 2004 (La nature de l'obligation juridique générale imposée aux États parties au Pacte, in UN Doc. HRI/GEN/1/Rev. 9 (Vol. 1), cit., p. 284 ss.), principalmente incentrato sulla natura erga omnes degli obblighi scaturenti dal Patto e sugli obblighi al cui adempimento gli Stati sono tenuti nell'ambito del loro ordinamento interno (rispettivamente, par. 2 e par. 6 ss.), presumibilmente anche a causa del principio generale per cui il rispetto di tali obblighi è dovuto nei confronti di coloro che rientrino nella «giurisdizione» degli Stati parti, ai sensi del par. 1 dell'art. 2 (v. però il par. 10 del Commento, ove si specifica che devono ritenersi tali anche gli individui che, pur non trovandosi nel territorio di un certo Stato parte, siano ugualmente soggetti al potere o controllo «effettivo» di quest'ultimo).

52. Per alcune indicazioni, v. supra, par. 2, note 23-25.

53. Si tratta, infatti, di delibere adottate - di regola - per consensus, le quali, sia per ciò che concerne il Fondo, sia per ciò che concerne la Banca, si riferiscono ad affari «generali» di tali istituzioni, rientrando dunque nella competenza dei rispettivi Consigli di amministrazione (rispettivamente: art. XII, sez. 3, lett. a) e art. V, sez. 4, lett. a)).

54. Come si ricava dal commento, nonché dal Quatrième rapport presentato del Relatore speciale, essa ha infatti come punto essenziale di riferimento la prassi riguardante le violazioni di diritti civili o politici, conseguenti al trasferimento di poteri ad organizzazioni internazionali, ad opera di Stati parti di trattati vertenti - per l'appunto - sui diritti civili e politici, in particolare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (v., rispettivamente, Rapport 2009, cit., p. 167 ss., parr. 3 e 4 e UN Doc.A/CN.4/564/Add. 1, 12 aprile 2006, p.7 ss, parr. 69-71).

55. Rapport 2009, cit., p. 170, par. 5.

56. Ibidem, par. 7.

57. Optional Protocol to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, adottato dall'Assemblea generale delle NU nel 2008 (UN Doc. A/RES/63/117, 10 dicembre 2008).

58. A tutt'oggi (agosto 2010), due Stati - Ecuador e Mongolia - hanno ratificato il Protocollo, sui dieci previsti per la sua entrata in vigore (trentatré sono invece i Paesi firmatari); nessuno degli Stati in possesso delle maggiori quote di voto (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Giappone e Germania), sia nel sistema del Fondo monetario, che nel sistema della Banca mondiale, lo ha, sinora, neppure firmato.

59. Con specifico riferimento al funzionamento di tali obblighi nel quadro dell'art. 13 del Patto, sia consentito rinviare ancora a DE Sena, op. cit., p. 143; per analoghe considerazioni, concernenti però tutti gli obblighi di cooperazione, indipendentemente, cioè, dall'individuazione del loro contenuto concreto, v. anche DE Schutter, Le Protocole facultatif au Pacte International relatif aux droits économiques, sociaux et culturels, in RBDI, 2006, p. 7 ss., p. 34, e Gargiulo, Il Protocollo facoltativo al Patto sui diritti economici, sociali e culturali, in Bariatti, Venturini (a cura di), Liber Fausto Pocar. Diritti individuali e giustizia internazionale, Milano, 2009, p. 339 ss., p. 347.

60. Di questa circostanza e della difficoltà di dimostrare l'esistenza di violazioni del Patto sul piano individuale, vi è una chiara traccia all'interno del Protocollo: l'art. 4 prevede infatti che il Comitato possa prendere in considerazione una comunicazione, malgrado gli autori della medesima non dimostrino di aver subito «a clear disadvantage», nel caso in cui esso ritenga che «the communication raises a serious issue of general importance».

61. Tale forma di ricorso, diretta espressione del carattere erga omnes o «oggettivo» degli obblighi in questione, è contemplata dall'art. 10 del Protocollo, il quale, pur fissando alcune condizioni procedurali, non richiede, ai fini della sua ricevibilità (possibile, peraltro, solo nei confronti degli Stati che abbiano effettuato l'apposita dichiarazione), che si dimostri la «qualità di vittima» di individui o di gruppi di individui, limitandosi a prevedere la condizione del previo esaurimento dei ricorsi interni; condizione, quest'ultima, che non riveste però alcun rilievo nel caso in esame, sia perché gli obblighi suddetti devono essere eseguiti nel quadro di organizzazioni internazionali, sia perché nessuna via di ricorso individuale è prevista, in ogni caso, nell'ambito dell'ordinamento del Fondo o di quello della Banca mondiale, per far valere la loro violazione.

62. Non vi è spazio, insomma, per condurre un esame analitico del modo di articolarsi delle clausole di condizionalità in relazione a singoli progetti di sostegno allo sviluppo di Fondo e Banca.

63. Cfr. decisione 14280(09/29), 15 marzo 2009, in Selected Decisions and Selected Documents of the International Monetary Fund, 34th Issue, Washington D.C., 2010, p. 292; per condizionalità «strutturale» si intendono, nella prassi rilevante del Fondo, misure come la privatizzazione del sistema bancario o dei servizi, a fronte della condizionalità «macroeconomica» (riduzione del deficit pubblico, modifica del tasso di sconto) e di quella politica (pratiche di buon governo, indipendenza della banca centrale, etc.), non interessate dalla decisione.

64. Guidelines on Conditionality, decisione 12864(02/102), 25 settembre 2002, modificata dalla decisione 13814(06/98), 15 novembre 2006, in Selected Decisions, cit., p. 284 ss., sulle quali (per la versione antecedente agli emendamenti del 2006), v. Dordi, op.e loc. cit. supra, nota 6.

65. Assemblea generale, UN Doc. A/RES/63/303, Annex, 9 luglio 2009; per il documento presentato dal Fondo in quest'occasione, v.IMF Press Release No. 09/229, IMF Paper Contributes to UN Conference on Financial Crisis, June 23, 2009 (pubblicato sul sito del Fondo monetario internazionale), pp. 7-8.

66. Decisione14283(09/29)del24marzo2009,Flexible Credit Line (FCL) Arrangements, inSelected Decisions, cit., p. 326 ss. (per un'analisi v. IMF Implements Major Lending Policy Improvements, March 24, 2009 e IMF Factsheet, The IMF's Flexible Credit Line (FCL), June 24, 2010 - pubblicati sul sito del Fondo monetario internazionale); per ulteriori indicazioni relative agli strumenti riguardanti i Paesi a basso reddito, già prima della crisi, v. Esposito,Fondo monetario e Paesi a basso reddito: le implicazioni della crisi finanziaria globale, in CI, 2010, p. 211 ss., p. 225.

67. Per l'elencazione analitica di questi standard, v. loc.cit. alla nota precedente; la ratio soggiacente all'elaborazione dello strumento in esame sembra dunque rintracciabile nell'esigenza di fornire risorse a Stati economicamente solidi, al fine di evitare rischi di «contagio» a loro danno (al riguardo, v. Stiglitz, Le triomphe de la cupidité, Paris 2010 - trad. fr. di Freefall, New York, 2010 - p. 57).

68. IMF Factsheet, The IMF's Role in Helping Protect the Most Vulnerable in the Global Crisis, April 16, 2010 (pubblicato sul sito del Fondo monetario internazionale); la media complessiva degli incrementi di «socials pending» sul prodotto interno lordo, calcolata sui dati di cui si dà specifica notizia (relativi a prestiti accordati ad Armenia, Burundi, Costa d'Avorio, Repubblica Dominicana, Guatemala, Giamaica, Pakistan, Tagikistan), risulta essere dello 0,8%.

69. Per citare solo alcuni esempi fra quelli riportati alla nota precedente - utilizzando l'indice di povertà HPI-1 approntato in ambito UNDP - basti pensare che: in Burundi, nel 2009, tale indice risultava del 36,4% della popolazione (dato disponibile sul sito hdrstats.undp.org), a fronte di un aumento della spesa sociale, dovuto all'intervento del Fondo, dell'1,8% (loc. cit. nota precedente); in Costa d'Avorio, nel 2008, era del 48,9% (dato disponibile sul sito UNDP Costa d'Avorio), a fronte di un incremento della spesa sociale, per il biennio 2009-2011, dell'1,8%(loc. cit. nota precedente); in Pakistan, nel 2009, era del 33,4% (dato disponibile sul sito hdrstats.undp.org), a fronte di un incremento della spesa sociale dello 0,4% (loc. cit. nota precedente); in Tagikistan, nel 2009, era del 18,2% (dato disponibile sul sito hdrstats.undp.org), a fronte di un incremento della spesa sociale dell' 1,7% (loc. cit. nota precedente).

70. Come emerge da dati diffusi nel 2010 dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) (pubblicati sul sito noiitalia.istat.it), la spesa media per la «protezione sociale» in ambito UE si attestava già nel 2006 - cioè, prima degli interventi di sostegno imposti dalla crisi - attorno al 27% del prodotto interno lordo dei Paesi membri; è inutile dire che tutti i Paesi citati nelle note precedenti presentano percentuali inferiori rispetto a quella che in tale quadro risulta essere la più bassa (Lettonia: 12,2%).

71. Da questo punto di vista, il comportamento degli Stati membri del Fondo sembra prima facie conforme all'obbligo - incombente sugli Stati parti del Patto - di comportarsi in modo da evitare che si producano effetti negativi sui diritti tutelati (supra, par. 3); e ciò, beninteso, perlomeno per i diritti positivamente investiti dalla suddetta spesa.

72. Ancora supra, par. 3.

73. Ad es., nel corso del 2009, il Messico (IMF Press Release No. 09/130, IMF Executive Board Approves US$47 Billion Arrangement for Mexico Under the Flexible Credit Line, April 17, 2009) e la Polonia (IMF Survey online, Poland Seeks $20.5 Billion Credit Line From IMF, April 14, 2009).

74. Basti pensare che secondo l'art. 2, par. 2 gli Stati parti del Patto devono garantire l'eliminazione di situazioni di discriminazione nell'esercizio di detti diritti, anche quando queste derivino dall'origine «nazionale» o «sociale» dei beneficiari, ovvero dalla «sorte», dalla «nascita» o da «qualsiasi altra causa»; nell'ipotesi delineata (rispetto alla quale non si trovano appigli, sinora, né nella prassi del Comitato, né nella letteratura rilevante), la politica di condizionalità adottata dal Fondo produce l'effetto di lasciare intatta - se non di accentuarla - una situazione di ineguale godimento dei diritti sanciti dal Patto, riguardante cittadini di Stati diversi, ed avente origine dalla loro appartenenza a Stati con capacità economiche diverse.

75. Sul carattere progressivo di tale obbligo, ricavabile dall'art. 2, par. 2 del Patto, riguardo all'eliminazione delle discriminazioni de facto - fra le quali sembra rientrare il caso di specie - v., per tutti, Pisillo Mazzeschi, op. cit., p. 486 ss.

76. Non vi è infatti alcuna ragione - malgrado l'assenza di esplicite affermazioni del Comitato al riguardo - per non ritenere estensibile al principio in questione quanto si è detto, in generale, con riferimento all'operare degli obblighi di diligenza derivanti dal Patto nell'ambito di forme di cooperazione internazionale (ancora supra, par. 3); d'altra parte l'obbligo, per gli Stati parti, di astenersi da ogni pratica discriminatoria, nel quadro «de la coopèration et de l'aide internationales [...]» si ricava anche dall' Observation générale nº 20, specificamente dedicata all'art. 2, par. 2 del Patto (Consiglio economico e sociale, UN Doc. E/C.12/GC/20, 2 luglio 2009, par. 14).

77. 2009 Development Policy Lending Retrospective: Flexibility, Customization, and Results, October 27, 2009 (pubblicato sul sito della Banca mondiale).

78. Ivi, p. 6 ss., pp. 6-9, per una tipologia degli strumenti di prestito risultanti da tale mutamento di indirizzo.

79. Ibidem, p. 22 ss.

80. Ibidem, p. 24 ss.

81. Ibidem, p. 45 s.

82. Per l'indicazione dei 13 Paesi che all'11 giugno 2009 avevano beneficiato di operazioni di prestito della Banca - segnatamente dell'Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA) - volte a far fronte alla crescita dei prezzi del cibo (Global Food Prices Crisis Response Programs), v. ancora 2009 Development Policy Lending, cit., p. 10, figura 4, nonché parr. 33-34.

83. Ibidem, pp. 21-22, per una sintesi delle tipologie di operazioni utilizzate per far fronte alla crisi finanziaria e per l'indicazione di alcuni Stati beneficiari di tali operazioni effettuate direttamente dalla Banca.

84. La percentuale dei suddetti interventi finalizzata a «sviluppo e protezione sociale» è, infatti, di appena il 5% del totale; quella finalizzata allo «sviluppo umano» (istruzione primaria, assistenza sanitaria, lotta all'HIV/AIDS, ecc.), del 13%.

85. Fra i Paesi destinatari di tali prestiti, indicati dallo stesso documento della Banca (p. 12 s.) v., per esempio il Bangla Desh, in cui l'indice è del 36,4% (dato disponibile sul sito hdrstats.undp.org); il Benin, in cui è del 43,2% (ibidem); il Ghana in cui è 28,1% (ibidem).

86. Si tratta infatti del 7% del totale, rivolto allo «sviluppo sociale», e sempre del 7%, finalizzato allo «sviluppo umano»: 2009 Development Policy Lending, cit., p. 18, figura 6.

87. Per i relativi riferimenti, v. supra, par. 2, nota 15.

88. V., al riguardo, il par. 13.

89. Rispettivamente, parr. 20 e 19.

90. Per una descrizione del procedimento, v., per tutti, Seatzu, Il Panel di ispezione della Banca mondiale, Torino, 2008, p. 106 ss.

91. Si pensi, ad esempio, al caso n. 24, Uganda Third Power Project, Fourth Power Project, and Proposed Bujugali Hydropower Project (relativo ad un progetto finanziato in Uganda per il potenziamento idroelettrico del Paese), in cui, fra le Operational Policies ritenute violate dal panel, rientrava la OD 4.15 - trasformatasi, nel 2004, in OP1 (v. The World Bank Operations Manual, pubblicato sul sito della Banca mondiale) - in tema di riduzione della povertà (raccomandazione del Board of Executive Directors del 7 giugno 2002, pubblicata sul sito dell'Inspection Panel). Una situazione simile si verifica nel caso n. 34, Transitional Support for Economic Recovery Credit Operation (TSERO) and Emergency Economic and Social Reunification Support Project (relativo ad un progetto finanziato in Congo per il miglioramento della gestione delle foreste congolesi; raccomandazione del 5 novembre 2007, ibidem) e nel caso n. 40 West African Gas Pipeline Project (relativo ad un progetto di costruzione di un gasdotto in Nigeria: raccomandazione del 27 giugno 2008, ibidem).

92. Si tratta dell'OP4.12 BP4.12 (v. The World Bank Operations Manual, cit.): tra i casi in questione, si v., ad es., oltre al già citato caso n. 34 (nota precedente), il caso n. 47-48 Power Sector Generation and Restructuring Project (relativo alla riqualificazione della zona costiera meridionale albanese; raccomandazione del 18 febbraio 2009, pubblicata sul sito dell'Inspection Panel), in cui si fa espresso riferimento agli effetti sociali derivanti dagli spostamenti di popolazione necessitati da alcune demolizioni previste dal progetto, nonché il caso n. 49, Second Urban Environmental Sanitation Project (riguardante un progetto per l'approntamento di un sistema di smaltimento dei rifiuti urbani in Ghana; raccomandazione del 24 aprile 2009, ibidem), in cui vengono in rilievo gli effetti sociali provocati dagli spostamenti di popolazione imposti dalla costruzione di un impianto di smaltimento dei rifiuti ad Accra.

93. Per un'analisi di quest'aspetto sotto il profilo dell'interesse a ricorrere, v. Seatzu, op. cit., p. 208 s.

94. Per un esempio specifico di misure di «compensazione», v. pp. 34-35 della raccomandazione relativa al caso n. 40, cit. supra, nota 91.

95. Per un esempio di tale tipo di misure, consistenti, per lo più, nella previsione di forme di consultazione con i gruppi di individui ricorrenti e le comunità interessate, v. pp. 8-9 della raccomandazione relativa al caso 24, e p. 25 della raccomandazione relativa al caso 34, cit. supra, nota 91.

96. Su quest'aspetto, v. ancora Seatzu, op. cit., p. 370 s.

97. Sul rilevante numero di procedimenti avviati e conclusi dagli inizi del decennio scorso, v. ancora Sorel, op. cit., p. 50 ss.

98. V. ancora Sorel, op. e loc. cit. nota precedente, e, soprattutto, Circi, The World Bank Inspection Panel: Is It Really Effective?, in Global Jurist Advances, 2006, p. 1 ss., p. 15.

99. Per le conseguenze desumibili da tale circostanza, v. infra, par. 5.

100. Nel par. 9 dell'Observation générale nº 3, cit., il CDESC afferma infatti: «En outre, toute mesure délibérément régressive dans ce domaine doit impérativement être examinée avec le plus grand soin, et pleinement justifiée par référence à la totalité des droits sur lesquels porte le Pacte, et ce en faisant usage de toutes les ressources disponibles»; sul carattere non assoluto dell'obbligazione progressiva, desumibile da questa circostanza, e per altre considerazioni al riguardo, v. ancora Pisillo Mazzeschi, op. cit., p. 470 s.

101. La scarsità delle risorse disponibili è, naturalmente, alla base del carattere «progressivo» degli obblighi previsti: sul punto, nonché sui comportamenti cui gli Stati sono tenuti, v. ancora supra, par. 3.

102. V. i riferimenti e i dati forniti supra, par. 3, con riguardo alle misure adottate nei confronti dei Paesi più poveri, per far fronte agli effetti sociali prodotti dalla crisi economica in corso, sia dal Fondo (testo e note 69-72), che dalla Banca (testo e note 83-87).

103. Si tratta in particolare della lucida e nota analisi di Stiglitz, che già agli inizi del decennio scorso osservava come proprio le politiche - spesso recessive - messe in atto dal Fondo, potessero esser considerate (per il loro «market fanaticism») alla base dell'aggravarsi di condizioni di ineguaglianza e povertà, soprattutto nei Paesi più deboli, costretti poi, proprio in ragioni di tali politiche, a richiedere l'intervento dello stesso Fondo (La globalizzazione, cit., ad es., pp. 23 ss., 90 ss. e 199 ss.); nello stesso senso, di recente, sia pure con argomentazioni di teoria morale, v. anche Pogge, Politics as Usual, Cambridge, 2010, capp. 1, 3 e 4.

104. Si tratta, naturalmente, dell'assenza di qualsiasi riferimento alla destinazione «sociale» dei finanziamenti, che rientra perfettamente nella logica secondo la quale né il Fondo, né la Banca devono occuparsi di simili aspetti, se non nella misura in cui ciò abbia una rilevanza dal punto di vista delle loro specifiche funzioni (v., per il Fondo, v. Gianviti, op. cit., p. 42 e per la Banca, Danino, op. cit., passim).

105. Nel caso della Flexible Credit Line (supra, par. 3, testo e nota 68).

106. V. Observation générale nº 19, cit., relativa al diritto alla sicurezza sociale, nonché quella relativa al principio di non discriminazione (supra, nota 76).

107. Fanno eccezione, da una parte, Cuba, Liechtenstein, e Principato di Monaco (parti del solo Patto; dati aggiornati al 2 settembre 2010), e, dall'altra, Antigua, Bhutan, Botswana, Isole Fiij, Haiti, Kiribati, Kosovo, Isole Marshall, Micronesia, Mozambico, Myanmar, Oman, Malesia, Palau, Singapore, S. Kitts e Nevis, S. Lucia, Tonga, Tuvalu, Emirati Arabi Uniti, Vanuatu e Stati Uniti (membri solo del Fondo e della Banca; dati aggiornati, rispettivamente, al 25 giugno e al 27 agosto 2010); secondo i dati sintetici forniti da Ghazi, op. cit., p. 137, gli Stati parti del PDESC risultano detentori del potere di voto nelle due istituzioni, in una percentuale del 73,28% per il Fondo e del 74.99% per la Banca.

108. È infatti all'ipotesi del progressivo formarsi di una prassi consuetudinaria abrogativa - piuttosto che a quella di un autentico accordo tacito - che potrebbe ricondursi, ai sensi dell'art. 31, par. 3, lett. b) della Convenzione di Vienna, il fenomeno in esame (per questa distinzione, v., per tutti, Capotorti, Sul valore della prassi applicativa dei trattati secondo la Convenzione di Vienna, in Le droit international à l'heure de sa codification. Etudes en l'honneur de Roberto Ago, Milano 1987, vol. I, p. 197 ss., pp. 207-210); il condizionale è tuttavia d'obbligo, se è vero che fra la prassi esaminata e i principi di fondo del Patto sussiste, per quanto si è cercato di mostrare, una radicale incompatibilità (v. supra, in questo paragrafo).

109. Sull'idoneità del Fondo monetario a rientrare fra le organizzazioni internazionali «materialmente» «incardinate» nell'«ordinamento obbiettivo», e, dunque, ad esprimere, nella sua attività, principi generali di diritto internazionale monetario, corrispondenti agli indirizzi normativi di fondo della Comunità internazionale, v., ancora una volta, Picone, op. cit., p. 97 s. e nota 136 (ivi, anche alcuni esempi; più di recente, sul profilo «normativo» delle funzioni del Fondo e della Banca, v. anche Alvarez, International Organizations as Law-Makers, Cambridge, 2005, p. 235 ss.). Non è questa la sede, naturalmente, neanche per abbozzare il contenuto di principi generali riguardanti la materia in esame; è però difficile non rilevare che: a) la progressiva assunzione di funzioni da parte del Fondo nel campo del sostegno allo sviluppo (sin dagli anni '90), e la parallela estensione dei compiti spettanti alla Banca anche a progetti di tipo «strutturale», si è tradotta nell'ampia adozione, nella prassi di entrambe le istituzioni, di un modello di sviluppo rispondente ai principi dell'economia di mercato (al riguardo, v. Carreau, Juillard, op. cit., rispettivamente, pp. 599-601 e p. 611); b) che nell'ambito di tale modello vi è una netta tendenza - in contrasto con l'impostazione del PDESC - a non attribuire autonomo rilievo alla spesa sociale (Stiglitz, op. cit., pp. 72-77, anche per critiche penetranti di siffatta tendenza, alla luce di suoi effetti negativi), salvo che per l'esigenza di far fronte a situazioni eccezionali; c) l'adozione di un simile modello di sviluppo, pur non risultando formalmente «imposta» ai Paesi destinatari del sostegno, da parte di Fondo e Banca mondiale, è stata tuttavia ampiamente garantita, proprio tramite il meccanismo della condizionalità (supra, nota 6, nonché Sorel, La puissance normative des mesures de suivi au sein du FMI et de la Banque mondiale, in Ruiz Fabri, Sicilianos, Sorel (sous la dir. de), L'effectivité des organisations internationales: mesures de suivi et de contrôle, Athènes, Paris, 2000, p. 197 ss.); d) la prassi in questione, ed i principi cui essa è ispirata, trovano ampio riscontro negli indirizzi di fondo parallelamente manifestatisi nell'ambito di altri sistemi di cooperazione multilaterale allo sviluppo (Appicciafuoco, op. cit., pp. 127-130 per la Banca inter-americana di sviluppo; pp. 156-157 per la Banca africana di sviluppo; pp. 170-172, per la Banca asiatica di sviluppo; pp. 191-192, per la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo); e) la recente eliminazione della condizionalità «strutturale» nell'ambito del Fondo e gli sviluppi verificatisi anche nella prassi della Banca, non hanno alterato, come si è visto, gli indirizzi di fondo delle due organizzazioni quanto alla specifica questione della spesa sociale; f) in linea con tali indirizzi, il fenomeno del sostegno internazionale allo sviluppo va assumendo, più in generale, forme nuove - di efficacia molto discussa - tendenzialmente fondate sul partenariato pubblicoprivato, sullo stimolo all'azione dei privati, e sul «microcredito» (v., rispettivamente, i contributi di Manderieux, Costamagna e Vellano in Venturini (a cura di), Le nuove forme di sostegno allo sviluppo nella prospettiva del diritto internazionale, Torino, 2009, pp. 209 ss., 223 ss. e 255 ss.).

110. Supra, in questo paragrafo.

111. Anche qui, data la radicale incompatibilità della prassi in questione rispetto alla logica di fondo del Patto, sembra più verosimile ipotizzare che essa sia riconducibile a principi di carattere generale in tema di sostegno allo sviluppo, piuttosto che al venire in essere di una modifica consuetudinaria ad hoc (supra, testo e note 109 e 110).